la Repubblica, domenica 30 aprile 1984, 28 aprile 2014
Tags : Falcone e Buscetta
Finalmente la verità su 120 delitti
la Repubblica, domenica 30 aprile 1984
La mafia ha un super pentito. E' Tommaso Buscetta, 56 anni, uno dei cervelli del traffico internazionale dell' eroina, in carcere dal 17 luglio scorso. Don Masino ha deciso di vuotare il sacco, di raccontare ai giudici palermitani le più sanguinose storie di mafia, indicando i mandanti e gli esecutori di centoventi delitti compiuti a Palermo dal 1970 in poi. Non era mai accaduto. I risultati dell' operazione, alla quale hanno partecipato oltre tremila uomini ed è stata condotta oltre che in Sicilia anche a Roma, Milano e Frosinone, sono questi: 366 mandati di cattura, firmati venerdì notte da cinque magistrati dell' ufficio istruzione, 60 arresti di "buon livello", 250 provvedimenti notificati ad altrettanti detenuti, una cinquantina di latitanti di lusso. Una comunicazione giudiziaria, per associazione a delinquere, anche contro l' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che solo nei mesi scorsi aveva lasciato la Democrazia Cristiana. C' è adesso chi paragona la testimonianza di Tommaso Buscetta (resa probabilmente a Roma) con quella di Patrizio Peci, il terrorista che con le sue rivelazioni mise in ginocchio le brigate rosse. Gli inquirenti parlano di operazione "storica". Nell' elenco ci sono proprio tutti: dai super boss della mafia "vincente" (i Greco, i Marchese, i Vernengo, Riina, Provenzano, Riccobono, Zanca, ovviaments introvabili) ad insospettabili personaggi della Palermo degli equivoci catturati nella notte tra venerdì e sabato. Ventotto degli arrestati sono stati trasportati con un aereo speciale fino a Pisa, da dove hanno raggiunto diversi psnitenziari: Firenze, Livorno e l' isola di Pianosa. Sono finiti in manette costruttori conosciuti in città (Giovanni Pilo e Luigi Fardetta), Giuseppe Spadaro, fratello del potente don Masino, attualmente in carcere per una storia di droga e per l' omicidio Dalla Chiesa; Giuseppe Greco, figlio di don Michele, il super boss di Croceverde Giardini. E poi commercianti di tappeti, distillatori di vino, vecchi mafiosi come Giusto Picone e Calcedonio Sciarrabba, che riportano alla mente i tragici fatti dei primi anni 70. Ed è da lì che si comincia, da omicidi inquietanti come quelli del giudice Pietro Scaglione e del giornalista dell' Ora Mauro De Mauro ("Non fu la mafia ad ucciderlo", avrebbe detto Buscetta). Per arrivare con un crescendo inarrestabile all' omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, dei due capitani Emanuele Basile e Mario D' Aleo, del magistrato Cesare Terranova, del procuratore della Repubblica Gaetano Costa, del capo della Mobile Boris Giuliano, del boss mafioso Giuseppe Di Cristina e di Alfio Ferlito, ucciso assieme a cinque carabinieri di scorta nella Circonvallazione di Palermo. Fino a Carlo Alberto Dalla Chiesa e Rocco Chinnici. Rimarrebbero fuori da questa gigantesca ricostruzione soltanto l' esecuzione del presidente della Regione Piersanti Mattarella, del segretario provinciale democristiano Michele Reina, del deputato comunista Pio La Torre e del cronista del Giornale di Sicilia Mario Francese. Uno spaccato incredibile, raccontato da uno dei protagonisti della storia della mafia italo-americana. Un uomo potentissimo, ricchissimo, che probabilmente si è deciso a parlare su sollecitazione dei magistrati palermitani che hanno colto al volo il suo "cedimento psicologico". E' stato il giudice istruttore Giovanni Falcone ad interrogare per primo Buscetta quando si trovava nelle carceri brasiliane prima dell' estradizione e a pochi giorni da un tentativo di suicidio mal riuscito. Probabilmente don Masino avrà capito che questo era l' unico modo per presentare il conto ad avversari irriducibili, a quei capiclan della mafia che lo avevano messo alle corde, colpendolo anche negli affetti più cari. Per Buscetta sono ricordi incancellabili. L' 11 settembre 1982 Antonio e Benedetto, figli del boss, sparirono misteriosamente mentre stavano per salire sulla loro auto. Non s' è mai saputo nulla. Un mese dopo il genero Giuseppe Genova, assieme ad altre due persone, fu trucidato nella pizzeria "New York Place" al centro di Palermo. Dietro la cassa c' era anche Felicia Buscetta, figlia di don Masino, che fu