La Gazzetta dello Sport, 16 maggio 2014
L’entusiasmo di Matteo Renzi ci ha illuso sullo stato del Paese, anche i più scettici – come noi – s’erano illusi che dalla crisi fossimo usciti o almeno che saremmo usciti presto
L’entusiasmo di Matteo Renzi ci ha illuso sullo stato del Paese, anche i più scettici – come noi – s’erano illusi che dalla crisi fossimo usciti o almeno che saremmo usciti presto. Un piccolo numero aveva rafforzato questa illusione: nell’ultimo trimestre del 2013 il Pil era aumentato di uno 0,1, fatto che non accadeva da nove trimestri consecutivi. Si pensava, quindi, che il primo trimestre del 2014 avrebbe confermato la micro-ripresa e che il dato di una crescita dello 0,8% alla fine dell’anno, accreditato ad ogni occasione dal governo, avesse un fondamento solido...
• Invece...Invece ieri i dati Istat e quelli Eurostat ci hanno dato un quadro completamente diverso. Il primo trimestre italiano ci consegna un arretramento dello 0,1 per cento se si paragona col trimestre immediatamente precedente e dello 0,5 per cento se si paragona col primo trimestre dell’anno scorso. Ha tirato l’agricoltura – dice l’Istat – è scesa l’industria, sono rimasti fermi i servizi. Le esportazioni latitano, non solo da noi, ma anche in Germania che però ha segnato (anno su anno) un +0,8, dovuto a una ripresa dei consumi e a un bel lotto di investimenti pubblici, resi possibili dal fatto che i loro conti sono in ordine, e sia pure con un debito pubblico che non rispetta i parametri di Maastricht (è all’82% del Pil). Il dato tedesco è impressionante non solo rispetto all’Italia, ma anche rispetto al resto d’Europa che generalmente sta ferma (Francia) o arretra anche nelle sue componenti più forti come l’Olanda (-1,4%) o la Finlandia (-0,4%). Il dato olandese può essere momentaneo ed essere stato provocato dalla fine degli incentivi per l’acquisto dell’automobile. Il dato finlandese è invece più preoccupante, e bisognerà aspettare le prossime rilevazioni per capire se quell’economia soffre di un rallentamento strutturale. Arretrano anche l’Estonia (-1,2) e il Portogallo (-0,7). La Spagna sale invece di uno 0,4.
• Tutti questi numeri che cosa mi significano?
Intanto che la Borsa di Milano ieri è crollata del 3,6%, e che i mercati si sono precipitati a vendere i titoli del debito italiano, fatto che ha provocato un rialzo del differenziale tra i bond a dieci anni nostri e quelli tedeschi, rialzo che ha toccato quota 180. Questo ha provocato una vendita in massa soprattutto delle azioni delle banche italiane, che hanno le casse piene di quei titoli. Quadro fosco, insomma.
• Sulla base dei dati di ieri, che cosa si può vedere per il resto dell’anno?
Il pericolo maggiore è che l’Europa, a settembre, ci imponga una manovra correttiva. Non so immaginarne le conseguenze, specie sul piano politico. A settembre potremmo essere in campagna elettorale. Proiettando i dati di ieri, è difficile sperare in una crescita superiore allo 0,2-0,3%.
• Io capisco due cose, da questi numeri: che, fermo restando che abbiamo gravissime responsabilità, il “sistema euro” è tuttavia funzionale soprattutto alle fortune tedesche; c’è poi il dubbio che non abbiano ragione giapponesi e americani, che hanno praticato, invece che una politica d’austerità, una politica degli stimoli: i loro numeri sono molto diversi.
Il Giappone, che ha inondato i mercati di liquidità, ha registrato un balzo del Pil del 5,9% su base annua: e s’aspettavano un +4,2. Dagli Stati Uniti sono arrivati dati deludenti relativi alla produzione industriale, ma incoraggianti sul versante dell’occupazione: la richiesta di sussidi è calata ai minimi del maggio 2007, a quota 297 mila (-24 mila).
• Quali sono le ragioni di queste deludenti performance italiane?
Il debito enorme. La pressione fiscale. Il sistema politico-istituzionale bloccato. La prevalenza del parassitismo e della corruzione, alimentati da una classe politica a sua volta parassitaria e corrotta, quando non in rapporti stretti con la malavita. I numeri, ancora una volta, ci rappresentano in modo inconfutabile il declino italiano. Faccio riferimento a dati pubblicati dal “Wall Street Journal” lo scorso gennaio: dal 1999 al 2014 il Pil è cresciuto del 21,3% in Germania, del 20,9 in Finlandia, del 10,7 nell’area Euro a 12, del 10% nei Paesi Bassi, del 9,3 in Francia, dell’8,7 in Spagna, del 2,7 in Grecia, dello 0,8 in Portogallo. In Italia è invece diminuito del 3%. La nostra spesa pubblica, in rapporto al Pil, è superiore a quella media dei paesi intra ed extraeuropei dal 1987, fatto che ha determinato un aumento della pressione fiscale superiore a quella della media europea e dell’area euro. Nel 2005 la pressione fiscale era di 0,2 punti inferiore alla media dell’area euro e nel 2008 è diventata invece di 2,1 punti superiore alla media dell’area euro. In valori assoluti, il Pil risulta a questo punto arretrato ai livelli di 14 anni fa: il valore concatenato nel primo trimestre 2014 è di 340.591 miliardi di euro e, secondo le serie storiche dell’Istat, per trovare un dato inferiore, pari a 338.362 miliardi, bisogna risalire al primo trimestre del 2000. Però a quella data il trend dell’economia italiana, a differenza di oggi, era in crescita.