L’Illustrazione Italiana, 1° novembre 1875, 17 maggio 2014
Tags : Le applicazioni industriali del calore solare
Le applicazioni industriali del calore solare
L’Illustrazione Italiana, 1° novembre 1875
Appartiene ormai alla storia della scienza il celebre dialogo fra Buckland e Stephenson, mentre passeggiando vedevano passare un convoglio col suo lungo pennacchio di fumo.
«Ehi! Dottore», disse Stephenson, «vorrei farvi una domanda: sapreste dirmi qual è la forza che fa andare quel convoglio?»
« Una delle vostri grandi locomotive, m’immagino».
« Sì, ma chi fa andare la locomotiva?».
« Dianime! Un buon meccanico di Newcastle».
« E se fosse il sole?».
« Come sarebbe a dire?».
« Senza dubbio. E una luce rinchiusa nelle viscere della terra da secoli e secoli, giacché le piante hanno formato il carbon fossile e la luce e lor necessaria per condensare il carbonio che entra nel loro tessuto. Adesso, dopo essere rimasta seppellita per migliaja d’anni, questa luce latente c’è restituita, si sprigiona, lavora in questa locomotiva, per compiere i vasti disegni dell’uomo».
Non è tuttavia della utilizzazione del sole, nel senso in cui Stephenson aveva divinato una delle più belle teorie della scienza moderna, che noi intendiamo di trattare, ma bensi di quelle ricerche le quali tendono ad un mezzo pratico di raccogliere e di utilizzare direttamente i raggi solari a profitto dell’agricoltura e dell’industria nelle regioni più calde del globo. Si ingannerebbe a partito chi, malgrado il silenzio dei trattati di fisica a tale riguardo, riputasse recente la idea di utilizzare il calore solare. Tale idea e al contrario antichissima e, sviluppandosi lentamente attraverso i secoli, essa diede origine a una sequela di curiosi apparecchi, dei quali alcuni non meritavano per fermo l’oblio nel quale furono lasciati cadere, ed anzi, anteriormente alle scoperte di Papin, presentavano un carattere di pratica utilità assai più pronunciato che non i tentativi contemporanei di applicazione del vapore. Le opere, nelle quali si possono trovare gli elementi per una storia particolareggiata della questione, sono le Pneumatiche di Erone alessandrino, la Magia Naturale di Porta, le Ragioni delle forze motrici di Salamone di Caus, la Calamita di Kircher, la Meccanica Idraulico-Pneumatica di Schott, il Mondo matematico di Dechales, l’Architettura idraulica di Belidor, ecc. Vi è una lacuna di quasi sedici secoli fra Erone e Porta, ma è pienamente accertato che in questo lungo intervallo i dotti arabi hanno tradotto e commentato, non senza aggiungere probabilmente talune scoperte, i trattati di Fisica e di Meccanica degli antichi. Si sa, per modo d’esempio che Al-Farabi ed Alkindi si sono occupati di tale argomento; che Al-Gazzarri ha composto sullo stesso soggetto parecchie opere, i cui titoli ricordano quelli di alcuni scritti di Archimede, di Ctesibio, di Erone e che forse non sono altro se non una compilazione delle opere di questi illustri meccanici, ma si ignora se questi autori si sieno o meno occupati di applicazioni meccaniche del calore solare. Ad ogni modo non è nostra intenzione entrare nei particolari storici di una questione, alla quale non potrà mai negarsi un certo interesse: chi desiderasse conoscerli potrà giovarsi dell’opera del Mouchot, al quale principalmente si deve se, in tempi a noi vicini, ben lungi dal perdere di vista la soluzione dell’arduo problema, così giganteschi passi si fecero onde raggiungerla. Noi vogliamo semplicemente richiamare l’attenzione del lettore sopra una recente memoria letta dal signor Mouchot intenso a quella Augusto consenso ch’è l’Accademmia delle Scienze di Parigi; e perché non possono sorgere dubbii circa l’autenticità delle cose in essa asserite, ci affrettiamo a soggiungere che fra i nomi di commissarii che ne deliberarono la lettura si trovano quelli celeberrimi di Dumas, Faje, Bertrand e Lesseps.
Una tale ricompensa era ben dovuta ad un uomo che, come il signor Mouchot, da tanti anni infaticabilmente si adopera con lavori, studio ed esperienze, intendo al suo scopo con una tenacità veramente ammirabile.
