Linkiesta, sabato 30 giugno 2012, 7 maggio 2014
Tags : La Grande Guerra
Francesco Baracca, eroe dei cieli o suicida?
Linkiesta, sabato 30 giugno 2012
Gli eroi sono sempre giovani e belli, e fin qua ci siamo. E poi non si suicidano, altrimenti che eroi sarebbero (tanto più in un Paese cattolico, dove fino a qualche tempo fa ai suicidi veniva negata la sepoltura in terra consacrata). E da questo punto di vista Francesco Baracca potrebbe avere qualche problemino.
L’eroe, l’asso dell’aviazione italiana prima ancora che l’Aeronautica fosse stata inventata (Baracca, come molti piloti, era un ufficiale di cavalleria, al tempo si pensava che duellare nell’aria fosse un po’ come duellare lancia in resta in sella a un destriero), con 34 vittorie al suo attivo, quel 19 giugno 1918 forse non è stato ucciso da un aereo nemico, o dal proiettile sparato da un cecchino austroungarico, ma da un colpo della sua pistola, suicida per non morire arso vivo, orrida fine di molti, moltissimi, piloti.
Baracca quel giorno volava sul Montello, un salsiccione sopraelevato che domina un tratto del fiume Piave. Era in corso la battaglia del Solstizio, ovvero l’evento che ha davvero deciso le sorti della Prima guerra mondiale: l’Austria-Ungheria in quell’offensiva sul far dell’estate si era giocata il tutto per tutto. Aveva gettato sul Piave tutto quello che poteva (poco) contando di arrivare a Treviso in paio di giorni e a Venezia subito dopo. Ma Vienna non si rendeva conto che l’esito risultava minato fin dal principio, per due motivi: i contrasti tra i comandanti e perché le truppe erano – letteralmente – alla fame. Il fronte montano era affidato a Franz Conrad von Hötzendorf [8], ex capo di stato maggiore, rimosso dall’imperatore Carlo e mandato a comandare l’area del Trentino, dell’altipiano di Asiago e del Grappa. La pianura, invece, era assegnata a Svetozar Borojević von Bojna [9] – un serbo di Krajina – detto “il Leone dell’Isonzo” perché per due anni ha comandato il fronte meridionale, che gli italiani chiamano Carso e gli austriaci Isonzo, resistendo senza perdere troppo terreno a undici battaglie e vincendo quella decisiva, la dodicesima, che gli italiani conoscono come Caporetto. Conrad vuole attaccare in montagna, Boroević in pianura (ognuno vuole la gloria per sé, ovviamente). Vienna invece di puntate sull’una o l’altra opzione, e concentrare tutte le proprie forze, decide di non scontentare nessuno dei prestigiosi comandanti (l’Austria è l’Austria) e quindi l’offensiva comincerà in montagna, tra l’Astico e il Piave, e poi, in caso di esito negativo, continuerà in pianura. Ovvero: le forze vengono disperse la battaglia è persa prima ancora di cominciare.
Un’altra conseguenza della battaglia del Solstizio a noi ben nota è La leggenda del Piave, composta di getto nella notte del 24 giugno 1918 da un autore di canzoni napoletane, E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta. Questi aveva scritto alcuni celeberrimi hit partenopei – “Santa Lucia”, tanto per citarne uno – ma lega il suo nome a quel «il Piave mormorò» che sarà presto sulla bocca di tutti i soldati e che cambierà per sempre il genere del fiume Piave (in precedenza si diceva “la” Piave, come femminili erano Sile e Livenza, mascolinizzati pure quelli per analogia).
Ma ora torniamo a Baracca. Gli austriaci nel settore del Montello erano riusciti a passare il Piave e avevano preso la cittadina di Nervesa. Gli aerei italiani mitragliavano i nemici a bassa quota. Lo Spad del maggiore Baracca cade in località Busa delle rane, un posto impervio e dalla vegetazione fittissima. Gli austriaci non se ne curano e gli italiani – che sanno chi era ai comandi dell’aereo colpito – raggiungono il corpo dell’asso solo alcuni giorni dopo, il 23, quando le truppe dell’imperatore erano ormai tornate al di là del Piave.
