Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 26 Lunedì calendario

Il voto in Italia ed Europa • Il Papa si impegna per la pace con Israele e Palestina • Il nuovo presidente ucraino è Petro Poroshenko • Morto un fotografo italiano a Sloviansk • E’ morto anche Jaruzelski

Voto/1 Per le elezioni Europee ha votato il 57,2% degli aventi diritto, quasi 9 punti in meno rispetto al 2009. Stando alla quarta proiezione Ipr, il Pd sfiora il 41,5% mentre il M5S è al 21,5%. Forza Italia è al 16,5%, sotto la soglia di sopravvivenza fissata da Silvio Berlusconi. La Lega raggiunge il 6% di media nazionale (con punte molto alte in Lombardia e in Veneto). Mentre, a sorpresa, la lista di sinistra ispirata da Alexis Tsipras nella notte veniva accreditata al 4,1%, il Nuovo centro destra di Alfano al 4,3: hanno superato la soglia di sbarramento, che alle Europee è del 4%. Fratelli d’Italia si ferma al 3,4%. Male Scelta europea allo 0,7%. In termini assoluti, se verranno confermate le percentuali delle proiezioni, il Partito democratico avrebbe preso più di 11 milioni di voti, con un notevole incremento rispetto al risultato delle Politiche del 2013. Alle Europee del 2009 il Popolo delle libertà rastrellò 10 milioni 767mila 965 voti che tradotto in percentuale toccava quota 35. Il Pd del segretario Dario Franceschini non andò oltre il 26,1% ottenendo 7 milioni 98omila 455 voti. Cinque anni fa il terzo partito era la Lega (10,2), il quarto l’Idv di Di Pietro (7,90), il sesto l’Udc (6,5) mentre la somma dei voti di Rifondazione e quelli di Sel superavano abbondantemente il 7%. [Sull’argomento leggi anche il Fatto del giorno]

Voto/2 In Francia Front National è risultato il primo partito con il 25,4% dei voti. Largo vantaggio sul partito del centrodestra Ump (fermo al 20%) e con 10 punti in più rispetto ai socialisti al governo (sotto al 15%). Il partito di Le Pen, da sempre ai margini, e che al precedente scrutinio europeo del 2009 non era andato oltre il 6%, ha quadruplicato il risultato: gli eurodeputati del Front National erano tre, saranno almeno 25. Il partito ha chiesto a Hollande di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni politiche, «stavolta con una legge elettorale proporzionale», ha aggiunto Marine Le Pen.

Voto/3 In Gran Bretagna l’Ukip antieuropeista di Nigel Farage (31,9%) ha messo in ginocchio i tory (che sono al 24,2%), ha distrutto i liberaldemocratici (6,9%) superati anche dai verdi (7,64%) e frenato i laburisti (22,9%) che comunque avanzano (anche se ben sotto le aspettative).

Voto/4 In Germania, secondo gli exit poll della televisione Zdf, ai cristiano-democratici della Merkel è andato il 35,4%, 2,5% in meno rispetto al 2009 e 6,1% in meno sulle politiche dell’anno scorso. Spd ha ottenuto il 27,2 %: di più rispetto al voto politico di settembre e soprattutto rispetto alle precedenti elezioni europee, dove la Spd ottenne solo il 20,8%.

Voto/5 Sintetizza Offeddu sulCdS: «I primi risultati degli exit poll fotografano quello che sarà il nuovo Parlamento europeo: un arco estremamente frammentato, dove quasi tutti i partiti anti-europeisti nei vari Paesi dovrebbero aver quasi triplicato i loro voti - passerebbero insieme da 56 a 143, contando anche i senza tessera - e già si lanciano appelli all’alleanza; e dove però i grandi, i popolari e i socialisti che entrambi guardano a Berlino, sembrano reggere le loro postazioni. Il Ppe prevarrebbe con 212 seggi, i Socialisti e Democratici seguirebbero con 185, e i liberaldemocratici con 71. Se mai davvero gli anti-europeisti reclameranno il premio dell’avanzata - ma prima dovranno dimostrare di avere i numeri e la concordia - allora potranno essere solo loro, i popolari e i socialisti, a fare argine. Per ora, si può prendere atto della probabile nomina a presidente della Commissione europea del popolare Jean-Claude Juncker, che avrebbe prevalso sul socialista Martin Schulz, più diretto concorrente (…) Si può riflettere sull’importante dato sull’affluenza alle urne: 60 per cento in Italia, 90 per cento in Belgio e Lussemburgo, giù giù fino al 13 per cento della Slovacchia. Non c’è stata in generale la frana che si temeva rispetto alle elezioni del 2009, anzi i votanti sono stati più numerosi di allora, segno (forse) che il disincanto si può ancora fermare; ma il tempo per il recupero non sarà lunghissimo, né garantito. I primi risultati provvisori consentono poi un primo, molto vago scenario. Perde rovinosamente François Hollande con i suoi socialisti; vincono Angela Merkel in Germania (il suo partito avrebbe lasciato qualche voto per strada, ma è sempre oltre il 35 per cento e la sua coalizione con i socialdemocratici è sempre ben salda), Alexis Tsipras in Grecia (che si sarebbe fermato al 26,7% per cento), gli indipendentisti dell’Ukip in Gran Bretagna (primo partito con oltre il 30%), gli euroscettici in Danimarca (il loro partito anti-immigrati il primo del Paese), e quelli in Austria, in Belgio, nella stessa Germania. Poi, naturalmente, Marine Le Pen, che ha con sé un quarto della Francia, e reclama da Hollande la guida del governo». Ha commentato Mario Draghi: «Gli elettori in tutta Europa si sono chiaramente allontanati, vogliono risposte».

