L’illustrazione italiana 1° Novembre 1875, 12 giugno 2014
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Il castello di Miramar e l’arciduca Carlo Yriarte
L’illustrazione italiana 1° Novembre 1875
Una voce corsa testé ne’giornali politici, e che non abbiamo ancora veduto smentire, quantunque la notizia da essa diffusa non siasi però fino ad oggi avverata, ha dato un certo carattere di attualità politica a una recente pubblicazione della casa Treves(1), che per sé stessa non aspirava, se non a un pregio meramente letterario.
Trattasi di un libro del signor CarloYriarte, il quale, avendo fatto l’anno scorso un viaggio di studj in Italia, spinse la sua escursione fino a Trieste nella provincia istriana, scrivendone poi una descrizione, che apparve illustrata da belle incisione nel giro del mondo, e ora fu raccolta in volume separato; la notizia riguarda D.Alfonso di Borbone, fratello del pretendente D.Carlos, al quale i sanguinosi allori di polemica iuscirono tanto pesanti, che gli fu giocoforza i tirarsi dal campo della guerra e uscire di Spagna.
Il lettore chiederà dichiarazione ci possa essere tra Don Alfonso, feroce paladino del ciclismo, e CarloYiarte , scrittore liberale, presidio di lui dalla Spagna e il viaggi d’a Trieste; e presto detto: sono noti a tutti i disordini, che la presenza del principe borbonico provocò la scorsa primavera a gazza; la popolazione, che sapeva dai giornali le stragi da lui ordinate contro gli inermi abitanti delle province spagnuole invase dai terroristi, non aspirava. All’onore di albergare tra le sue mura lui e donna bianca, sua degna consorte, e lo fece capire in modo che la polizia poi anche il militare dovettero intervenire per guisa che la pacifica allegra città di grado fu per alcuni giorni una piazza seria, e non mancarono le ferite di arresti e processi. Il governo e non aveva voluto cedere davanti a una dimostrazione di piazza, capii che Don Alfonso al grado non ci poteva stare; infatti, quando i disordini furono quei dati, Don Alfonso fece fagotto e trasporto alla sordina i suoi penati in una villetta, che fu già del maresciallo Nugent, presso fiume sul quarto nero, ove se ne sta ora ritirato. Anche cola però il suo arrivo fu contrassegnato da indizj con dubbj di malumore da parte de cittadini, che non vollero essere da meno di quelli di Graz, e pare d’altra parte che il soggiorno di interessato (così chiamasi la villa) non vada a genio alla principessa.
A togliere d’imbarazzo la poco fortunata coppia sarebbe pervenuto l’imperatore d’Austria, il quale, secondo la notizia superiormente accennata, gli avrebbe offerto ospitalità nel castello di Miramar, che sorge sulla estrema spiaggia dell’Adriatico presso a richieste.
Ed ecco come c’entra il libro dell’Yiarte, poiché in esso lungamente discorso di contesta splendida residenza principesca, che pochissimi ancora conoscono, e che meriterebbe invece di essere più spesso visitata dei viaggiatori. E inutile aggiungere che l’Annunzio della probabile venuta di Don Alfonso non sollecitò. L’amor proprio de’ Triestini, e che i giornali di quella città ne parlavano in modo, da far temere che i tumulti di grado possono con la rinnovarsi, ove la notizia si avveri. Ma con questo non ci riguarda.
Il castello di Miramar non conta che pochi anni di vita ed una creazione di quel principe sventurato, cui l’ambizione irrequieta e l’ingegno superiore alla modesta posizione di cadetto trassero a morire a Queretaro per mano dei soldati di juarez. Prima che l’arciduca Massimiliano venisse a Trieste ad assumervi il comando della marina da guerra austriaca, nessuno si sarebbe immaginato che il lungo la scoscesa spiaggia, che da Trieste per bar con la dà al belliniano, si potesse erigere un vasto palazzo di villeggiatura. La posizione del luogo era per verità mirabile; vi si domina ampiamente l’Adriatico, che gli cola rassomiglia a un oceano senza parole; il clima e dolcissimo, e la costa e tutta folta d’ulivi, di figli, di viti. Ma essa è anche, come abbiamo detto, scoscesa e rocciosa e strapiomba nel mare, che qui è assai profondo.
