Fior da fiore, 8 giugno 2014
La ‘ndrangheta è anche al Nord • Il piano del governo contro la corruzione • La corruzione allontana gli investimenti stranieri • Boom di aziende agricole gestite da trentenni • Paperino compie 80 anni
‘Ndrangheta All’indomani del verdetto della Cassazione che ha reso definitive le quasi cento condanne nel primo troncone del processo chiamato Crimine-Infinito, che sull’asse Milano-Reggio Calabria ha svelato e accertato la struttura unitaria della ‘ndrangheta e le sue propaggini al Nord, direttamente collegate con il centro dell’organizzazione criminale, il procuratore aggiunto Ilda Boccassini — responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Milano — esprime tutta la sua soddisfazione: «Questa sentenza non è una vittoria della sola Procura, ma degli interi uffici giudiziari milanesi. Oltre gli inquirenti, anche il tribunale e la corte d’appello hanno dato prova di grandissima professionalità, che ci ha consentito di arrivare a questo storico risultato a meno di quattro anni dagli arresti». Alla base dell’inchiesta che nel luglio di quattro anni fa portò a trecento arresti tra la Lombardia e la Calabria, ci sono migliaia e migliaia di ore di intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno rivelato la presenza di «locali» di ‘ndrangheta in tutta la Regione, da Milano a Cormano, da Corsico a Pavia passando per Legnano, Solaro, Rho, Erba e Desio. «Registrate, ascoltate e incrociate con la professionalità di investigatori e inquirenti che hanno saputo trarre quella conclusione che ora segna la principale novità rispetto alle indagini del passato: la struttura unitaria dell’organizzazione criminale. [...] E al di là dei risvolti giudiziari, questa conclusione rafforza l’idea della pericolosità raggiunta dalla ‘ndrangheta, [...] Per chi ancora dovesse fare fatica a riconoscere che le cosche e le ‘ndrine si sono infiltrate nel tessuto connettivo più produttivo del Paese, la sentenza della Cassazione — con tutto il lavoro che c’è dietro — è una risposta che nessuno potrà più cancellare» (Bianconi, Cds).
Corruzione «Matteo Renzi che, da Napoli, rilancia il Daspo per i politici corrotti. Pietro Grasso, presidente del Senato, che da Comiso propone una «mozione La Torre» per togliere anche il vitalizio a chi si macchia di quei reati, perché la corruzione «è come la mafia e va combattuta con gli stessi mezzi». Da una parte l’Expo, dall’altra il Mose. In mezzo il Pd, alle prese col coinvolgimento di Primo Greganti a Milano e del sindaco Giorgio Orsoni a Venezia. Personaggi che, finora, i renziani avevano cercato di tenere distinti dal «nuovo Pd» Greganti perché «di un’altra epoca», Orsoni perché (parole di Luca Lotti) «non iscritto al partito». Renzi, invece, intervistato al Teatro San Carlo da Ezio Mauro, nell’ambito della kermesse La Repubblica delle idee, non fa sconti. «Il problema — dice — riguarda anche il Pd. A Venezia c’è una chiara responsabilità della politica, anche della mia parte. Guai a chi dice se uno è iscritto o no». E Milano? «Greganti è stato un errore e non posso dire solo che io non c’ero. Nel partito ci sono anche persone con responsabilità gravi ma quando è stato proposto l’arresto di Genovese non abbiamo cercato scuse, votando a favore». E questo perché, ripete Renzi nelle vesti di segretario, «non c’è Pd che tenga, ci sono ladri e persone perbene. Se nel Pd c’è qualcuno che ruba va a casa a calci nel sedere». Dice anche che le vicende dell’Expo e di Venezia l’hanno «molto colpito» perché «ci sono gli stessi che sentivo al tiggì quando andavo al liceo» e perché «si parla anche di magistrati e finanzieri, rappresentanti non dei ladri ma delle guardie». Per questo, dice Renzi, «venerdì ci sarà un provvedimento ad hoc» per dare i poteri a Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione, ma — annuncia il premier — «non esiste la supernocciolina di super Pippo». Il problema «non è fare provvedimenti spot, tanto per dire che lo Stato reagisce», ma occorre «una riforma radicale: chi viene condannato per corruzione, non deve mettere più piede negli appalti pubblici. Questo è il Daspo». E poi serve «una risposta culturale: la legalità deve essere un valore, non un optional». Ma cosa ci sarà nel provvedimento? Una cosa Renzi la fa capire: «Ci sono Autorities che non funzionano, che si sono accorte di un appalto... Cantone prenderà anche queste funzioni». Il riferimento sembra all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Poi c’è la riforma della giustizia: «Il pacchetto con le norme sul falso in bilancio sarà pronto tra 15 giorni» (Menicucci, Cds). [Sull’argomento leggi anche il Fatto del giorno]
Investimenti esteri 1 Il Censis, nel sesto numero del «Diario della transizione», svela che negli ultimi sei anni gli investimenti diretti esteri in Italia sono crollati: nel 2013 sono stati pari a 12,4 miliardi di euro, il 58% in meno rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi. I momenti peggiori sono stati il 2008, in cui i disinvestimenti hanno superato i nuovi investimenti stranieri, e il 2012, l’anno della crisi del debito pubblico. Fra le cause del declino figurano la cattiva reputazione dell’Italia per la corruzione diffusa, il crimine organizzato, gli scandali politici, le lungaggini burocratiche, l’impossibilità di ottenere sentenze in tempi ragionevoli, le infrastrutture carenti e i costi troppo alti dei servizi. L’Italia pur restando la seconda potenza manifatturiera d’Europa e la quinta nel mondo, detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia e il 5,8% del Regno Unito.