L’apparecchio o ricettore solare, al quale dopo si lunghe ricerche egli devenne, componesi di tre parti distinte: uno specchio metallico a fuoco lineare, una caldaia annerita, il cui asse coincide con questo; un in viluppo di vetro, il quale permette ai raggi del sole di pervenire fino alla caldaia, ma si oppone alla loro uscita dal momento in cui questa li ha trasformati in raggi oscuri. Egli poté assicurarsi che il rapporto del calore utilizzato all’estensione della superficie di insolazione normale cresce con questa, od in altri termini che il rendimento di un grande generatore è più forte di quello di un piccolo. Del rimanente tutti gli apparecchi del Mouchot hanno la medesima forma senza riguardo alle dimensioni, e non differiscono gli uni dagli altri che per la disposizione della caldaia: i piccoli si rendono facilmente e si può dire che non abbiano quasi bisogno di sorveglianza alcuna; quanto agli altri, onde formarsene una idea, basterà descrivere il grande generatore che dall’inventore venne installato a Tours, or son tre anni.
Lo specchio che alla forma di un tronco di cono a basi parallele, o, se si voglia, d’un abat-jour con la sua apertura rivolta verso il sole. La generatrice di questo tronco di cono forma coll’asse un angolo di 45°, essendo questa, come lo provo’ Dupuis fin dallo scorso secolo, la forma migliore che si possa assegnare a questa sorta di specchi; poiché i raggi incidenti paralleli all’asse si riflettono allora normalmente a questo asse, ed hanno un fuoco di intensità maximum per una medesima apertura di specchio. La parete riflettente si compone di dodici settori di alpacca sostenuti da un telajo di ferro, nel quale sono scorrevoli: permettendo tale disposizione di levare ogni settore per pulirlo. Il diametro di apertura dello specchio e di metri 2,60 quello del fondo di un metro, da cui segue che la superficie di insolazione normale e di 4 metri quadrati.
Il fondo dello specchio è un disco di ghisa, aggiunto per diminuire l’effetto del vento: al centro di questo disco si eleva la caldaja, la cui altezza uguaglia quella dello specchio. La caldaja e in rame, annerita esternamente e si compone di due inviluppi concentrici in forma di campana, rilegati alla loro base da una ghiera di ferro: l’inviluppo maggiore a un’altezza di 80 centimetri, il più piccolo di 50 ed il loro diametri misurano rispettivamente 28 e 22 centimetri. L’acqua di alimentazione viene a trovarsi fra questi due in inviluppi in modo da formare un cilindro annullare di tre centimetri di spessore, però il volume del liquido non deve eccedere i 20 litri, onde lasciarne 10 all’incirca per la camera del vapore. L’inviluppo interno resta vuoto ed è terminato da un tubo di rame, che si apre da un lato nella camera del vapore, e comunica dall’altro mediante un tubo flessibile, sia col motore, sia col fornello d’un alambicco; un secondo tubo flessibile, che parte dal basso della caldaja, serve ad alimentarla: finalmente sulla condotta del vapore sono adattati degli apparecchi di sicurezza.
Così disposto, il generatore deve girare di 15 gradi per ora attorno ad un albero parallelo all’asse del globo ed inchinarsi gradatamente da questo albero, avuto riguardo alla declinazione del sole.
Per raggiungere questo doppio scopo, l’apparecchio si appoggia, mediante opportuni sostegni, su di un albero perpendicolare al loro asse, e questo albero forma da nord a sud coll’orizzonte un angolo uguale alla latitudine del luogo: di qui risultano due movimenti, che permettono al generatore di seguire il corso del sole, poiché, per una semi-rivoluzione dell’albero, esso gira da levante a ponente, mentre una rotazione annua di 46 gradi al più sui suoi sostegni lo conduce di prospetto al sole, qualunque sia la posizione apparente di quest’ultimo. Questi due movimenti si effettuano ciascuno mediante un ingranaggio a vite perpetua e non richiedono che un colpo di manovella, il primo di mezz’ora in mezz’ora, il secondo ad ogni otto giorni, il movimento da oriente a Occidente può anche essere reso automatico. Questo apparecchio non ha finora funzionato che al sole di Tours, ed ecco un saggio dei risultati con esso ottenuti.