L’arciduca non badò tutto ciò, fece venire a Vienna un suo ingegnere, al quale comunicò i suoi disegni, e poiché non era il denaro che facesse difetto, i lavori cominciarono allegramente, e poco volger di tempo dove prima le ondate frangevano rumoreggiando tra le rocce e sulle balze sovrastanti, s’apriva appena qualche rado sentiero di Capraia o, vide biancheggiare maestoso un tuo grido palazzo circondato a tergo da un parco lussureggiante di fondi. L’arciduca, che aveva con molta corrente intensa sorvegliato diretti lavori, adoperò nominò l’attenzione nell’arredare il palazzo; e se la sua posizione e delle più amene e giustifica pienamente il titolo spagnuolo di MIRAMAR, che esso li diede, l’interno può considerarsi con una preziosa collezione di capi d’arte, d’antichità, di oggetti curiosi, che mistificano del buon gusto e dello splendore del principe. Ma è
in passato, allorché Massimiliano non era ancora stato adescato dalle dorate illusioni di un tono del Messico, Miramare era la sua residenza favorita, infatti egli vi si era composto un nido pieno di seduzione e di agiatezze oggi di il castello è chiuso e deserto; il nuovo proprietario, che l’imperatore da rose, quale erede di suo fratello, non c’è mai messo piede: l’asta, che sorge sulla più alta Torricelli al castello, non possa più la bandiera imperiale, e nel piccolo porto, in cui prima soleva ormeggiarsi l’elegante Jacht dell’arciduca, vengono ora cerca riparo dell’ance di quanti villeggianti vicino o le umili barche peschereccia.
Noi non possiamo far qui una descrizione minuta di miramar; non potremmo che ripetere quanto con mirabile eleganza ne scrisse l’Yriarte; dobbiamo però confermare che una gita interessantissima. Da Trieste vi si va in un’ora circa, e, sia che si imprendi manda il tragitto per terra, in carrozza, lungo la strada, che costeggia la marina, sia che si preferisca andarvi in barca, anche la gita delle più deliziose. Mirabile e il parco, non per la sua ampiezza, ma anzi per gli avvenimenti con cui l’architetto, stretto fra il monte e il mare, seppe trarre partito dal poco spazio che gli era concesso, e con segni di eletti tortuosi e scalinate e ripiani raddoppiò avvisatore le passeggiate rese più amene degli svariati punti di vista.
Presso al cancello d’ingresso stanno adunate in un piccolo museo molte antichità greche ed egiziane, che l’arciduca aveva da se stesso raccolto le’ sui viaggi, e insieme con esse oggetti di strada naturale, rarità storiche e 100 altre cose curiose. Di là per un sentiero detto cosparso di arena si svolge al palazzo costruito in bianca pietra delle vicine cave di San servono. Sarebbe difficile cogliere un tratto il concetto architettonico dell’edificio; l’altra staglia menti dello stile gotico si associò la ristrettezza dello spazio, e più che la eleganza del disegno conviene anche qui ammirare i mille espedienti con cui contesta ristrettezza fu superata. Certo è ad ogni modo che lo stile gotico, di cui sembrano oggi di innamorati di architetti viennesi, non si confà al nostro cielo meridionale, e che quelle torrette merlate e quelli archi acuti eleganti, che spesse il giorno a Miramare, sembravano stonare col verde cinereo degli ulivi o col verde splendente dei figli, che ne formano lo sfondo, e con l’azzurro terzo del cielo, che vi sovrastano: per quelle costruzioni là ci vogliono i boschi di abeti e il cielo grigio dei climi settentrionali.
L’interno e sfarzosamente addobbato: tappeti, specchi, dorature adornano quelle sale risonanti e deserti; ma il lusso e il carattere moderno, anzi contemporaneo che si notano nel mobiliare, fanno anche più sentire la solitudine del luogo: si vorrebbe incontrare qualcuno, si vorrebbe sentir qualche altro rumore, oltre quello dell’eco de’proprj passi. Notevolissimo e il gabinetto del lavoro dell’arciduca, che fu ricomposto com’era, quando egli vi trascorreva le lunghe ore inteso allo studio. Massimiliano aveva voluto di produrre in esso esattamente le forme di menzione della cabina, che occupava a bordo della fregata Novara, quando con essa fece il viaggio di circumnavigazione, e gli oggetti più disparati si incontrano in quel piccolo spazio: libri, busti, quadri, strumenti di fisica, armi, galanterie, tutto mescolato in un pittoresco disordine, tutto portante ancora l’impronta della mano artistica, che aveva saputo così efficacemente ordinare quel tempio dedicato allo studio e al culto del bello, è tuttora così freddo, così abbandonato, così morto!
