La Gazzetta dello Sport, 7 giugno 2014
Il Direttore vorrebbe che parlassimo del D-Day, il “Giorno più lungo”, cioè lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, settant’anni ieri, la spettacolare operazione che aprì la fase finale della Seconda Guerra Mondiale, con l’arrivo l’anno dopo degli Alleati fino a Berlino
Il Direttore vorrebbe che parlassimo del D-Day, il “Giorno più lungo”, cioè lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, settant’anni ieri, la spettacolare operazione che aprì la fase finale della Seconda Guerra Mondiale, con l’arrivo l’anno dopo degli Alleati fino a Berlino...
• Beh, parliamone, no? È un bel tema.
Bellissimo tema, ma siamo costretti a inquinarlo con le notizie di ieri... L’Italia s’è un po’ distratta, rispetto all’evento, avremmo potuto concelebrare lo sbarco in Normandia, per esempio, con l’ingresso degli americani a Roma, avvenuto domenica 4 giugno fra lo stupefacente tripudio del popolo, stupefacente soprattutto per gli americani che non s’aspettavano un’accoglienza simile (gli americani istupidirono negli anni a seguire: nel 2003 s’aspettavano d’essere accolti a Baghdad con analoga esultanza). Ed ecco altri eventi di questi giorni malamente dimenticati: la fucilazione di Bruno Buozzi (sempre il 4 giugno), l’apertura a colpi d’accetta del palazzo di piazza del Gesù che sarebbe diventato la sede della Dc (a usare l’accetta fu Franco Nobili, figlio del sindacalista Costantino Nobili, futuro presidente dell’Iri e tessera della Dc numero 3), la nomina di Umberto II luogotenente del Regno (5 giugno), l’uscita a Roma del quotidiano Il Tempo (6 giugno). E, prima ancora (3 giugno), Di Vittorio nominato segretario della Cgil, De Gaulle presidente della Repubblica francese al posto di Pétain, eccetera eccetera. Tutte cose di cui sarebbe bellissimo parlare. Ma ci sono i fatti di ieri.
• Sentiamo questi fatti.
I potenti della Terra si sono riuniti nel castello di Bénouville, punto chiave dello sbarco di 70 anni fa, per celebrare il D-Day e il suo significato: l’inizio di un’alleanza dell’Occidente imperniata sul principio di evitare altri massacri, di non correre più il rischio di ripetere l’esperienza tragica della I e della II guerra mondiale. C’erano gli americani, rappresentati da Obama, e c’erano i russi, rappresentati da Putin, oltre alla Merkel, meravigliosamente vestita in nero e in realtà un pochino fuori luogo, dato che i tedeschi all’epoca erano il nemico (allo stesso modo teneramente fuori luogo il presidente Napolitano, visto che erano nemici anche gli italiani, anche se non più nel ‘44 grazie all’8 settembre e ai partigiani). Beh, i potenti della Terra, che avrebbero dovuto far mostra di slancio reciproco e volontà di collaborazione, non erano proprio in armonia col settantesimo compleanno, per un pezzo Putin e Obama si sono evitati, per via dell’Ucraina, e Hollande s’è dovuto portare a cena Obama, l’altra sera, per salvarlo da un imbarazzante incontro col presidente russo. Obama, mentre parlava con la regina Elisabetta, ha fatto finta di non accorgersi della presenza di Putin. Putin, durante la seduta fotografica, ha fatto finta di non accorgersi della presenza di Obama. E però poi i due si sono parlati e forse il ghiaccio s’è rotto.
• Che cosa si sono detti?
Secondo la tv all-news francese BFM Obama e Putin hanno chiacchierato un quarto d’ora nella hall del castello. La Casa Bianca ha fatto sapere: «È stato un meeting informale e non un incontro bilaterale». Il portavoce Peskov ha poi confermato che avevano parlato dell’Ucraina. Le agenzie avevano da poco battuto una dichiarazione del presidente Usa secondo la quale o Putin si sbriga a metter fine al massacro in Ucraina calmando i suoi o scatterà presto la terza linea di sanzioni, assai più pesante delle precedenti. A queste minacce, Putin, ufficialmente, non ha risposto. Ma prima aveva incontrato Poroshenko, il presidente ucraino eletto il 25 maggio e su cui Mosca spara in genere a zero. I russi non lo hanno ancora riconosciuto come legittimo presidente, ma intanto Putin ci ha ragionato insieme e questo è un fatto. Era presente anche la Merkel, che parla perfettamente russo. Putin s’è poi spiegato con i cronisti. Ha detto: è necessario un immediato cessate il fuoco nell’Ucraina dell’Est per creare le condizioni del dialogo; mi aspetto da Poroshenko un atteggiamento di “buona volontà” e “saggezza da statista”; Mosca è pronta a una discussione costruttiva sulla questione del debito contratto dall’Ucraina per la fornitura di gas russo; con Poroshenko siamo d’accordo che il bagno di sangue deve essere fermato. La Merkel, che non è affatto nemica di Mosca, ha aggiunto: «La Russia deve assumersi la sua grande responsabilità».
• Resta pochissimo spazio per parlare del D-Day.
Obama è sceso dalla macchina tenendo un braccio sulla spalla di un veterano che ha davvero partecipato allo sbarco. Ha detto: «Vorrei che fosse qui mio nonno». Suo nonno combatteva con Patton.
• Perché si chiama D-Day? Perché si chiama “Il giorno più lungo”?
D-Day è una sigla normale per un attacco, e comunque quella volta la adoperò Eisenhower, comandante di tutta l’operazione e poi presidente Usa (1952-1960). «Il giorno più lungo» è invece una definizione del grande generale tedesco Erwin Rommel, secondo il quale tutto si sarebbe deciso nelle prime ventiquattr’ore (e così fu). Con quel titolo, nel 1962, ci hanno fatto anche un film. Si prenda il dvd.