L’8 maggio con un bel tempo, 20 litri d’acqua a 20 gradi, introdotti nella caldaja alle 8,30 del mattino hanno impiegato quaranta minuti per produrre del vapore a due atmosfere, vale a dire 121°: questo vapore si è seguito elevato rapidamente alla pressione di cinque atmosfere, limite che sarebbe stato pericoloso di oltrepassare, malgrado la regolarità del riscaldamento, non avendo le pareti della caldaia che 3 millimetri di spessore e lo sforzo totale da esse sopportato essendo allora di 40,000chilogrammi. Verso il mezzodi con 15 litri d’acqua nella caldaja, il vapore a 100 si elevava in meno di 15 minuti alla pressione di cinque atmosfere, od in altri termini alla temperatura di 153°.
Il 22 luglio, al tocco, con un calore eccezionale, l’apparecchio evaporò 5 litri d’acqua all’ora.
Dai risultati pertanto che il signor Mouchot ottenne in varii esperimenti, e indotto ha conchiudere che l’apparecchio utilizza nelle regioni temperate da 8 a 10 calorie per minuto e per metro quadrato.
Tuttavia per assicurare il successo di una nuova applicazione non basta il mostrare quanto ne siano razionali i principii, né far vedere sino a qual punto essa abbia ricevuto la sanzione dell’esperienza, è mestieri altresì nulla trascurare per farne conoscere il vero scopo, dissipando per quanto è possibile le obiezioni, le quali possono venire avanzate. La prima e la più grave consiste nel chiedere quali servizii si possono attendere dal sole nei giorni di pioggia, di nebbia ed anche semplicemente quando il cielo è coperto da nubbi. Per fermo, risponde il Mouchot, se dovunque alla superficie del globo lo stato del cielo fosse così variabile come presso di noi, non si potrebbe far calcolo sopra una simile risorsa: appena appena nel corso dell’anno si troverebbero brevi serie di belle giornate, le quali permetterebbero di raccogliere senza troppe intermittenze i raggi solari: d’altronde le sorgenti naturali del lavoro soprattutto l’abbondanza del carbon fossile possono dispensare nelle nostre regioni dell’aver ricorso all’impiego diretto del calore solare; ma ove si tratti delle regioni Intertropicali, la questione muta totalmente l’aspetto ed assume subito una certa importanza. In queste regioni l’astro maggiore si mantiene puro per dei mesi interi, per modo che riesce possibile di raccogliere regolarmente i raggi del sole per 10 o 12 ore del giorno: il loro tragitto pressoché verticale nell’atmosfera, la freschezza delle notti che sbarazza l’aria di una parte dei suoi vapori, tutto concorre a renderli di un ardore estremo.
Poiché, secondo ogni verisimiglianza, le applicazioni del calore solare non offrono nei nostri climi alcuna probabilità di successo, cade di per sé l’altra obiezione, per la quale si rimprovera ai nuovi sistemi di occupare uno spazio soverchio di non potere perciò essere utilizzati nelle grandi città: nella località infatti dove tale applicazione saranno realmente possibili ed utili, tutto potrà far difetto, eccetto lo spazio.
Del rimanente una volta ammessa la possibilità di trar partito, mediante un determinato apparecchio, del calore solare, una volta riconosciuto che esso può in certo modo sostituire il combustibile, il campo delle applicazione non ha più confini: dai modesti usi domestici senza spingersi alle industrie più elevate,v’è una quantità di applicazioni che mediante i ricettori solari potrebbero essere propagate nei paesi caldi, dove esse non poterono peranco svilupparsi, opponendosi come ostacolo principale la mancanza del combustibile. E quando si aggiungerà che l’illustre ingegnere americano Ericson, rapito così immaturamente alla scienza, aveva costruito una macchina messa in movimento dal vapore prodotto dalla combustione dei raggi solari, potrà agevolmente comprendersi la immensa portata di una tale applicazione, quando fosse resa praticamente ed economicamente possibile.
Noi teniamo per certo che uno dei motivi pei quali l’Accademia delle Scienze di Parigi si indusse ad accogliere nelle celebri pagine dei suoi Comtes Rendus il cenno del signor Mouchot, fu quello di darvi pubblicità, richiamandovi sopra l’attenzione degli studiosi; e nello stendere questo brevissimo cenno, noi abbiamo voluto modestamente cooperare al medesimo scopo.