Eppure anche quella solitudine alle sue seduzioni e il suo pregio; perché tra quel 1000 disparati oggetti, che con la loro ricchezza ed eleganza ti parlano dello splendore e del buon gusto del principe, che li aveva messi insieme, il pensiero ricorre involontario alla catastrofe paurosa, con cui si chiuse quella vita così promettente così sicura di sé. Ma se il silenzio di Miramare, che esso stesso un omaggio reso alla memoria di Massimiliano, dovesse essere turbato, sarebbe strano che ciò accadesse per opera di uno, il quale sembra propriamente l’antitesi di ciò che fu a questo mondo Massimiliano d’Austria. Ma è
del resto, poiché abbiamo citato l’Yiarte e il suo libro, ci sia lecito aggiungere che non soltanto le poche pagine dedicate al castello di Miramare meritano d’esservi lette, ma che tutta la descrizione del suo viaggio traverso l’Istria e dettata con la medesima eleganza ed efficacia; soltanto, mentre nel capitolo dedicato ammira ma l’autore seppe essere, oltre che elegante, anche preciso, nel resto le sue descrizioni e i suoi giudizij peccano troppo spesso di inesattezza. Ma è
tutti sanno infatti che l’Istria è una provincia la quale per la sua opposizione geografica, non meno che per la sua storia appartiene all’Italia; se oggi di essa dipende politicamente dall’Austria, ciò non ha valore di mutare i fatti come nessuno negherà l’italianità del Canton Ticino o della Corsica per ciò che non fanno parte del regno. Come è del pari certo che le poche spruzzate di contadini slavi disseminati per le sue campagne non hanno virtù di mutare il carattere essenzialmente italiano della popolazione, che si affolla nella città e in tutti i centri civili, appunto a quella guisa che nessuno nega l’italianità al Friuli o al veronese, che la popolazione si e qua e la comunista di altri elementi. Il signor Yiarte ha però il sentimento dell’arte, e quando è in presenza di una manifestazione del bello, ne rimane compreso. L’antichissima basilica cristiana di par Enzo, i mirabili monumenti romani di polla, il tipo serenamente veneto di capo d’Istria destarono anche la sua ammirazione, come non sono scarsi di elogi, che egli tributa al clima dolcissimo e pittoreschi orizzonti di codesta terra, chi ha in sé un incancellabile suggello di vita italiana.
A ogni modo l’editore italiano fece opera cauta, aggiungendo alla produzione delle note destinate a mettere l’inesperto rettore inavvertenza contro gli errori dell’autore, e se difettov’ha in esse, e di scarsezza, non di sovrabbondanza.
Una voce corsa testé ne’giornali politici, e che non abbiamo ancora veduto smentire, quantunque la notizia da essa diffusa non siasi però fino ad oggi avverata, ha dato un certo carattere di attualità politica a una recente pubblicazione della casa Treves(1), che per sé stessa non aspirava, se non a un pregio meramente letterario.
Trattasi di un libro del signor CarloYriarte, il quale, avendo fatto l’anno scorso un viaggio di studj in Italia, spinse la sua escursione fino a Trieste nella provincia istriana, scrivendone poi una descrizione, che apparve illustrata da belle incisione nel giro del mondo, e ora fu raccolta in volume separato; la notizia riguarda D.Alfonso di Borbone, fratello del pretendente D.Carlos, al quale i sanguinosi allori di polemica iuscirono tanto pesanti, che gli fu giocoforza i tirarsi dal campo della guerra e uscire di Spagna.
Il lettore chiederà dichiarazione ci possa essere tra Don Alfonso, feroce paladino del ciclismo, e CarloYiarte , scrittore liberale, presidio di lui dalla Spagna e il viaggi d’a Trieste; e presto detto: sono noti a tutti i disordini, che la presenza del principe borbonico provocò la scorsa primavera a gazza; la popolazione, che sapeva dai giornali le stragi da lui ordinate contro gli inermi abitanti delle province spagnuole invase dai terroristi, non aspirava. All’onore di albergare tra le sue mura lui e donna bianca, sua degna consorte, e lo fece capire in modo che la polizia poi anche il militare dovettero intervenire per guisa che la pacifica allegra città di grado fu per alcuni giorni una piazza seria, e non mancarono le ferite di arresti e processi. Il governo e non aveva voluto cedere davanti a una dimostrazione di piazza, capii che Don Alfonso al grado non ci poteva stare; infatti, quando i disordini furono quei dati, Don Alfonso fece fagotto e trasporto alla sordina i suoi penati in una villetta, che fu già del maresciallo Nugent, presso fiume sul quarto nero, ove se ne sta ora ritirato. Anche cola però il suo arrivo fu contrassegnato da indizj con dubbj di malumore da parte de cittadini, che non vollero essere da meno di quelli di Graz, e pare d’altra parte che il soggiorno di interessato (così chiamasi la villa) non vada a genio alla principessa.