risparmiata solo per caso. Il 29 settembre dello stesso anno toccò a Vincenzo Buscetta, (fratello del boss) e al figlio Benny. Lavoravano all' interno della loro vetreria quando un commando di killer li sorprese freddandoli con una sventagliata di colpi. Immagini di sangue, per un boss braccato, disperatamente legato ad un potere criminale sempre più fragile. Del resto in due anni di guerra di mafia per Buscetta erano caduti i riferimenti "naturali". Dagli Inzerillo a don Gaetano Badalamenti, arrestato pochi mesi fa in Spagna e adesso estradato negli Stati Uniti. Questa, adesso, è la risposta del boss dei due mondi. Una vendetta spietata, un elenco dettagliato di misfatti, un supporto cronologico e interpretativo che gli inquirenti ritengono indispensabile per legare in un unico nesso logico i tremendi fatti della mafia degli ultimi quattordici anni. Ieri mattina grande euforia a Palazzo di Giustizia. Mancavano solo i magistrati che avevano trascorso la notte precedente tra le stanze blindate di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Verso mezzogiorno conferenza stampa congiunta del consigliere istruttore Antonio Caponnetto e del procuratore della Repubblica Vincenzo Pajno. Volti radiosi sotto i riflettori tivù e poi le prime ammissioni. Capponnetto: "Non ci troviamo più di fronte a diversi processi di mafia. Questo è il processo alla mafia. Non è azzardato dunque parlare di operazione storica. Siamo riusciti finalmente a penetrare nel cuore della struttura mafiosa". E Pajno: "Un grosso successo, superiore alle attese della vigilia. Ma soprattutto è il risultato di un lavoro di collaborazione tra l' ufficio istruzione e la Procura. Io ve lo avevo promesso: Pajno risponde con i fatti alle polemiche, non con le parole e le insinuazioni". Un riferimento esplicito a quanto detto nelle scorse settimane sul ruolo della Magistratura siciliana, sulla necessità di trasferire altrove i capi dei più delicati uffici giudiziari per evitare "tentazioni alla connivenza e coperture anche involontarie al sistema mafioso". "L' inchiesta è stata condotta da dieci magistrati, tutti siciliani", si diceva ieri mattina nelle stanze di Palazzo di Giustizia. E anche qui un sottile filo di polemica per dimostrare quanto siano ingenerose le generalizzazioni che finiscono col coinvolgere tutta la struttura giudiziaria isolana. Ma anche per sottolineare la vitalità dell' ufficio Istruzione della Procura, proprio all' indomani della visita del Consiglio superiore della magistratura impegnato a far luce sulla corruzione mafiosa a Palazzo di Giustizia di Trapani e sui retroscena dell' arresto del sostituto Antonio Costa, accusato di aver ricevuto i soldi dalla mafia. Durante la conferenza stampa è stato chiesto a Pajno e Caponnetto se per caso tra i mandati di cattura ancora non eseguiti ci siano anche i nomi della mafia del terzo livello, quella superstruttura del crimine che tira le fila dei traffici, che decide le esecuzioni "eccellenti" che manovra boss e manovalanza. "Questa è una tappa di avvicinamento verso il terzo livello, verso la testa della piovra mafiosa", ha ammesso Antonio Caponnetto. "Oggi abbiamo spiazzato un anello importantissimo, che rappresenta il passaggio obbligato verso gli altissimi vertici del potere mafioso". "Comunque non intendiamo fermarci qui. L' operazione continua", ha concluso Pajno. Alla conferenza stampa hanno assistito i vertici della Squadra mobile, della Criminalpol, dei carabinieri e della finanza che ieri notte hanno eseguito i mandati di cattura. C' era chi come Tonino De Luca, capo della Criminalpol e protagonista del processo Chinnici non nascondeva troppo l' euforia: "E' una delle più grosse operazioni di mafia di tutti i tempi. Adesso possiamo leggere con chiarezza nella storia criminale di Palermo degli ultimi anni". Un modo come dire: nel luglio 1982 polizia e carabinieri assieme al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa avevano visto giusto. Allora era venuto fuori il famoso rapporto sui 162 mafiosi dei clan vincenti e perdenti, una radiografia aggiornata dei nuovi schieramenti di mafia e dei delitti compiuti in questi ultimi anni. Adesso sono arrivate le indispensabili conferme per mettere assieme il mosaico della "grande strage" e serrare uno dei colpi più micidiali mai ricevuto dalla struttura mafiosa.
