20 maggio 2014
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Biografia di Giuseppe Madonia
• Vallelunga Pratameno (Palermo) 18 dicembre 1946 Mafioso. Detto “Piddu ‘a chiacchera”. Figlio del fu Francesco Madonia, detto “Ciccio”, morto nel 2007, già capo della famiglia di Resuttana (quartiere a nord di Palermo), alleato di Totò Riina fin dalla guerra di mafia degli anni Ottanta.
Capo indiscusso della provincia di Caltanissetta e membro della commissione regionale di Cosa Nostra. Arrestato, dopo dieci anni di latitanza, il 7 settembre 1992, a Longare (Vicenza). Il questore Achille Serra, capo del Servizio centrale operativo: «Dopo la cattura di Liggio, è la prima volta che arriviamo a prendere un boss della Cupola». Al momento dell’arresto esibiva documenti falsi e fingeva di essere un medico. Immediatamente sottoposto al 41 bis.
• «Il giovane “figlio di famiglia” di Vallelunga Pratameno assume lo status di vero boss quando si dà alla macchia, quando è nell’elenco dei superlatitanti di Cosa Nostra. Sono gli anni nei quali il suo esercito sbarca a Gela. Perché proprio lì? Il perché sono 220 miliardi di appalti per la realizzazione della diga del Disueri. Piddu va lì con le sue imprese e i suoi killer ma trova ad aspettarlo gli “stiddari”, i mafiosi delle “stelle”, bande di uomini d’onore non organici alla Cosa Nostra. Morti su morti, 110 solo a Gela in 21 mesi. Attacca verso sud la provincia e intanto stringe meglio le alleanze con i catanesi di Santapaola. Con Totò Riina il legame è quasi di sangue. Ma Piddu non si ferma, nella provincia di Agrigento c’è un vuoto e lui lo riempie. E diventa un capo anche a Canicattì, a Camastra, a Ravanusa, a Palma di Montechiaro. Adesso è un re, brilla di luce propria, comanda anche a Palermo. Lo diceva Falcone prima di andarsene a Roma: “In provincia, dobbiamo scavare là perché là c’è la mafia che comanda davvero...”» (Attilio Bolzoni, “la repubblica”, 8/9/1992).
• Condannato in via definitiva all’ergastolo per le stragi di Capaci e di via D’Amelio il 18 settembre 2008, sta scontando altre condanne definitive per associazione mafiosa e omicidi vari (tra gli altri di un Filippo Tuttobene, pastore, impiccato e dopo carbonizzato, nel 1986, per avere rubato il bestiame a qualcuno che godeva della protezione di Cosa Nostra). Il 23 aprile 2013 è stato colpito da ordinanza di custodia in carcere per omicidi commessi negli anni 90 nel corso della guerra dichiarata agli Stiddari (sulle stidde, vedi AVARELLO Giovanni).
• Grande Oriente Il 10 maggio 1996, a Catania, in via Quintino Sella, veniva ucciso Gino Ilardo, suo cugino, da due killer in moto che gli spararono addosso mentre stava scaricando la macchina prima di entrare in garage. Era confidente del Colonnello dei Ros, Michele Riccio, dal 1993. Il 14 maggio sarebbe iniziato il programma di protezione per lui, la sua compagna e i due figli. In codice “Oriente”, ha dato il nome all’operazione “Grande Oriente”, che nel 1998 ha fatto finire in manette gli uomini di Piddu nella Provincia di Caltanissetta e mafiosi di spicco che curavano la latitanza di Provenzano. In contatto continuo con Riccio, il 31 ottobre 1995 aveva portato i Ros fino a Provenzano, dritto dritto al suo rifugio di Mezzojuso, aspettandosi da un momento all’altro il blitz, che invece non ci fu (il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati per questo di favoreggiamento, il 17 luglio 2013 sono stati assolti in primo grado). Il 12 giugno 2013 Piddu è stato colpito da ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di avere ordinato l’omicidio. La Procura di Catania ha aperto anche due fascicoli contro ignoti, per individuare i mandanti occulti dell’omicidio e i pubblici ufficiali infedeli che passarono ai mafiosi la notizia che Ilardo era un confidente. Oltre a consentire l’arresto di mafiosi, infatti, Ilardo aveva riferito a Riccio di un accordo di Cosa Nostra con Forza Italia «in vista di futuri vantaggi attinenti al trattamento penitenziario e alla legislazione antimafia» (dal decreto di rinvio a giudizio del processo sulla c.d. Trattativa Stato-Mafia, che cita, tra le fonti, l’informativa “Grande Oriente” redatta dal colonnello Riccio – vedi Ciancimino Massimo). Aveva anche detto a Riccio che un «insospettabile esponente dell’entourage di Berlusconi era in contatto con la mafia». Si riferiva a Marcello Dell’Utri (Nicola Biondo, Sigfrido Ranucci, Il Patto) (a cura di Paola Bellone).