A togliere d’imbarazzo la poco fortunata coppia sarebbe pervenuto l’imperatore d’Austria, il quale, secondo la notizia superiormente accennata, gli avrebbe offerto ospitalità nel castello di Miramar, che sorge sulla estrema spiaggia dell’Adriatico presso a richieste.
Ed ecco come c’entra il libro dell’Yiarte, poiché in esso lungamente discorso di contesta splendida residenza principesca, che pochissimi ancora conoscono, e che meriterebbe invece di essere più spesso visitata dei viaggiatori. E inutile aggiungere che l’Annunzio della probabile venuta di Don Alfonso non sollecitò. L’amor proprio de’ Triestini, e che i giornali di quella città ne parlavano in modo, da far temere che i tumulti di grado possono con la rinnovarsi, ove la notizia si avveri. Ma con questo non ci riguarda.
Il castello di Miramar non conta che pochi anni di vita ed una creazione di quel principe sventurato, cui l’ambizione irrequieta e l’ingegno superiore alla modesta posizione di cadetto trassero a morire a Queretaro per mano dei soldati di juarez. Prima che l’arciduca Massimiliano venisse a Trieste ad assumervi il comando della marina da guerra austriaca, nessuno si sarebbe immaginato che il lungo la scoscesa spiaggia, che da Trieste per bar con la dà al belliniano, si potesse erigere un vasto palazzo di villeggiatura. La posizione del luogo era per verità mirabile; vi si domina ampiamente l’Adriatico, che gli cola rassomiglia a un oceano senza parole; il clima e dolcissimo, e la costa e tutta folta d’ulivi, di figli, di viti. Ma essa è anche, come abbiamo detto, scoscesa e rocciosa e strapiomba nel mare, che qui è assai profondo.
L’arciduca non badò tutto ciò, fece venire a Vienna un suo ingegnere, al quale comunicò i suoi disegni, e poiché non era il denaro che facesse difetto, i lavori cominciarono allegramente, e poco volger di tempo dove prima le ondate frangevano rumoreggiando tra le rocce e sulle balze sovrastanti, s’apriva appena qualche rado sentiero di Capraia o, vide biancheggiare maestoso un tuo grido palazzo circondato a tergo da un parco lussureggiante di fondi. L’arciduca, che aveva con molta corrente intensa sorvegliato diretti lavori, adoperò nominò l’attenzione nell’arredare il palazzo; e se la sua posizione e delle più amene e giustifica pienamente il titolo spagnuolo di MIRAMAR, che esso li diede, l’interno può considerarsi con una preziosa collezione di capi d’arte, d’antichità, di oggetti curiosi, che mistificano del buon gusto e dello splendore del principe. Ma è
in passato, allorché Massimiliano non era ancora stato adescato dalle dorate illusioni di un tono del Messico, Miramare era la sua residenza favorita, infatti egli vi si era composto un nido pieno di seduzione e di agiatezze oggi di il castello è chiuso e deserto; il nuovo proprietario, che l’imperatore da rose, quale erede di suo fratello, non c’è mai messo piede: l’asta, che sorge sulla più alta Torricelli al castello, non possa più la bandiera imperiale, e nel piccolo porto, in cui prima soleva ormeggiarsi l’elegante Jacht dell’arciduca, vengono ora cerca riparo dell’ance di quanti villeggianti vicino o le umili barche peschereccia.
Noi non possiamo far qui una descrizione minuta di miramar; non potremmo che ripetere quanto con mirabile eleganza ne scrisse l’Yriarte; dobbiamo però confermare che una gita interessantissima. Da Trieste vi si va in un’ora circa, e, sia che si imprendi manda il tragitto per terra, in carrozza, lungo la strada, che costeggia la marina, sia che si preferisca andarvi in barca, anche la gita delle più deliziose. Mirabile e il parco, non per la sua ampiezza, ma anzi per gli avvenimenti con cui l’architetto, stretto fra il monte e il mare, seppe trarre partito dal poco spazio che gli era concesso, e con segni di eletti tortuosi e scalinate e ripiani raddoppiò avvisatore le passeggiate rese più amene degli svariati punti di vista.