Appartiene ormai alla storia della scienza il celebre dialogo fra Buckland e Stephenson, mentre passeggiando vedevano passare un convoglio col suo lungo pennacchio di fumo.
«Ehi! Dottore», disse Stephenson, «vorrei farvi una domanda: sapreste dirmi qual è la forza che fa andare quel convoglio?»
« Una delle vostri grandi locomotive, m’immagino».
« Sì, ma chi fa andare la locomotiva?».
« Dianime! Un buon meccanico di Newcastle».
« E se fosse il sole?».
« Come sarebbe a dire?».
« Senza dubbio. E una luce rinchiusa nelle viscere della terra da secoli e secoli, giacché le piante hanno formato il carbon fossile e la luce e lor necessaria per condensare il carbonio che entra nel loro tessuto. Adesso, dopo essere rimasta seppellita per migliaja d’anni, questa luce latente c’è restituita, si sprigiona, lavora in questa locomotiva, per compiere i vasti disegni dell’uomo».
Non è tuttavia della utilizzazione del sole, nel senso in cui Stephenson aveva divinato una delle più belle teorie della scienza moderna, che noi intendiamo di trattare, ma bensi di quelle ricerche le quali tendono ad un mezzo pratico di raccogliere e di utilizzare direttamente i raggi solari a profitto dell’agricoltura e dell’industria nelle regioni più calde del globo. Si ingannerebbe a partito chi, malgrado il silenzio dei trattati di fisica a tale riguardo, riputasse recente la idea di utilizzare il calore solare. Tale idea e al contrario antichissima e, sviluppandosi lentamente attraverso i secoli, essa diede origine a una sequela di curiosi apparecchi, dei quali alcuni non meritavano per fermo l’oblio nel quale furono lasciati cadere, ed anzi, anteriormente alle scoperte di Papin, presentavano un carattere di pratica utilità assai più pronunciato che non i tentativi contemporanei di applicazione del vapore. Le opere, nelle quali si possono trovare gli elementi per una storia particolareggiata della questione, sono le Pneumatiche di Erone alessandrino, la Magia Naturale di Porta, le Ragioni delle forze motrici di Salamone di Caus, la Calamita di Kircher, la Meccanica Idraulico-Pneumatica di Schott, il Mondo matematico di Dechales, l’Architettura idraulica di Belidor, ecc. Vi è una lacuna di quasi sedici secoli fra Erone e Porta, ma è pienamente accertato che in questo lungo intervallo i dotti arabi hanno tradotto e commentato, non senza aggiungere probabilmente talune scoperte, i trattati di Fisica e di Meccanica degli antichi. Si sa, per modo d’esempio che Al-Farabi ed Alkindi si sono occupati di tale argomento; che Al-Gazzarri ha composto sullo stesso soggetto parecchie opere, i cui titoli ricordano quelli di alcuni scritti di Archimede, di Ctesibio, di Erone e che forse non sono altro se non una compilazione delle opere di questi illustri meccanici, ma si ignora se questi autori si sieno o meno occupati di applicazioni meccaniche del calore solare. Ad ogni modo non è nostra intenzione entrare nei particolari storici di una questione, alla quale non potrà mai negarsi un certo interesse: chi desiderasse conoscerli potrà giovarsi dell’opera del Mouchot, al quale principalmente si deve se, in tempi a noi vicini, ben lungi dal perdere di vista la soluzione dell’arduo problema, così giganteschi passi si fecero onde raggiungerla. Noi vogliamo semplicemente richiamare l’attenzione del lettore sopra una recente memoria letta dal signor Mouchot intenso a quella Augusto consenso ch’è l’Accademmia delle Scienze di Parigi; e perché non possono sorgere dubbii circa l’autenticità delle cose in essa asserite, ci affrettiamo a soggiungere che fra i nomi di commissarii che ne deliberarono la lettura si trovano quelli celeberrimi di Dumas, Faje, Bertrand e Lesseps.
Una tale ricompensa era ben dovuta ad un uomo che, come il signor Mouchot, da tanti anni infaticabilmente si adopera con lavori, studio ed esperienze, intendo al suo scopo con una tenacità veramente ammirabile.
