22 aprile 2014
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Biografia di Sidney Sonnino
Pisa 11 marzo 1847 – Roma 24 novembre 1922. Politico, liberal-conservatore. Ministro delle Finanze e del Tesoro, riportò il bilancio dello Stato al pareggio. Presidente del Consiglio per alcuni mesi nel 1906 e nel 1909-10. Ministro degli Esteri negli anni della Prima guerra mondiale.
• Figlio di un commerciante di origine ebraica e di un’inglese che allevò i figli nel culto anglicano. Dopo la laurea in Diritto internazionale intraprese la carriera diplomatica (con impegni in diverse capitali europee), per abbandonarla poi nel 1873. Tornato in Italia approfondì gli studi nelle discipline economiche e cominciò a occuparsi della questione meridionale. Nel 1877 pubblicò insieme a Leopoldo Franchetti La Sicilia nel 1876, un importante saggio sulle condizioni delle masse rurali nell’isola. Nel 1878, sempre con Franchetti, fondò la rivista Rassegna settimanale.
• Eletto deputato nel 1880, nei primi anni da parlamentare si spese con frequenza contro le condizioni miserabili dei lavoratori delle campagne, definendo nello stesso tempo i ricchi oziosi la «piaga corruttrice della società». Conservatore in politica estera, appoggiò l’idea della Triplice alleanza con Austria e Germania (conclusa poi nel 1882 dal governo Depretis), era favorevole al colonialismo, si dimostrò di fatto contrario all’irredentismo riguardo alle questioni di Trento e Trieste.
• Confermato parlamentare nelle successive legislature, nel 1889 fu nominato sottosegretario al Tesoro nel primo governo Crispi (che durò solo due mesi). Nel 1893, caduto il governo Giolitti per lo scandalo della Banca Romana, il presidente del Consiglio incaricato Crispi, al suo terzo governo, lo chiamò come ministro delle Finanze e del Tesoro. Per affrontare la grave crisi delle finanze pubbliche (deficit a 155 milioni di lire), Sonnino propose fra l’altro un’imposta sul reddito a carico delle classi agiate, un aumento della tassa sul sale e un incremento dell’imposta sugli interessi dei titoli di Stato. Si dovette passare da una crisi di governo, con le dimissioni prima di Sonnino poi dell’intero dicastero, alla formazione di un nuovo dicastero di Crispi, con un ridimensionamento di Sonnino che mantenne solo il Tesoro, ma alla fine, nel luglio 1894, il Parlamento approvò la tassa del 20 per cento sugli interessi dei buoni del Tesoro, il cardine dei provvedimenti proposti da Sonnino, che consentì di arrivare al pareggio di bilancio. Questa esperienza di governo si concluse nel marzo del 1896 con la caduta dell’esecutivo guidato da Crispi in seguito alla sconfitta dell’esercito italiano a Adua. Poche settimane prima, proprio sulla guerra in Abissinia, Sonnino aveva avuto forti contrasti con il primo ministro. • Nel 1897 pubblicò su Nuova Antologia il suo saggio più famoso, “Torniamo allo Statuto”, in cui invocava il ritorno alla lettera dello Statuto Albertino, lanciava l’allarme per le minacce che clero e socialisti rappresentavano per il liberalismo e auspicava la cancellazione del governo parlamentare e il ritorno all'assegnazione del potere esecutivo al re. Nel 1901 fondò un nuovo quotidiano, il Giornale d’Italia.
• Dal 1900 Sonnino guidò l’opposizione conservatrice ai governi della sinistra storica (Saracco, Zanardelli, Giolitti). Dall’8 febbraio 1906 presidente del Consiglio in uno strano governo con i radicali e l’appoggio esterno dei socialisti, e con un programma che aveva al centro la questione meridionale. Durò poco, si dimise il 18 maggio dello stesso anno. Breve anche l’esperienza alla guida del suo secondo governo, questa volta con una marcata connotazione di centrodestra: dall’11 dicembre 1909, dopo la caduta del Giolitti III, al 31 marzo 1910.
• Durante la crisi di luglio del 1914, all’indomani dell’attentato di Sarajevo (presidente del Consiglio il conservatore Antonio Salandra, amico e suo ex ministro, ministro degli esteri il marchese di San Giuliano), Sonnino si espose per un coinvolgimento dell’Italia nella guerra incombente a fianco degli alleati Germania e Austria-Ungheria. La battuta d’arresto dei tedeschi nella battaglia della Marna gli mise qualche dubbio, anche perché erano in gioco quei compensi territoriali che avrebbero assicurato il completamento dell’unità nazionale ma che si sarebbero potuti ottenere solo in caso di vittoria. Dopo la morte di San Giuliano e la brevissima crisi di governo di fine ottobre, fu chiamato nel secondo governo Salandra (in carica dal 5 novembre 1914) come ministro degli Esteri, carica che ricoprì per tutto il periodo in cui l’Italia fu in guerra e fino al 23 giugno 1919, anche nei due governi che succedettero al gabinetto Salandra: quello di Boselli prima e di Orlando poi.
• D’accordo con Salandra, Sonnino intavolò due trattative parallele, sia con gli imperi centrali, formalmente ancora alleati, sia con l’Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia). Da una parte si trattava perché l’Italia mantenesse la sua condizione di neutralità, ma, nonostante i buoni uffici di Berlino, Vienna non accettava mai fino in fondo le richieste di Roma. Dall’altra si trattava per l’intervento italiano al fianco dell’Intesa, a condizioni di poco più favorevoli, per l’Italia, rispetto a quelle che si sarebbero potute ottenere dall’Austria (le potenze dell’Intesa, soprattutto i russi, avevano fretta che si aprisse un altro fronte per alleggerire la pressione che stavano subendo). Quando ancora erano in corso le ultime, pur sempre infruttuose, trattative con Vienna e Berlino, il 26 aprile 1915 l’ambasciatore italiano a Londra Guglielmo Imperiali firmò per conto del governo nella capitale britannica il cosiddetto Patto di Londra, che impegnava l’Italia a entrare in guerra entro un mese a fianco dell’Intesa. Salandra e Sonnino tennero il Parlamento, in maggioranza neutralista, all’oscuro di tutto.
• In seguito agli scarsi successi dell’esercito italiano e alla disfatta di Caporetto Sonnino caldeggiò la sostituzione di Cadorna con Diaz come comandante in capo, per assicurare nell’ultimo anno di guerra al paese quella vittoria che gli avrebbe permesso di presentarsi in una posizione di forza alla conferenza di pace. Le ambizioni territoriali italiane, però, andarono deluse alla conferenza di pace di Parigi del 1919. Sonnino restò per tutta la durata della conferenza tenacemente fedele al patto di Londra, arrivando a un duro scontro con il presidente americano Wilson che si era detto contrario alle richieste italiane. Alla fine firmò lui, il 28 giugno 1919, il Trattato di Versailles, pur non condividendone i principi, pur avendo abbandonato per protesta alla fine di aprile con il capo del governo Orlando la conferenza e pur facendo parte di un governo da cinque giorni dimissionario. Amareggiato per la conclusione della conferenza di pace, non si ripresentò alle elezioni del 1919. Nominato senatore il 3 ottobre del 1920, non prese mai la parola nell’assemblea vitalizia.