18 maggio 2014
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Biografia di Riccardo Viti
Firenze, 1959. Maniaco. Killer. Arrestato all’alba di venerdì 9 maggio 2014 per aver denudato, legato a una sbarra come in una crocifissione e seviziata con un bastone a Ugnano, periferia di Firenze, la prostituita romena di 26 anni Andreea Cristina Zamfir (morta per emorragia la notte fra il 4 e il 5 maggio). Dopo l’arresto è venuto fuori che stuprava e seviziava prostitute da quindici anni. «Rendevo edotte le ragazze che non essendo io dotatissimo dal punto di vista sessuale, le avrei penetrate con un bastone. La penetrazione fatta in questo modo mi dava piacere. Se la prostituita manifestava disappunto o strillava, la lasciavo lì legata e nuda e scappavo per la paura».
• Ritratto di Riccardo Viti: occhi chiari, pelato, doppio mento, soprappeso, diploma di ragioniere, la passione per il karate (giudice arbitro), una fissazione per la musica – ascolta solo le colonne sonore dei film – e per la Seconda guerra mondiale («così ho qualcosa di cui parlare»). I vicini, che lo vedevano spesso con la mamma al supermercato a riempire il carrello di caramelle e dolciumi, lo dipingono come «un bamboccione», uno introverso, timido, un po’ ruvido, ma gentile, che si offriva di portare su la spesa ai pensionati e che non trovando un lavoro suo andava ad aiutare il padre che fa l’idraulico. Quando sono andati ad arrestarlo in via Locchi, a Firenze, nell’appartamento comunicante con quello degli anziani genitori in cui abitava con la moglie ucraina (sposata nel 2005) e il figlio adolescente di lei, ha detto: «Sono finito, ormai non mi salva più nessuno». Nel suo garage sono stati trovati manici di scopa tagliati per le sevizie e il nastro adesivo dell’ospedale di Careggi, identico a quello con cui erano state legate altre due donne: lo aveva portato a casa sua moglie, che lavora nel policlinico per un’impresa di pulizie.
• Subito dopo l’arresto, in sette ore di interrogatorio, Viti non ha versato una lacrima. «Mi dispiace tanto per i miei genitori» è stato uno dei suoi primi pensieri. Ha raccontato: «La mia donna va a letto presto, io in casa da solo non ci so stare. Così esco e divento pericoloso». Per lui quegli incontri sono una «rivalsa», «le donne non mi hanno voluto nemmeno quand’ero ragazzo. Con loro non ho mai avuto fortuna». «Andare a puttane» è sempre stata un’abitudine, anche dopo che si è sposato. Ha detto che faceva l’amore con quelle che gli piacevano, le altre le legava e le violentava con un bastone. «Ricordo che mentre facevo il militare ho sfogliato un fumetto e ho visto l’immagine di una donna seviziata con un bastone. È nata da lì la mia passione per i giochi erotici sadici e siccome nessuna mi considerava ho cominciato a frequentare le prostitute perché a loro potevo chiedere di fare tutto quello che mi piaceva…».
• Viti, durante l’interrogatorio, a proposito di Andreea: «La scorsa domenica, di sera, sono partito da casa anche se non avevo in animo di fare alcunché. Nel girovagare mi sono trovato alle Cascine e lì ho incontrato una prostituta. La prima che mi è capitata. Ho spiegato a lei cosa volevo fare. Lei ha acconsentito e abbiamo pattuito la somma di 30 euro. Quando siamo arrivati a Ugnano, dopo averla legata, ho cominciato a sculacciare la ragazza e quindi sono passato a infilarle dentro il bastone. Quando ho sentito la ragazza urlare, dopo che ho spinto con veemenza il bastone e lei ha cominciato a strillare, sono scappato per la paura e le ho lasciato il bastone dentro. L’operazione è durata una decina di minuti. Sono scappato perché mi sono subito reso conto che l’atto espletato quella sera era andato troppo oltre. Ho perso il controllo di me stesso e sono scappato pensando alla mia famiglia. Probabilmente per salvarla bastava che, quando mi sono accorto che ero andato oltre, le avessi tolto il bastone che le avevo introdotto. Se tornassi indietro probabilmente avrei aiutato la ragazza e non l’avrei lasciata morire. Mi rendo conto di aver fatto una grossa sciocchezza».
• Portato nel carcere di Sollicciano, mentre veniva condotto dagli agenti in isolamento è stato colpito di striscio da un manico di scopa lanciato per dileggio, attraverso le sbarre, da un altro detenuto.