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 2014  giugno 02 Lunedì calendario

Il matrimonio tra Alitalia ed Etihad è cosa fatta. I vertici delle due compagnie ieri hanno annunciato, congiuntamente, che è pronta la lettera degli emiri in cui saranno precisate «le condizioni e i criteri per il proposto investimento nel capitale da parte della compagnia»

Il matrimonio tra Alitalia ed Etihad è cosa fatta. I vertici delle due compagnie ieri hanno annunciato, congiuntamente, che è pronta la lettera degli emiri in cui saranno precisate «le condizioni e i criteri per il proposto investimento nel capitale da parte della compagnia».

Di quanti soldi si tratta?
Il ministro Lupi ha detto che gli arabi metteranno seicento milioni. È più di quanto si pensava. In cambio di questo dovrebbero avere una quota prossima al 49 per cento delle azioni. Gli è stato chiesto se si creerà una bad company e Lupi ha risposto di no. Ma è questione di terminologia: non si chiamerà “bad company”, ma “old company”.  

Che cos’è una bad company?
Una compagnia cattiva. Carichi su questa compagnia tutti i problemi (debiti, esuberi, contenziosi) e crei un’altra compagnia pulita e felice che prosegue l’attività buona. Nel caso di Alitalia, si sa già che sarà costituita una nuova società (Newco) posseduta al 49% dagli emiri e al 51% dai vecchi soci Cai (tra cui le Poste). Era impossibile dare agli arabi la maggioranza, per un veto dell’Unione europea. Ma Dubai comanderà lo stesso, perché sarà comunque il socio di maggioranza relativa. Se mettono 600 milioni e avranno il 49%, gli altri soci dovranno mettere altri 600 milioni o rinunciare. Staremo a vedere.  

Che condizioni hanno posto gli emiri?
Non è ancora ufficiale, ma si sa che quelli di Etihad pretendono: un taglio degli organici di tremila-tremilacinquecento dipendenti, che gli italiani fidano di ridurre a 2.500 e forse a qualcosa di meno. Il personale Alitalia consta di 14 mila addetti, al momento. I tagli andranno fatti prima dell’arrivo del nuovo socio e si sa già che per questo si adopererà il Fondo Volo, già rifinanziato con 28 milioni, ma che avrà probabilmente bisogno di altri soldi. Per inciso: il Fondo Volo, presso l’Inps, è quello con cui si pagano le pensioni al personale delle compagnie aeree, pensioni piuttosto privilegiate rispetto agli altri italiani (si prende di più, ci si ritira prima). Anche se sentiremo ogni sorta di mugugno, non sarà complicato in realtà far scivolare gli esuberi verso la pensione, quando non troveranno posto in altre compagnie: i piloti italiani sono ricercatissimi all’estero, tanti di Alitalia, in questi anni, sono passati ad Emirates. C’è poi un debito da un miliardo, in gran parte in mano alle banche. Le banche si sono rassegnate ad allungare i termini del rimborso e dovrebbero essere disponibili a rinunciare a 400 milioni in cambio di un pezzetto di società. Le banche, tra l’altro, sono già azioniste, Intesa è anzi l’azionista più importante col 20,59% seguita da Unicredit, terzo socio col 13%. Le banche si sono alla fine rassegnate al sacrificio perché fidano in una rivalutazione delle loro azioni. Nel piano di Etihad, la compagnia dovrebbe cominciare a guadagnare nel 2017 e non smettere più. Nei suoi settant’anni di vita Alitalia ha chiuso i bilanci in utile solo due volte e per poco.  

Come intendono far guadagnare la compagnia?
Nel piano, gli emiri si dànno cinque anni di tempo. Strategia imperniata sulla riduzione delle rotte brevi e sulla creazione di collegamenti lunghi: lancio da Roma Fiumicino di 7 nuove rotte in meno di 3 anni; ottimizzazione degli slot da Linate per la connessione con le capitali europei; incremento del lungo raggio da Malpensa con 25 nuovi voli settimanali nel 2018 rispetto agli attuali 11. Malpensa al centro del traffico cargo, Fiumicino hub dei passeggeri con contestuale rafforzamento di Linate. Città da collegare: Pechino, Città del Messico, Santiago del Cile, San Francisco, Seul, Shanghai. Più voli verso Chicago, New York e Rio, più voli da Abu Dhabi verso Roma, Milano, Venezia, Catania, Bologna. Nel 2018, quando la fase di ristrutturazione sarà conclusa, le destinazioni domestiche saranno 26, quelle internazionali 61 e le intercontinentali 18, per 105 destinazioni complessive e un flusso di passeggeri che sfiorerà, sempre nel 2018, i 23 milioni. Il primo utile, nel 2017, sarà di 108 milioni, con un fatturato a 3,7 miliardi. Calcolano che nel 2023 il fatturato sarà salito a 4,5 miliardi e l’utile a 212 milioni. Puntano a un load factor
(riempimento degli aerei) dell’80% già dal 2017.  

È assurdo pensare che questo accordo potrebbe aprire altre occasioni d’investimento in partnership con Abu Dhabi?
La cosa è stata già fatta capire dal loro ministro degli Esteri Zayed al Nahyan, fratello del principe ereditario Sheikh Mohammed, a sua volta fratellastro di Khalifa, signore dell’emirato e presidente dell’Unione dei sette Emirati, tutta gente che ha in Etihad un interesse diretto. Negli Emirati operano già oggi 300 imprese italiane, che fanno di quel paese il nostro primo partner commerciale in Medio Oriente con scambi per cinque miliardi e mezzo di dollari. Saipem e Technimont stanno costruendo la prima tratta di una ferrovia da un miliardo, Salini-Impregilo è in corsa per la seconda tratta, un pacchetto che, per tutte e quattro le tratte, vale due miliardi e seicento milioni. L’Eni ha aperto un ufficio ad Abu Dhabi (petrolio e gas). Inoltre: Expo 2020 si terrà a Dubai. L’alleanza con Expo 2015, cioè con Milano, è già stata stretta. 438 ettari da costruire, per sei miliardi e mezzo di investimenti. Senza contare il traffico passeggeri: l’anno prossimo per l’Expo nostra e tra sei anni per l’Expo loro.