Presso al cancello d’ingresso stanno adunate in un piccolo museo molte antichità greche ed egiziane, che l’arciduca aveva da se stesso raccolto le’ sui viaggi, e insieme con esse oggetti di strada naturale, rarità storiche e 100 altre cose curiose. Di là per un sentiero detto cosparso di arena si svolge al palazzo costruito in bianca pietra delle vicine cave di San servono. Sarebbe difficile cogliere un tratto il concetto architettonico dell’edificio; l’altra staglia menti dello stile gotico si associò la ristrettezza dello spazio, e più che la eleganza del disegno conviene anche qui ammirare i mille espedienti con cui contesta ristrettezza fu superata. Certo è ad ogni modo che lo stile gotico, di cui sembrano oggi di innamorati di architetti viennesi, non si confà al nostro cielo meridionale, e che quelle torrette merlate e quelli archi acuti eleganti, che spesse il giorno a Miramare, sembravano stonare col verde cinereo degli ulivi o col verde splendente dei figli, che ne formano lo sfondo, e con l’azzurro terzo del cielo, che vi sovrastano: per quelle costruzioni là ci vogliono i boschi di abeti e il cielo grigio dei climi settentrionali.
L’interno e sfarzosamente addobbato: tappeti, specchi, dorature adornano quelle sale risonanti e deserti; ma il lusso e il carattere moderno, anzi contemporaneo che si notano nel mobiliare, fanno anche più sentire la solitudine del luogo: si vorrebbe incontrare qualcuno, si vorrebbe sentir qualche altro rumore, oltre quello dell’eco de’proprj passi. Notevolissimo e il gabinetto del lavoro dell’arciduca, che fu ricomposto com’era, quando egli vi trascorreva le lunghe ore inteso allo studio. Massimiliano aveva voluto di produrre in esso esattamente le forme di menzione della cabina, che occupava a bordo della fregata Novara, quando con essa fece il viaggio di circumnavigazione, e gli oggetti più disparati si incontrano in quel piccolo spazio: libri, busti, quadri, strumenti di fisica, armi, galanterie, tutto mescolato in un pittoresco disordine, tutto portante ancora l’impronta della mano artistica, che aveva saputo così efficacemente ordinare quel tempio dedicato allo studio e al culto del bello, è tuttora così freddo, così abbandonato, così morto!
Eppure anche quella solitudine alle sue seduzioni e il suo pregio; perché tra quel 1000 disparati oggetti, che con la loro ricchezza ed eleganza ti parlano dello splendore e del buon gusto del principe, che li aveva messi insieme, il pensiero ricorre involontario alla catastrofe paurosa, con cui si chiuse quella vita così promettente così sicura di sé. Ma se il silenzio di Miramare, che esso stesso un omaggio reso alla memoria di Massimiliano, dovesse essere turbato, sarebbe strano che ciò accadesse per opera di uno, il quale sembra propriamente l’antitesi di ciò che fu a questo mondo Massimiliano d’Austria. Ma è
del resto, poiché abbiamo citato l’Yiarte e il suo libro, ci sia lecito aggiungere che non soltanto le poche pagine dedicate al castello di Miramare meritano d’esservi lette, ma che tutta la descrizione del suo viaggio traverso l’Istria e dettata con la medesima eleganza ed efficacia; soltanto, mentre nel capitolo dedicato ammira ma l’autore seppe essere, oltre che elegante, anche preciso, nel resto le sue descrizioni e i suoi giudizij peccano troppo spesso di inesattezza. Ma è
tutti sanno infatti che l’Istria è una provincia la quale per la sua opposizione geografica, non meno che per la sua storia appartiene all’Italia; se oggi di essa dipende politicamente dall’Austria, ciò non ha valore di mutare i fatti come nessuno negherà l’italianità del Canton Ticino o della Corsica per ciò che non fanno parte del regno. Come è del pari certo che le poche spruzzate di contadini slavi disseminati per le sue campagne non hanno virtù di mutare il carattere essenzialmente italiano della popolazione, che si affolla nella città e in tutti i centri civili, appunto a quella guisa che nessuno nega l’italianità al Friuli o al veronese, che la popolazione si e qua e la comunista di altri elementi. Il signor Yiarte ha però il sentimento dell’arte, e quando è in presenza di una manifestazione del bello, ne rimane compreso. L’antichissima basilica cristiana di par Enzo, i mirabili monumenti romani di polla, il tipo serenamente veneto di capo d’Istria destarono anche la sua ammirazione, come non sono scarsi di elogi, che egli tributa al clima dolcissimo e pittoreschi orizzonti di codesta terra, chi ha in sé un incancellabile suggello di vita italiana.
A ogni modo l’editore italiano fece opera cauta, aggiungendo alla produzione delle note destinate a mettere l’inesperto rettore inavvertenza contro gli errori dell’autore, e se difettov’ha in esse, e di scarsezza, non di sovrabbondanza.