La Domenica del Corriere, domenica 10 gennaio 1932 , 11 giugno 2014
Tags : Parafulmini
Il parafulmine invenzione italiana?
La Domenica del Corriere, domenica 10 gennaio 1932
Generalmente si attribuisce a Beniamino Franklyn la scoperta della elettricità atmosferica e l’invenzione del parafulmine. Ma oggi molti antichi fatti interessantissimi vengono a nostra conoscenza; tanto da farci spesse volte cambiare il nostro giudizio. E così avviene appunto per il parafulmine.
Già al tempo dei romani troviamo racconti di fenomeni di elettricità atmosferica e pare che Numa Pompilio e Tullo Ostilio conoscessero il modo di rendere inoffensivo il fulmine: appunto durante una di tali pratiche Tullo Ostilio sarebbe stato colpito e ucciso dalla folgore.
Ma una affermazione importante, molto posteriore, si trova in un libro stampato a Parigi nel 1766,«origine delle scoperte» di Ludovico Dutens. Parlando della teoria di Franklyn, afferma egli che, in quell’epoca, persona degna di fede avrebbe trovato in certi scavi una medaglia latina antichissima, raffigurante da un verso Giove con i fulmini in mano e, sotto, un uomo che regola un certo volante; e aggiunge:«… la qual cosa è la maniera con cui si può tirare il fuoco dalle nubi».
Possiamo quindi arguire che i romani probabilmente già conoscevano l’elettricità atmosferica e sapevano attrarre il fulmine con lo stesso mezzo escogitato da Franklyn.
Ma, lasciando da parte i romani antichi, a provare la priorità italiana abbiamo un documento persuasivo nelle «lettere di Giovanni Fortunato Bianchini, dottore in medicina, intorno al un nuovo fenomeno elettrico, dirette all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1758 ».
Riporta il chiarissimo fisico che sui bastioni del Castello di Duino presso Trieste, ai confini dell’Adriatico, esisteva da tempo immemorabile (pare dal 13º secolo) un’asta metallica, altissima, con la punta rivolta in alto.
Durante la stagione estiva, quando i pescatori si allontanarono molto, un armigero veniva posto al lato dell’asta con l’incarico di avvicinare ogni tanto alla base di essa la picca. Quando l’asta all’avvicinarsi del brandistocco emetteva un’aureula luminosa o faceva scoccare una scintilla, il soldato doveva dare l’allarme. Immediatamente dal castello, per mezzo di una campana, si avvisava tanto il contadino, quanto il marinaio, di rientrare al più presto, che la burrasca non doveva essere lontana. Tale pratica dei Castellani di Duino viene anche confermata dalla tradizione del paese e da una lettera del Padre Imperati, del 1602, che dice:«Usano il fuoco e un’asta per presagire le piogge, le grandini e le procelle, soprattutto d’estate ». Anche in una Memoria all’Accademia delle Scienze di Parigi del fisico abate Nollet, nel 1794, il fatto è confermato.
Non c’è dunque dubbio dell’esistenza del parafulmine prima della scoperta di Beniamino Franklin. E, senza togliere all’eminente scienziato il vanto di aver introdotto il parafulmine nella vita pratica, dobbiamo confermare che tale espediente ora già in uso in Italia da parecchi secoli.
Generalmente si attribuisce a Beniamino Franklyn la scoperta della elettricità atmosferica e l’invenzione del parafulmine. Ma oggi molti antichi fatti interessantissimi vengono a nostra conoscenza; tanto da farci spesse volte cambiare il nostro giudizio. E così avviene appunto per il parafulmine.
Già al tempo dei romani troviamo racconti di fenomeni di elettricità atmosferica e pare che Numa Pompilio e Tullo Ostilio conoscessero il modo di rendere inoffensivo il fulmine: appunto durante una di tali pratiche Tullo Ostilio sarebbe stato colpito e ucciso dalla folgore.
Ma una affermazione importante, molto posteriore, si trova in un libro stampato a Parigi nel 1766,«origine delle scoperte» di Ludovico Dutens. Parlando della teoria di Franklyn, afferma egli che, in quell’epoca, persona degna di fede avrebbe trovato in certi scavi una medaglia latina antichissima, raffigurante da un verso Giove con i fulmini in mano e, sotto, un uomo che regola un certo volante; e aggiunge:«… la qual cosa è la maniera con cui si può tirare il fuoco dalle nubi».
Possiamo quindi arguire che i romani probabilmente già conoscevano l’elettricità atmosferica e sapevano attrarre il fulmine con lo stesso mezzo escogitato da Franklyn.
Ma, lasciando da parte i romani antichi, a provare la priorità italiana abbiamo un documento persuasivo nelle «lettere di Giovanni Fortunato Bianchini, dottore in medicina, intorno al un nuovo fenomeno elettrico, dirette all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1758 ».
Riporta il chiarissimo fisico che sui bastioni del Castello di Duino presso Trieste, ai confini dell’Adriatico, esisteva da tempo immemorabile (pare dal 13º secolo) un’asta metallica, altissima, con la punta rivolta in alto.
Durante la stagione estiva, quando i pescatori si allontanarono molto, un armigero veniva posto al lato dell’asta con l’incarico di avvicinare ogni tanto alla base di essa la picca. Quando l’asta all’avvicinarsi del brandistocco emetteva un’aureula luminosa o faceva scoccare una scintilla, il soldato doveva dare l’allarme. Immediatamente dal castello, per mezzo di una campana, si avvisava tanto il contadino, quanto il marinaio, di rientrare al più presto, che la burrasca non doveva essere lontana. Tale pratica dei Castellani di Duino viene anche confermata dalla tradizione del paese e da una lettera del Padre Imperati, del 1602, che dice:«Usano il fuoco e un’asta per presagire le piogge, le grandini e le procelle, soprattutto d’estate ». Anche in una Memoria all’Accademia delle Scienze di Parigi del fisico abate Nollet, nel 1794, il fatto è confermato.
Non c’è dunque dubbio dell’esistenza del parafulmine prima della scoperta di Beniamino Franklin. E, senza togliere all’eminente scienziato il vanto di aver introdotto il parafulmine nella vita pratica, dobbiamo confermare che tale espediente ora già in uso in Italia da parecchi secoli.
gigieffe