La mafia ha un super pentito. E' Tommaso Buscetta, 56 anni, uno dei cervelli del traffico internazionale dell' eroina, in carcere dal 17 luglio scorso. Don Masino ha deciso di vuotare il sacco, di raccontare ai giudici palermitani le più sanguinose storie di mafia, indicando i mandanti e gli esecutori di centoventi delitti compiuti a Palermo dal 1970 in poi. Non era mai accaduto. I risultati dell' operazione, alla quale hanno partecipato oltre tremila uomini ed è stata condotta oltre che in Sicilia anche a Roma, Milano e Frosinone, sono questi: 366 mandati di cattura, firmati venerdì notte da cinque magistrati dell' ufficio istruzione, 60 arresti di "buon livello", 250 provvedimenti notificati ad altrettanti detenuti, una cinquantina di latitanti di lusso. Una comunicazione giudiziaria, per associazione a delinquere, anche contro l' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che solo nei mesi scorsi aveva lasciato la Democrazia Cristiana. C' è adesso chi paragona la testimonianza di Tommaso Buscetta (resa probabilmente a Roma) con quella di Patrizio Peci, il terrorista che con le sue rivelazioni mise in ginocchio le brigate rosse. Gli inquirenti parlano di operazione "storica". Nell' elenco ci sono proprio tutti: dai super boss della mafia "vincente" (i Greco, i Marchese, i Vernengo, Riina, Provenzano, Riccobono, Zanca, ovviaments introvabili) ad insospettabili personaggi della Palermo degli equivoci catturati nella notte tra venerdì e sabato. Ventotto degli arrestati sono stati trasportati con un aereo speciale fino a Pisa, da dove hanno raggiunto diversi psnitenziari: Firenze, Livorno e l' isola di Pianosa. Sono finiti in manette costruttori conosciuti in città (Giovanni Pilo e Luigi Fardetta), Giuseppe Spadaro, fratello del potente don Masino, attualmente in carcere per una storia di droga e per l' omicidio Dalla Chiesa; Giuseppe Greco, figlio di don Michele, il super boss di Croceverde Giardini. E poi commercianti di tappeti, distillatori di vino, vecchi mafiosi come Giusto Picone e Calcedonio Sciarrabba, che riportano alla mente i tragici fatti dei primi anni 70. Ed è da lì che si comincia, da omicidi inquietanti come quelli del giudice Pietro Scaglione e del giornalista dell' Ora Mauro De Mauro ("Non fu la mafia ad ucciderlo", avrebbe detto Buscetta). Per arrivare con un crescendo inarrestabile all' omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, dei due capitani Emanuele Basile e Mario D' Aleo, del magistrato Cesare Terranova, del procuratore della Repubblica Gaetano Costa, del capo della Mobile Boris Giuliano, del boss mafioso Giuseppe Di Cristina e di Alfio Ferlito, ucciso assieme a cinque carabinieri di scorta nella Circonvallazione di Palermo. Fino a Carlo Alberto Dalla Chiesa e Rocco Chinnici. Rimarrebbero fuori da questa gigantesca ricostruzione soltanto l' esecuzione del presidente della Regione Piersanti Mattarella, del segretario provinciale democristiano Michele Reina, del deputato comunista Pio La Torre e del cronista del Giornale di Sicilia Mario Francese. Uno spaccato incredibile, raccontato da uno dei protagonisti della storia della mafia italo-americana. Un uomo potentissimo, ricchissimo, che probabilmente si è deciso a parlare su sollecitazione dei magistrati palermitani che hanno colto al volo il suo "cedimento psicologico". E' stato il giudice istruttore Giovanni Falcone ad interrogare per primo Buscetta quando si trovava nelle carceri brasiliane prima dell' estradizione e a pochi giorni da un tentativo di suicidio mal riuscito. Probabilmente don Masino avrà capito che questo era l' unico modo per presentare il conto ad avversari irriducibili, a quei capiclan della mafia che lo avevano messo alle corde, colpendolo anche negli affetti più cari. Per Buscetta sono ricordi incancellabili. L' 11 settembre 1982 Antonio e Benedetto, figli del boss, sparirono misteriosamente mentre stavano per salire sulla loro auto. Non s' è mai saputo nulla. Un mese dopo il genero Giuseppe Genova, assieme ad altre due persone, fu trucidato nella pizzeria "New York Place" al centro di Palermo. Dietro la cassa c' era anche Felicia Buscetta, figlia di don Masino, che fu risparmiata solo per caso. Il 29 settembre dello stesso anno toccò a Vincenzo Buscetta, (fratello