Investimenti esteri 2 L’Italia si piazza appena al 65° posto nella graduatoria mondiale dei fattori determinanti la capacità attrattiva di capitali per un Paese, cioè le procedure, i tempi e i costi per avviare un’impresa, ottenere permessi di costruzione e risolvere controversie giudiziarie: ad esempio per ottenere tutti i nullaosta, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni, contro i 97 in Germania. In Europa solo Grecia, Romania e Repubblica ceca presentano condizioni per fare impresa più sfavorevoli delle nostre.
Aziende agricole 1 Quasi un’impresa agricola su tre nata nell’ultimo decennio è giovane. Il 6,9% dei titolari ha meno di 35 anni e oltre il 30% di loro sono laureati. Guidano 54.480 aziende agricole che, nel 70% dei casi, svolgono attività multifunzionali: accanto alla coltivazione della terra ci sono agriturismo, fattorie didattiche, vendita diretta dei prodotti oppure loro trasformazione in azienda per produrre formaggi, vino, olio, ma anche pane, birra, salumi, gelati, cosmetici. Un settore che - mentre la spesa alimentare degli italiani è crollata ai minimi da 33 anni - è in continua espansione: nel 2013 ha fatturato quasi 20 miliardi di euro, in crescita del 65% rispetto al 2007, primo anno della crisi. Nel 2013 sono stati 15 milioni gli italiani che, almeno qualche volta, hanno fatto la spesa dal contadino, nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori, spesso in una delle 9 mila fattorie della rete «Campagna Amica» di Coldiretti, con un giro d’affari di 3 miliardi di euro in crescita del 25% su base annua. In 7 milioni hanno invece partecipato ai «Gas», i gruppi di acquisto solidale, per approvvigionarsi direttamente dai produttori, spesso a chilometri zero o quasi. I cibi biologici sempre l’anno scorso hanno fatturato 3,1 miliardi (+8,8%) e il 45% degli italiani li hanno messi nel carrello, regolarmente o almeno ogni tanto. (Bressani, Sta)
Aziende agricole 2 Un sondaggio Coldiretti-Ixé rivela che il 32,7% degli italiani desidererebbe tornare a vivere in campagna, dove spera di trovare nuove opportunità occupazionali ma anche una migliore qualità della vita, e 46 giovani under 35 su cento lascerebbero il loro impiego attuale per diventare imprenditori agricoli (+10% in un anno) se solo potessero acquisire un terreno (ibidem)
Paperino 1 Le prime parole pronunciate da Paperino, ottant’anni fa, erano già una scusa per non lavorare (il 9 giugno 1934, nel film La gallinella saggia proiettato in un cinema della California): «Chi io? Oh no, io ho un gran mal di pancia» (Silipo, Sta).
Paperino 2 «In ottant’anni è cambiato il suo aspetto fisico (allora gli animatori Dick Huemer e Art Babbit lo avevano disegnato bassissimo, con il becco molto più lungo e i piedi palmati più grossi) ma la sua voglia di lavorare non è affatto aumentata: indolente, collerico, squattrinato e schiavizzato dal ricco Zio Paperone nel tentativo di estinguere l’inesauribile lista di debiti, Paperino è il più umano dei personaggi Disney, un perdente che non si rassegna mai alla sconfitta, in netta contrapposizione con il vincente Topolino. Al pessimo carattere si accompagna la sfortuna: se la sua data di nascita ufficiale è il 9 giugno, quella disneyana è la tempestosa notte di un venerdì 13. E i segni del destino avverso si ripetono: abita al numero 13, ha un’auto targata 313. Una sorte talmente simbolica da sconfinare dalle strisce disegnate per abitare l’inconscio individuale e collettivo. “Paperino è un personaggio ad altissima capacità di identificazione - spiega infatti la psicologa Stefania Andreoli - perché ha molte sfaccettature. È sfortunato, ma anche simpatico. Lavativo, ma generoso. Ha un carattere ricco di chiaroscuri, proprio come tutti, nella vita reale. Per qualcuno rappresenta il bambino che si nasconde dietro ognuno di noi, io lo vedo piuttosto come un eterno adolescente, sfrontato e insicuro, alle prese con grandi potenzialità e contraddizioni altrettanto grandi. Ha profondità, nonostante sia un personaggio dei fumetto: lo vedrei bene sul lettino dell’analista”» (ibidem).
(a cura di Roberta Mercuri)