Baracca risulta essere stato ucciso da un colpo nell’incavo dell’occhio destro, alla radice del naso. Il punto è: partito da quale arma? L’abbattimento del velivolo era stato rivendicato sia dai piloti austriaci Arnold Barwig e Max Kauer, sia da un cecchino che aveva detto di aver sparato all’aereo dall’alto di un campanile, oppure potrebbe esser stato abbattuto da fuoco antiaereo, come avrebbero stabilito studi più recenti. Rimane però sempre in piedi l’ipotesi che si sia suicidato. Durante la Prima guerra mondiale i piloti non avevano paracadute («ne diminuirebbe l’ardimento», decretarono i generali più stupidi che la storia ricordi) e quindi, se non erano colpiti direttamente, erano destinati a una morte orrenda: bruciati vivi nell’aereo in fiamme. Baracca aveva scritto qualche tempo prima che non intendeva morire in quel modo e che, se fosse precipitato, si sarebbe sparato. Si dà il caso però che lo Spad con il cavallino rampante prenda fuoco solo in parte e il cadavere del pilota sia ritrovato intatto.
La pistola del maggiore di cavalleria divenuto aviatore non è nella fondina. Il foro di entrata del proiettile è nettamente più piccolo degli squarci provocati dai proiettili di mitragliatrice che hanno colpito e abbattuto l’aereo. Ma il più fulgido eroe italiano non può essersi suicidato: il suicidio, nella mentalità di allora, è un atto di vigliaccheria, non di eroismo, quindi si dà inizio a una grande operazione di propaganda per nascondere la verità. Baracca, già celebrato in vita, da morto viene quasi santificato. Ai funerali, a Lugo di Romagna, suo paese natale, partecipa l’erede al trono, e subito comincia la costruzione del mito che dura ancora ai giorni nostri, con strade, piazze e persino stadi (a Mestre) e squadre di calcio (il Baracca Lugo) dedicate all’eroe caduto in battaglia.
Studi recentissimi mettono in forse anche la tesi del suicidio, la ferita sulla fronte non sarebba di arma da fuoco, ma da impatto. Ovvero Baracca sarebbe riuscito in qualche modo ad atterrare, avrebbe preso un colpo tremendo sotto l’occhio, sarebbe riuscito a uscire dalla carlinga e ad allontanarsi dall’aereo prima che bruciasse, per poi morire poco lontano, probabilmente a causa di un’emorragia interna. Tante ipotesi, nessuna certezza. Quel che accadde davvero sul cielo del Montello 95 anni fa rimane ancora un mistero.
Gli eroi sono sempre giovani e belli, e fin qua ci siamo. E poi non si suicidano, altrimenti che eroi sarebbero (tanto più in un Paese cattolico, dove fino a qualche tempo fa ai suicidi veniva negata la sepoltura in terra consacrata). E da questo punto di vista Francesco Baracca potrebbe avere qualche problemino.
L’eroe, l’asso dell’aviazione italiana prima ancora che l’Aeronautica fosse stata inventata (Baracca, come molti piloti, era un ufficiale di cavalleria, al tempo si pensava che duellare nell’aria fosse un po’ come duellare lancia in resta in sella a un destriero), con 34 vittorie al suo attivo, quel 19 giugno 1918 forse non è stato ucciso da un aereo nemico, o dal proiettile sparato da un cecchino austroungarico, ma da un colpo della sua pistola, suicida per non morire arso vivo, orrida fine di molti, moltissimi, piloti.
Baracca quel giorno volava sul Montello, un salsiccione sopraelevato che domina un tratto del fiume Piave. Era in corso la battaglia del Solstizio, ovvero l’evento che ha davvero deciso le sorti della Prima guerra mondiale: l’Austria-Ungheria in quell’offensiva sul far dell’estate si era giocata il tutto per tutto. Aveva gettato sul Piave tutto quello che poteva (poco) contando di arrivare a Treviso in paio di giorni e a Venezia subito dopo. Ma Vienna non si rendeva conto che l’esito risultava minato fin dal principio, per due motivi: i contrasti tra i comandanti e perché le truppe erano – letteralmente – alla fame. Il fronte montano era affidato a Franz Conrad von Hötzendorf [8], ex capo di stato maggiore, rimosso dall’imperatore Carlo e mandato a comandare l’area del Trentino, dell’altipiano di Asiago e del Grappa. La pianura, invece, era assegnata a Svetozar Borojević von Bojna [9] – un serbo di Krajina – detto “il Leone dell’Isonzo” perché per due anni ha comandato il fronte meridionale, che gli italiani chiamano Carso e gli austriaci Isonzo, resistendo senza perdere troppo terreno a undici battaglie e vincendo quella decisiva, la dodicesima, che gli italiani conoscono come Caporetto. Conrad vuole attaccare in montagna, Boroević in pianura (ognuno vuole la gloria per sé, ovviamente). Vienna invece di puntate sull’una o l’altra opzione, e concentrare tutte le proprie forze, decide di non scontentare nessuno dei prestigiosi comandanti (l’Austria è l’Austria) e quindi l’offensiva comincerà in montagna, tra l’Astico e il Piave, e poi, in caso di esito negativo, continuerà in pianura. Ovvero: le forze vengono disperse la battaglia è persa prima ancora di cominciare.
