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 2014  aprile 28 Lunedì calendario

Don Masino... Sono io (intervista del 18/7/1984)

la Repubblica, mercoledì 18 luglio 1984
Palermo – Giudice Falcone, come è andato questo primo incontro con don Masino Buscetta? Giovanni Falcone, il giudice istruttore di Palermo impegnato in prima linea nella lotta contro la mafia, abbozza un leggero sorriso: «È stato un colloquio interessante, molto interessante. Tommaso Buscetta ha declinato le sue generalità e il discorso si è chiuso lì. Don Masino ha preferito questa forma di contestazione totale. Si è messo cioè sul piano del completo rifiuto».

Al giudice brasiliano, il boss aveva solo detto in più che aveva preso il veleno per morire in Brasile. Il primo round è finito così. Il faccia a faccia si è svolto negli uffici della Questura di Roma poche ore dopo l’arrivo del super boss in Italia. Il giudice Falcone aveva più di una ragione per andarlo a sentire subito, prima che don Masino fosse trasferito in un carcere di massima sicurezza dellItalia centrale. A Palermo Buscetta è coinvolto, infatti, in due inchieste importantissime assieme ad altri super boss. È uno dei principali imputati nel cosiddetto processo sui 162 appartenenti alle cosche vincenti e perdenti. Una indagine voluta da Carlo Alberto Dalla Chiesa e che rappresenta quasi il suo testamento giudiziario. Il prefetto di Palermo, ucciso dalla mafia il 3 settembre di due anni fa, aveva intuito subito dopo il suo insediamento a Villa Withaker che era indispensabile ridisegnare la mappa delle alleanze mafiose.

La vecchia geografia infatti era stata sconvolta da una drammatica guerra di mafia. Nel rapporto presentato alla magistratura nell’estate del 1982 il nome di Buscetta figurava ai primi posti assieme a quelli di Michele e Salvatore Greco, Filippo Marchese, Rosario Riccobono, Pietro Vernengo, Masino Spataro, Gaetano Badalamenti, Stefano Bontade, gli Inzerillo, e poi gli esponenti più in vista del clan dei corleonesi. Come dire era assieme al gotha della mafia palermitana divisa in due fazioni contrapposte: da un lato le cosche vincenti e dall’altro i clan che stavano subendo una decimazione senza precedenti. Buscetta faceva parte del secondo schieramento: ha pagato fino all’ultimo una scelta di campo sbagliata. La vendetta dei clan contro don Masino è iniziata poche settimane dopo l’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa.

A settembre scomparvero da Palermo i due figli del super boss, Antonio e Benedetto, inghiottiti dalla lupara bianca. Alla fine di dicembre vennero uccisi il fratello, Vincenzo Buscetta, e il nipote. Poco prima era stato ammazzato Giuseppe Genova, marito di Felicia Buscetta, l’altra figlia di don Masino. E fu per questo che il boss italo-americano ritornò a Palermo mettendo in atto un piano di rappresaglia contro il potente clan dei Riccobono. Proprio contro quel Rosario Riccobono, suo alleato quando alla fine degli anni 80 le famiglie della mafia siciliana erano legate da un patto che sembrava indistruttibile. Ed è assieme a Rosario Riccobono che Buscetta risulta imputato nell’altro processo per il quale Falcone aveva bisogno di sentire il boss-manager del traffico di cocaina. L’accusa è associazione a delinquere e traffico di stupefacenti. In questo procedimento è compreso anche quello strano colloquio telefonico che un certo “Roberto” (dopo si seppe che era proprio Buscetta) ebbe con l’ingegnere Ignazio Lo Presti, parente degli esattori Salvo. Su questo e sulle relazioni tra Buscetta e Inzerillo il giudice Giovanni Falcone ha ancora tante cose da chiedere a don Masino.

Giuseppe Cerasa