del boss) e al figlio Benny. Lavoravano all' interno della loro vetreria quando un commando di killer li sorprese freddandoli con una sventagliata di colpi. Immagini di sangue, per un boss braccato, disperatamente legato ad un potere criminale sempre più fragile. Del resto in due anni di guerra di mafia per Buscetta erano caduti i riferimenti "naturali". Dagli Inzerillo a don Gaetano Badalamenti, arrestato pochi mesi fa in Spagna e adesso estradato negli Stati Uniti. Questa, adesso, è la risposta del boss dei due mondi. Una vendetta spietata, un elenco dettagliato di misfatti, un supporto cronologico e interpretativo che gli inquirenti ritengono indispensabile per legare in un unico nesso logico i tremendi fatti della mafia degli ultimi quattordici anni. Ieri mattina grande euforia a Palazzo di Giustizia. Mancavano solo i magistrati che avevano trascorso la notte precedente tra le stanze blindate di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Verso mezzogiorno conferenza stampa congiunta del consigliere istruttore Antonio Caponnetto e del procuratore della Repubblica Vincenzo Pajno. Volti radiosi sotto i riflettori tivù e poi le prime ammissioni. Capponnetto: "Non ci troviamo più di fronte a diversi processi di mafia. Questo è il processo alla mafia. Non è azzardato dunque parlare di operazione storica. Siamo riusciti finalmente a penetrare nel cuore della struttura mafiosa". E Pajno: "Un grosso successo, superiore alle attese della vigilia. Ma soprattutto è il risultato di un lavoro di collaborazione tra l' ufficio istruzione e la Procura. Io ve lo avevo promesso: Pajno risponde con i fatti alle polemiche, non con le parole e le insinuazioni". Un riferimento esplicito a quanto detto nelle scorse settimane sul ruolo della Magistratura siciliana, sulla necessità di trasferire altrove i capi dei più delicati uffici giudiziari per evitare "tentazioni alla connivenza e coperture anche involontarie al sistema mafioso". "L' inchiesta è stata condotta da dieci magistrati, tutti siciliani", si diceva ieri mattina nelle stanze di Palazzo di Giustizia. E anche qui un sottile filo di polemica per dimostrare quanto siano ingenerose le generalizzazioni che finiscono col coinvolgere tutta la struttura giudiziaria isolana. Ma anche per sottolineare la vitalità dell' ufficio Istruzione della Procura, proprio all' indomani della visita del Consiglio superiore della magistratura impegnato a far luce sulla corruzione mafiosa a Palazzo di Giustizia di Trapani e sui retroscena dell' arresto del sostituto Antonio Costa, accusato di aver ricevuto i soldi dalla mafia. Durante la conferenza stampa è stato chiesto a Pajno e Caponnetto se per caso tra i mandati di cattura ancora non eseguiti ci siano anche i nomi della mafia del terzo livello, quella superstruttura del crimine che tira le fila dei traffici, che decide le esecuzioni "eccellenti" che manovra boss e manovalanza. "Questa è una tappa di avvicinamento verso il terzo livello, verso la testa della piovra mafiosa", ha ammesso Antonio Caponnetto. "Oggi abbiamo spiazzato un anello importantissimo, che rappresenta il passaggio obbligato verso gli altissimi vertici del potere mafioso". "Comunque non intendiamo fermarci qui. L' operazione continua", ha concluso Pajno. Alla conferenza stampa hanno assistito i vertici della Squadra mobile, della Criminalpol, dei carabinieri e della finanza che ieri notte hanno eseguito i mandati di cattura. C' era chi come Tonino De Luca, capo della Criminalpol e protagonista del processo Chinnici non nascondeva troppo l' euforia: "E' una delle più grosse operazioni di mafia di tutti i tempi. Adesso possiamo leggere con chiarezza nella storia criminale di Palermo degli ultimi anni". Un modo come dire: nel luglio 1982 polizia e carabinieri assieme al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa avevano visto giusto. Allora era venuto fuori il famoso rapporto sui 162 mafiosi dei clan vincenti e perdenti, una radiografia aggiornata dei nuovi schieramenti di mafia e dei delitti compiuti in questi ultimi anni. Adesso sono arrivate le indispensabili conferme per mettere assieme il mosaico della "grande strage" e serrare uno dei colpi più micidiali mai ricevuto dalla struttura mafiosa.
Giuseppe Cerasa