La Gazzetta dello Sport, 15 aprile 2009
Sergio Marchionne è negli Usa per la pratica Chrysler e gli americani si sono talmente innamorati di lui che il più autorevole magazine di settore – Automotive News – lo ha indicato come il probabile amministratore delegato (Ceo) della casa automobilistica americana, beninteso se ci sarà il matrimonio con Fiat
Sergio Marchionne è negli Usa per la pratica Chrysler e gli americani si sono talmente innamorati di lui che il più autorevole magazine di settore – Automotive News – lo ha indicato come il probabile amministratore delegato (Ceo) della casa automobilistica americana, beninteso se ci sarà il matrimonio con Fiat.
• E questo amore nascerebbe da cosa?
Da considerazioni molto pratiche. Gli analisti d’Oltreoceano sono andati a vedere in che condizioni si trovava la Fiat nel 2004, quando Marchionne ne prese il comando, e in che condizioni si trova oggi. La chiusura con General Motors, che fruttò alla Fiat, in totale, 4 miliardi di dollari, è stata raccontata senza rancore, ma con ammirazione. Lo staff che affianca Obama sulle questioni automobilistiche è rimasto colpito dall’approccio di Marchionne ai problemi di Chrysler. C’è poi la consapevolezza che Fiat potrebbe effettivamente avere quello che serve per rilanciare l’azienda americana, la capacità di fare macchine piccole, a basso consumo, ecologiche. Nel ritratto che gli ha dedicato ieri il Washington Post si respira ammirazione perfino per il casual di Marchionne, la sua predilezione per i girocollo e l’avversione per giacche e cravatte. Siamo di fronte a una piccola mitizzazione. Sarebbe però da ingenui credere che sia tutto oro quello che riluce.
• In che senso? Un pezzo di partito repubblicano – un pezzo maggioritario – è contrario alla vendita di aziende Usa agli stranieri. È anche contrario a personaggi non-americani che vadano a comandare in casa loro. Gli americani non sono diversi da noi: il nome di Marchionne potrebbe essere stato fatto uscire per bruciarlo e spianare la strada a Jim Press, che viene da Toyota. Toyota sa fare macchine piccole e Press è americano. Perché no? Toyota, a differenza di Fiat, è già presente in America e paga stipendi più bassi di quelli di Detroit. Anche Marchionne ha implicitamente riconosciuto che Toyota è un modello. Quando gli hanno chiesto: «Crede che Chrysler potrebbe guadagnar soldi vendendo auto piccole agli americani?», ha risposto: «Toyota does», «Toyota li guadagna».
• A proposito, il nostro uomo non ha problemi con l’inglese, vero?
È nato a Chieti, è cresciuto in Canada, ha tre lauree, gira il mondo da una vita. Guardi che il problema non è il curriculum né la lingua. Il problema è se l’accordo si fa o no.
• Avevo capito che la cosa era fatta.
No e non è neanche probabile. Non si potrà far niente se le banche che devono avere soldi da Chrysler non accetteranno di trasformare almeno parzialmente i loro crediti in azioni. E non si potrà far niente se i sindacati non accetteranno un forte ridimensionamento nelle paghe, nei contributi, nell’assistenza sanitaria. Obama (che ieri, sulla crisi globale, ha detto: «Si intravedono progressi, ma non siamo ancora fuori pericolo») ha dato tempo fino al 30 aprile: a quella data, le parti in causa dovranno essersi alleate e aver concordato il piano di sopravvivenza. Se sarà così, il governo tirerà fuori 6 miliardi per dare al gruppo il tempo necessario. Per far completare l’arrivo di Fiat in America ci vorranno infatti un paio d’anni, mentre i soldi per la ristrutturazione servono immediatamente.
• E se questo accordo non venisse raggiunto?
Ci sarebbe la procedura cosiddetta del Chapter 11 – dal paragrafo della legge fallimentare americana – che impedisce ai creditori di intervenire mentre l’azienda si riorganizza. È quello che si farà quasi sicuramente con General Motors, dove l’amministratore delegato è già stato cambiato. Si fa a pezzi l’azienda e si vendono questi pezzi (fabbriche o linee di concessionarie) al miglior offerente. Con i soldi si pagano i creditori. L’Economist ha scritto che questo caso per la Fiat sarebbe forse migliore: acquisterebbe concessionari e linee produttive a poco prezzo e con la garanzia di pagare stipendi bassi. Tornerebbe a far business negli Usa dopo più di 20 anni. E tuttavia l’altra linea, l’alleanza senza fallimento, è più seducente e magari anche più sicura, perché forse si farebbero avanti in parecchi per comprare i pezzi di una Chrysler fallita. Invece, dopo lo stanziamento di sei miliardi, si farebbe un consiglio d’amministrazione di 7 persone, con un presidente americano e Marchionne amministratore delegato. Può un essere umano guidare contemporaneamente la Fiat in Italia e la Chrysler in America? Parecchi scuotono il capo. Altri dicono che c’è già chi governa due grosse aziende contemporaneamente: il brasiliano Charles Ghosn sta alla testa di Nissan e di Renault nello stesso tempo. Evidentemente, si può fare.