Papa Papa Francesco in piazza a Betlemme, durante una messa, ha lanciato la proposta: «In questo luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a lei, signor presidente Mahmoud Abbas, e al signor presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera». Lo ha ripetuto negli stessi termini al presidente israeliano che lo accoglie a Tel Aviv con il premier Netanyahu, appena sceso dall’elicottero giordano che lo ha accompagnato dalla Palestina. Anche la proposta è stata preparata e preceduta da sondaggi diplomatici, i due presidenti di lì a poco hanno fatto sapere che accettano, fonti palestinesi parlano già del 6 giugno e comunque è questione di poche settimane, il 27 luglio scade il mandato di Peres.

Ucraina In Ucraina Petro Poroshenko è il nuovo presidente con un largo margine, il 55,9%, e dunque non ci sarà bisogno del secondo turno. Il primo discorso è per annunciare il viaggio sarà nel Donbass: «In tre mesi arriveranno i risultati nel processo di pacificazione». Affluenza record per il Paese: oltre il 60% su 41,8 milioni di elettori, compresi gli 1,8 della Crimea e i quasi 5 delle regioni di Donetsk e Luhansk. Proprio a Donetsk il gruppo dirigente dei filo russi aveva annunciato che qui non si sarebbero tenute le elezioni. E così è stato: tutte le scuole in cui si era celebrato il referendum indipendentista dell’11 maggio sono state chiuse. Intanto l’ex pugile Vitali Klitschko sarà il nuovo sindaco di Kiev.

Fotografo Sono morti a Sloviansk  il fotografo italiano Andrea Rocchelli e il giornalista italo-russo (con un passato da dissidente sovietico e ultimamente inviato del giornale di Anna Politkovskaja “Novaja Gazeta”), Andryj Mironov, uccisi ieri durante uno scontro e un bombardamento di mortai. Recuperarli non è stato facile. I miliziani hanno dovuto sfidare l’artiglieria dell’esercito ucraino che da più di un mese circonda Slaviansk. I due giacevano all’interno di una buca, all’ingresso del villaggio di Alekeseeva a un poco più di un chilometro dalla città. Sono morti sul colpo uccisi da colpi sparati dall’esercito ucraino: Rocchelli crivellato dai proiettili, Mironov decapitato da un proiettile di mortaio.

Jaruzelski E’ morto Wojciech Jaruzelski, 91 anni. Nacque nel 1923 vicino Lublino in una famiglia molto cattolica della piccola nobiltà polacca. Mentre la Germania invadeva la Polonia da occidente e l’Armata Rossa, qualche giorno dopo, faceva altrettanto da oriente, la famiglia Jaruzelski fuggì e trovò rifugio per qualche tempo in Bielorussia e in Lituana. Ma il padre venne incarcerato, inviato in un campo di concentramento e liberato soltanto quando la sua salute era ormai minata dal trattamento subito durante la prigionia. La situazione, tuttavia, cambiò quando l’Urss offrì agli esuli polacchi la possibilità di combattere contro la Germania in formazioni militari comandate dai loro ufficiali. Mentre molti seguivano il generale Anders per raggiungere gli Alleati sul fronte italiano, al giovane Wojciech toccò in sorte un reggimento destinato a seguire l’Armata Rossa nella grande campagna che si sarebbe conclusa con la conquista di Berlino. Fece una brillante carriera nell’esercito e nel partito. Divenne membro del Politbjuro nel 1964, capo di stato maggiore dal 1965 al 1968, ministro della Difesa dal 1968 al 1983. In Polonia i grandi piani lanciati sul modello sovietico avevano generato aziende improduttive, salari insufficienti, negozi vuoti e un diffuso malessere sociale. Le prime agitazioni cominciarono nei cantieri navali di Danzica quando un elettricista, Lech Walesa, convinse i suoi compagni a scioperare e fondò un sindacato dissidente, Solidarnosc. Sorpreso da avvenimenti che non riusciva a controllare, il segretario del partito (Stanislaw Kania) credette che il governo avesse bisogno di un militare e chiamò Jaruzelski alla presidenza del Consiglio. Pochi mesi dopo il pupillo si rivoltò contro il tutore e lo sostituì alla segreteria del partito. Tre mesi dopo l’avvento alla testa del partito, nel dicembre 1981, Jaruzelski proclamò la legge marziale e soffocò le proteste con mezzi bruschi. La legge marziale durò poco meno di due anni durante i quali la Polonia fu governata con piglio militaresco da un Consiglio di salvezza nazionale. Jaruzelski sostenne più tardi che il suo gesto aveva evitato l’invasione sovietica della Polonia e cercò di provare la sua buona volontà lanciando segnali verso la Chiesa cattolica. Jaruzelski ebbe comunque il merito di comprendere che l’elezione di Michail Gorbaciov alla segreteria generale del Partito comunista sovietico avrebbe rafforzato gli oppositori del regime polacco e reso il Paese sempre meno governabile. Si deve almeno in parte a lui se la Polonia riuscì a preparare l’uscita dal comunismo prima della caduta del Muro (Romano, CdS).

(a cura di Daria Egidi)