L’apparecchio o ricettore solare, al quale dopo si lunghe ricerche egli devenne, componesi di tre parti distinte: uno specchio metallico a fuoco lineare, una caldaia annerita, il cui asse coincide con questo; un in viluppo di vetro, il quale permette ai raggi del sole di pervenire fino alla caldaia, ma si oppone alla loro uscita dal momento in cui questa li ha trasformati in raggi oscuri. Egli poté assicurarsi che il rapporto del calore utilizzato all’estensione della superficie di insolazione normale cresce con questa, od in altri termini che il rendimento di un grande generatore è più forte di quello di un piccolo. Del rimanente tutti gli apparecchi del Mouchot hanno la medesima forma senza riguardo alle dimensioni, e non differiscono gli uni dagli altri che per la disposizione della caldaia: i piccoli si rendono facilmente e si può dire che non abbiano quasi bisogno di sorveglianza alcuna; quanto agli altri, onde formarsene una idea, basterà descrivere il grande generatore che dall’inventore venne installato a Tours, or son tre anni.
Lo specchio che alla forma di un tronco di cono a basi parallele, o, se si voglia, d’un abat-jour con la sua apertura rivolta verso il sole. La generatrice di questo tronco di cono forma coll’asse un angolo di 45°, essendo questa, come lo provo’ Dupuis fin dallo scorso secolo, la forma migliore che si possa assegnare a questa sorta di specchi; poiché i raggi incidenti paralleli all’asse si riflettono allora normalmente a questo asse, ed hanno un fuoco di intensità maximum per una medesima apertura di specchio. La parete riflettente si compone di dodici settori di alpacca sostenuti da un telajo di ferro, nel quale sono scorrevoli: permettendo tale disposizione di levare ogni settore per pulirlo. Il diametro di apertura dello specchio e di metri 2,60 quello del fondo di un metro, da cui segue che la superficie di insolazione normale e di 4 metri quadrati.
Il fondo dello specchio è un disco di ghisa, aggiunto per diminuire l’effetto del vento: al centro di questo disco si eleva la caldaja, la cui altezza uguaglia quella dello specchio. La caldaja e in rame, annerita esternamente e si compone di due inviluppi concentrici in forma di campana, rilegati alla loro base da una ghiera di ferro: l’inviluppo maggiore a un’altezza di 80 centimetri, il più piccolo di 50 ed il loro diametri misurano rispettivamente 28 e 22 centimetri. L’acqua di alimentazione viene a trovarsi fra questi due in inviluppi in modo da formare un cilindro annullare di tre centimetri di spessore, però il volume del liquido non deve eccedere i 20 litri, onde lasciarne 10 all’incirca per la camera del vapore. L’inviluppo interno resta vuoto ed è terminato da un tubo di rame, che si apre da un lato nella camera del vapore, e comunica dall’altro mediante un tubo flessibile, sia col motore, sia col fornello d’un alambicco; un secondo tubo flessibile, che parte dal basso della caldaja, serve ad alimentarla: finalmente sulla condotta del vapore sono adattati degli apparecchi di sicurezza.
Così disposto, il generatore deve girare di 15 gradi per ora attorno ad un albero parallelo all’asse del globo ed inchinarsi gradatamente da questo albero, avuto riguardo alla declinazione del sole.
Per raggiungere questo doppio scopo, l’apparecchio si appoggia, mediante opportuni sostegni, su di un albero perpendicolare al loro asse, e questo albero forma da nord a sud coll’orizzonte un angolo uguale alla latitudine del luogo: di qui risultano due movimenti, che permettono al generatore di seguire il corso del sole, poiché, per una semi-rivoluzione dell’albero, esso gira da levante a ponente, mentre una rotazione annua di 46 gradi al più sui suoi sostegni lo conduce di prospetto al sole, qualunque sia la posizione apparente di quest’ultimo. Questi due movimenti si effettuano ciascuno mediante un ingranaggio a vite perpetua e non richiedono che un colpo di manovella, il primo di mezz’ora in mezz’ora, il secondo ad ogni otto giorni, il movimento da oriente a Occidente può anche essere reso automatico. Questo apparecchio non ha finora funzionato che al sole di Tours, ed ecco un saggio dei risultati con esso ottenuti.
