22 aprile 2014
Tags : Fioravante Palestini
Biografia di Fioravante Palestini
• Giulianova (Teramo) 9 settembre 1946. Culturista. L’uomo dello spot Plasmon degli anni Sessanta (quello che scolpiva il nome su una colonna). Trafficante di droga, il 24 maggio 1983 fu sorpreso su una nave con un carico di 233 chili di eroina: condannato da un tribunale egiziano a 25 anni di carcere, fu liberato nel giugno 2003 dopo 7322 giorni di prigione (vent’anni). Detto Gabriellino.
• «Un metro e 82 di altezza per cento chili di muscoli, una cassa toracica pari al doppio di un uomo normale, bicipiti modello “Braccio di ferro”. Come l’eroe dei cartoni ha un passato da marinaio, adora il mare, le sue leggi, il profumo, il lento rullare, è attento all’alimentazione, ma non fuma la pipa e soprattutto non c’è una “sola” Olivia ad attirare le sue attenzioni. “Lo hanno rovinato le donne. Le donne e il fisico”, racconta un amico d’infanzia. Lui nega: “Cavolate, volevo far diventare Giulianova una piccola Miami. Non ci sono riuscito”. In compenso ha passato venti anni nelle carceri egiziane tra topi, escrementi, aggressioni, nostalgia, dimagrimenti improvvisi. Amicizie improbabili. Tutto inizia in un’estate del 1963, quando un famoso regista, Sergio Tombolini, vaga sul lungomare adriatico alla ricerca del protagonista del suo spot. Cerca un forzuto, “Il” forzuto, il ragazzo da vendere come indistruttibile grazie ai prodotti Plasmon: “Più di una persona gli fece il mio nome – racconta – Ma ero in crociera per lavoro: aspettò il mio sbarco per ingaggiarmi”. Un milione e duecentomila lire guadagnati in quattro Caroselli a neanche vent’anni di età. La testa gira. L’ego cresce al pari dei muscoli. “Cosa ho fatto? Sono partito per la Germania insieme a una ragazza. Conoscevamo dei compaesani”. E come sempre nessuna spiegazione ad amici o parenti “però mandavo qualche lira a casa”. Nel frattempo, per dieci anni, diventa un esperto di bische: “Ero in grado di arrivare in qualunque città tedesca e organizzare un giro clandestino in 48 ore: avevo una rete, esperienza, i soldi necessari, la capacità di risultare simpatico”. Eppoi i muscoli, sempre loro, all’inizio utili per farsi una fama, per spiegare a cazzotti chi comanda e perché. Poi la causa della fuga: “Dopo una serie di denunce ho mollato e sono tornato insieme a una valigia con 130 milioni di contanti”. E parliamo degli anni Settanta, quando lo stipendio medio di un operaio era di 120 mila lire e una Fiat 126 costava un milione. “A Giulianova ho aperto un negozio di casalinghi, uno dei più belli”. Vita nel lusso. Ma non gli basta. L’occasione. Nei primi anni Ottanta in Abruzzo arriva il boss della mafia Gaspare Mutolo, da poco uscito dal carcere di Sulmona. Ha bisogno di un contatto fidato sul luogo. Anche in questo caso, come per la Plasmon, tutti gli parlarono di Gabriellino. “Con Gaspare siamo ancora amici, con lui ho scoperto la Sicilia. Sono entrato in contatto con i livelli più alti della criminalità”. Talmente alti da ottenere la possibilità di sostituire l’amico, tornato in carcere, in una maxi spedizione di droga: “Sono andato in Svizzera per prendere le piante nautiche, stabilire programmi e orari. Poi sono tornato in Italia in attesa del via libera”. Ecco l’ultima passeggiata, quella con l’amico. “A Bangkok ho incontrato il mio contatto, Kim. Con lui abbiamo attraversato la Thailandia in camion, abbiamo avuto anche un incidente, tanto da ribaltarci”. Quindi l’imbarco, venti giorni di traversata: “Eravamo in otto, io più sette greci. Il giorno facevo esercizio fisico, la sera stavo in cabina”. Fino a quando “non siamo giunti nel canale di Suez”. Lì è stato un attimo. Mitragliette, pistole, distintivi. Elicotteri. L’Fbi statunitense e l’Interpool greca. La polizia egiziana e i servizi segreti. “Mi sono arreso subito. Ma da lì è partito il mio incubo”. Vuol dire vivere in spazi angusti, anche sotto terra, insieme a dieci, trenta, anche cento detenuti “compresi i terroristi responsabili della morte di Sadat”. Vuol dire non capire niente di arabo, mangiare quando possibile, avere la famiglia lontana migliaia di chilometri. Nessuna certezza sul futuro: “Un giorno, dopo quasi un anno che ero lì, sono venuti a interrogarmi Falcone e Ayala. Finalmente parlavo in italiano!”. Malattie, dimagrimenti improvvisi. La forza di ricominciare. “Oramai ero di casa: avevo buoni rapporti sia con i generali, sia con i detenuti. Poi mi allenavo di continuo. Un giorno, mentre correvo in cortile, mi sono girato e ho visto una quarantina di carcerati al mio fianco. Mi imitavano rispettosi”. Epilogo. Anno 2003, Gabriellino torna a casa. Trova lavoro, rifornisce le barche di carburante. Si allena, come sempre, tanto da riuscire ad attraversare l’Adriatico in pattino: lo fa in trenta ore, senza mai fermarsi, “non sento la fatica”. Quando lo dice sorride, senza esagerazioni. Pacato. Consapevole. Di rimpianti neanche uno, ogni episodio è derubricato a esperienza. “In fin dei conti ora parlo sia il tedesco che l’arabo”. Vero. Ma qual è stato il primo desiderio da uomo libero? Silenzio. Ci pensa. Poi serio: “Ho rifatto lo stesso percorso di quell’ultima notte”. Questa volta, però, la passeggiata è stata in solitaria» (Alessandro Ferrucci) [Fat 10/6/2013].