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 2014  aprile 27 Domenica calendario

Biografia di Alfredo Dallolio

Bologna 21 giugno 1853 – Roma 20 settembre 1952. Militare di carriera. Politico. Direttore generale di artiglieria e genio del ministero della Guerra, sottosegretario e poi ministro delle Armi e munizioni durante la Prima guerra mondiale (fino al maggio 1918). Dal 1923 al 1939 presidente dl Comitato per la preparazione della mobilitazione nazionale (dal ’25 anche commissario generale per le fabbricazioni di guerra).
• Figlio di Cesare, figura di spicco del Risorgimento bolognese e delle Romagne, entrò nel 1870 all’accademia militare di Torino, dalla quale uscì due anni più tardi con i gradi di sottotenente d’artiglieria. Carriera nell’esercito, promosso colonnello nel 1905 quando, come direttore d’artiglieria del corpo d’armata di Padova, era incaricato del rafforzamento della sistemazione difensiva del confine nordorientale e della piazzaforte di Venezia, impegno che lo spinse fra l’altro a trattare con fabbriche d’armi e che gli valse alla fine la promozione a maggiore generale.
• Grazie alle competenze acquisite a Venezia in fatto di allestimento di artiglierie e di approvvigionamento di materiali bellici passò al ministero della Guerra, il 4 maggio 1911, come direttore generale di artiglieria e genio. Si trovò così a gestire la direzione generale in una fase cruciale: prima durante la guerra italo-turca (1911-12), poi con le tensioni crescenti tra le potenze europee e con lo scoppio del conflitto, che pure ancora non interessava l’Italia ma che costrinse il ministero ad aumentare gli sforzi nel campo dell’ammodernamento e della produzione di armi e munizioni in vista di un eventuale coinvolgimento del paese nel conflitto. Coincise con quella fase, nell’agosto 1914, la sua promozione a tenente generale per merito eccezionale.
• Nel periodo di neutralità dell’Italia spinse comunque per il rafforzamento della produzione di armi e sostenne la necessità di creare una solida base industriale nazionale, per ridurre la dipendenza del paese dalle forniture estere soprattutto nel campo dell’artiglieria pesante. Seguì in particolare l’avvio della fabbricazione di mitragliatrici italiane (Fiat-Benelli) e la commessa di cannoni pesanti campali (Ansaldo). Ai vertici del ministero fu pure tra i primi a rendersi conto della necessità dei nuovi mezzi di trasporto e comunicazione (auto, aerei, radiofonia) sul campo di battaglia e a sollecitarne la produzione. Consapevole e fiero dell’importanza del proprio ruolo, nell’ottobre 1914 arrivò a rifiutare l’incarico di ministro della Guerra. Quando il 9 luglio 1915 fu istituito il Comitato supremo per i rifornimenti delle armi e munizioni e parallelamente, al ministero della Guerra, il sottosegretariato per le Armi e munizioni, fu posto alla guida di quest’ultimo, che era alle dipendenze dirette del Comitato supremo. Nominato senatore il 23 febbraio 1917, il 16 giugno dello stesso anno, quando il governo Boselli trasformò il sottosegretariato in ministero, diventò ministro delle Armi e munizioni. Fino al 14 maggio 1918 fu non solo «l’organizzatore tecnico di tutta la produzione per la guerra, ma anche il responsabile politico di un nuovo e importantissimo settore dell’amministrazione dello Stato» (Mario Barsali, Dizionario biografico degli italiani, Treccani).
• «Le sue doti migliori rifulsero – non è una frase retorica che offenderebbe la semplicità e la schiettezza di lui – dopo la nostra disavventura di Caporetto. Allora egli compì un prodigio. Non si perdette d’animo nella diffusa depressione: pur consapevole, anche per il suo ufficio, del rovinoso dolente disastro, ebbe chiaro l’intuito, pronta la visione e la volontà del rimedio. Urgeva rifare ab imo gli attrezzi e gli strumenti dalla guerra travolti, sperduti nella rotta di Caporetto. I rappresentanti dei nostri alleati erano precipitati in Italia per rendersi conto del nostro infortunio: nello storico convegno di Peschiera ove fu stabilito di continuare la guerra a oltranza. Il maresciallo francese Foch e il premier inglese Lloyd George ci offrirono aiuto di armi. Mi narrava l’onorevole Sonnino, ministro degli Esteri, che il generale Dallolio, chiesta la parola, dichiarò: “Nulla ci occorre: l’Italia farà da sé, con la sua industria e le sue maestranze”. Così disse: ed era uomo cauto, prudente, lontano da ogni euforia e vana superbia» (senatore Alberto Bergamini, gruppo misto, alla commemorazione in Senato, 1 ottobre 1952).
• L’aumento della produzione bellica e dei suoi costi e le contemporanee esigenze dell’industria e degli approvvigionamenti per la popolazione civile causarono tra la fine del 1917 e l’inizio del ’18 conflitti di competenza con altri ministeri e soprattutto contrasti crescenti con il nuovo ministro del Tesoro, Francesco Saverio Nitti. I dissensi nei confronti della gestione del dicastero delle Armi, che arrivarono a manifestarsi in Parlamento, mentre alcuni ufficiali e funzionari del ministero erano sottoposti a inchieste contabili, spinsero infine Dallolio a dimettersi (14 maggio 1918).
• Dal 3 novembre 1918 al 3 settembre 1920 fu comandante generale dell’artiglieria. Due anni più tardi, nel dicembre 1922, a conclusione dei suoi lavori, la commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra lo “assolveva” pienamente, apprezzandone l’intero operato. Richiamato in servizio, promosso il 1° febbraio 1923 generale di corpo d’armata, fu nominato dal governo Mussolini presidente del Comitato per la preparazione della mobilitazione nazionale (dal 1925 Mobilitazione militare e Mobilitazione civile). Durò nell’incarico fino al 3 settembre 1939, quando, con l’Italia ormai schierata a fianco della Germania (che due giorni prima aveva invaso la Polonia, dando inizio alla Seconda guerra mondiale), a 86 anni si dimise. «Si ritirò (…) spontaneamente, con un gesto di grande fierezza e dignità che costituisce un altro titolo di onore. Egli che aveva opposto una inflessibile resistenza agli allettamenti del regime, e che aveva rifiutato un giuramento che riteneva incompatibile con la sua coscienza e col suo onore di ufficiale, non volle assumersi la responsabilità di cooperare, come Commissario alle fabbricazioni di guerra, a una guerra che riteneva disastrosa e rovinosa per l’Italia e, dopo avere inutilmente documentato che mancavano i mezzi richiesti da una grande impresa bellica, si dimise dall’alto ufficio esprimendone francamente i motivi» (senatore Raffaele Ottani, Dc, alla commemorazione in Senato, 1 ottobre 1952).
• Aveva sposato Augusta Hiller, vedova Yarak, dalla quale aveva avuto una figlia, Elsa. Sopravvisse alla guerra, morì a Roma a 99 anni compiuti.