L’8 maggio con un bel tempo, 20 litri d’acqua a 20 gradi, introdotti nella caldaja alle 8,30 del mattino hanno impiegato quaranta minuti per produrre del vapore a due atmosfere, vale a dire 121°: questo vapore si è seguito elevato rapidamente alla pressione di cinque atmosfere, limite che sarebbe stato pericoloso di oltrepassare, malgrado la regolarità del riscaldamento, non avendo le pareti della caldaia che 3 millimetri di spessore e lo sforzo totale da esse sopportato essendo allora di 40,000chilogrammi. Verso il mezzodi con 15 litri d’acqua nella caldaja, il vapore a 100 si elevava in meno di 15 minuti alla pressione di cinque atmosfere, od in altri termini alla temperatura di 153°.
Il 22 luglio, al tocco, con un calore eccezionale, l’apparecchio evaporò 5 litri d’acqua all’ora.
Dai risultati pertanto che il signor Mouchot ottenne in varii esperimenti, e indotto ha conchiudere che l’apparecchio utilizza nelle regioni temperate da 8 a 10 calorie per minuto e per metro quadrato.
Tuttavia per assicurare il successo di una nuova applicazione non basta il mostrare quanto ne siano razionali i principii, né far vedere sino a qual punto essa abbia ricevuto la sanzione dell’esperienza, è mestieri altresì nulla trascurare per farne conoscere il vero scopo, dissipando per quanto è possibile le obiezioni, le quali possono venire avanzate. La prima e la più grave consiste nel chiedere quali servizii si possono attendere dal sole nei giorni di pioggia, di nebbia ed anche semplicemente quando il cielo è coperto da nubbi. Per fermo, risponde il Mouchot, se dovunque alla superficie del globo lo stato del cielo fosse così variabile come presso di noi, non si potrebbe far calcolo sopra una simile risorsa: appena appena nel corso dell’anno si troverebbero brevi serie di belle giornate, le quali permetterebbero di raccogliere senza troppe intermittenze i raggi solari: d’altronde le sorgenti naturali del lavoro soprattutto l’abbondanza del carbon fossile possono dispensare nelle nostre regioni dell’aver ricorso all’impiego diretto del calore solare; ma ove si tratti delle regioni Intertropicali, la questione muta totalmente l’aspetto ed assume subito una certa importanza. In queste regioni l’astro maggiore si mantiene puro per dei mesi interi, per modo che riesce possibile di raccogliere regolarmente i raggi del sole per 10 o 12 ore del giorno: il loro tragitto pressoché verticale nell’atmosfera, la freschezza delle notti che sbarazza l’aria di una parte dei suoi vapori, tutto concorre a renderli di un ardore estremo.
Poiché, secondo ogni verisimiglianza, le applicazioni del calore solare non offrono nei nostri climi alcuna probabilità di successo, cade di per sé l’altra obiezione, per la quale si rimprovera ai nuovi sistemi di occupare uno spazio soverchio di non potere perciò essere utilizzati nelle grandi città: nella località infatti dove tale applicazione saranno realmente possibili ed utili, tutto potrà far difetto, eccetto lo spazio.
Del rimanente una volta ammessa la possibilità di trar partito, mediante un determinato apparecchio, del calore solare, una volta riconosciuto che esso può in certo modo sostituire il combustibile, il campo delle applicazione non ha più confini: dai modesti usi domestici senza spingersi alle industrie più elevate,v’è una quantità di applicazioni che mediante i ricettori solari potrebbero essere propagate nei paesi caldi, dove esse non poterono peranco svilupparsi, opponendosi come ostacolo principale la mancanza del combustibile. E quando si aggiungerà che l’illustre ingegnere americano Ericson, rapito così immaturamente alla scienza, aveva costruito una macchina messa in movimento dal vapore prodotto dalla combustione dei raggi solari, potrà agevolmente comprendersi la immensa portata di una tale applicazione, quando fosse resa praticamente ed economicamente possibile.
Noi teniamo per certo che uno dei motivi pei quali l’Accademia delle Scienze di Parigi si indusse ad accogliere nelle celebri pagine dei suoi Comtes Rendus il cenno del signor Mouchot, fu quello di darvi pubblicità, richiamandovi sopra l’attenzione degli studiosi; e nello stendere questo brevissimo cenno, noi abbiamo voluto modestamente cooperare al medesimo scopo.
A. Favaro.