Un’altra conseguenza della battaglia del Solstizio a noi ben nota è La leggenda del Piave, composta di getto nella notte del 24 giugno 1918 da un autore di canzoni napoletane, E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta. Questi aveva scritto alcuni celeberrimi hit partenopei – “Santa Lucia”, tanto per citarne uno – ma lega il suo nome a quel «il Piave mormorò» che sarà presto sulla bocca di tutti i soldati e che cambierà per sempre il genere del fiume Piave (in precedenza si diceva “la” Piave, come femminili erano Sile e Livenza, mascolinizzati pure quelli per analogia).
Ma ora torniamo a Baracca. Gli austriaci nel settore del Montello erano riusciti a passare il Piave e avevano preso la cittadina di Nervesa. Gli aerei italiani mitragliavano i nemici a bassa quota. Lo Spad del maggiore Baracca cade in località Busa delle rane, un posto impervio e dalla vegetazione fittissima. Gli austriaci non se ne curano e gli italiani – che sanno chi era ai comandi dell’aereo colpito – raggiungono il corpo dell’asso solo alcuni giorni dopo, il 23, quando le truppe dell’imperatore erano ormai tornate al di là del Piave.
Baracca risulta essere stato ucciso da un colpo nell’incavo dell’occhio destro, alla radice del naso. Il punto è: partito da quale arma? L’abbattimento del velivolo era stato rivendicato sia dai piloti austriaci Arnold Barwig e Max Kauer, sia da un cecchino che aveva detto di aver sparato all’aereo dall’alto di un campanile, oppure potrebbe esser stato abbattuto da fuoco antiaereo, come avrebbero stabilito studi più recenti. Rimane però sempre in piedi l’ipotesi che si sia suicidato. Durante la Prima guerra mondiale i piloti non avevano paracadute («ne diminuirebbe l’ardimento», decretarono i generali più stupidi che la storia ricordi) e quindi, se non erano colpiti direttamente, erano destinati a una morte orrenda: bruciati vivi nell’aereo in fiamme. Baracca aveva scritto qualche tempo prima che non intendeva morire in quel modo e che, se fosse precipitato, si sarebbe sparato. Si dà il caso però che lo Spad con il cavallino rampante prenda fuoco solo in parte e il cadavere del pilota sia ritrovato intatto.
La pistola del maggiore di cavalleria divenuto aviatore non è nella fondina. Il foro di entrata del proiettile è nettamente più piccolo degli squarci provocati dai proiettili di mitragliatrice che hanno colpito e abbattuto l’aereo. Ma il più fulgido eroe italiano non può essersi suicidato: il suicidio, nella mentalità di allora, è un atto di vigliaccheria, non di eroismo, quindi si dà inizio a una grande operazione di propaganda per nascondere la verità. Baracca, già celebrato in vita, da morto viene quasi santificato. Ai funerali, a Lugo di Romagna, suo paese natale, partecipa l’erede al trono, e subito comincia la costruzione del mito che dura ancora ai giorni nostri, con strade, piazze e persino stadi (a Mestre) e squadre di calcio (il Baracca Lugo) dedicate all’eroe caduto in battaglia.
Studi recentissimi mettono in forse anche la tesi del suicidio, la ferita sulla fronte non sarebba di arma da fuoco, ma da impatto. Ovvero Baracca sarebbe riuscito in qualche modo ad atterrare, avrebbe preso un colpo tremendo sotto l’occhio, sarebbe riuscito a uscire dalla carlinga e ad allontanarsi dall’aereo prima che bruciasse, per poi morire poco lontano, probabilmente a causa di un’emorragia interna. Tante ipotesi, nessuna certezza. Quel che accadde davvero sul cielo del Montello 95 anni fa rimane ancora un mistero.
Alessandro Marzo Magno