8 aprile 2014
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Biografia di Rosario Pio Cataffi
• Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) 6 gennaio 1952. Presunto mafioso al vertice della cosca barcellonese. Detto L’Avvocato (professione che ha svolto finché non è stato cancellato dall’albo). Arrestato per associazione mafiosa il 24 luglio 2012 (inchiesta “Gotha 3”), è detenuto al 41 bis all’Aquila.
• «Soggetto quanto mai sfuggente ed enigmatico […] è stato nel tempo sottoposto a numerose indagini da parte di numerose Procure d’Italia, dalle quali è comunque uscito sempre sostanzialmente indenne. [Era] incaricato di tessere e mantenere i contatti con le più autorevoli ed importanti famiglie mafiose catanesi e palermitane dell’isola, in particolare con la famiglia Santapaola-Ercolano di Catania» (relazione annuale 2012 Direzione Nazionale Antimafia).
• Nel 2001 il Gip di Palermo ha archiviato, su richiesta della Procura, il procedimento che lo vedeva indagato, tra gli altri, insieme a Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie, Salvatore Riina, Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano, Paolo Romeo. Accusa: associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico, mirata a ottenere la secessione della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia (reato di cui all’art. 270 bis codice penale). Ex militante di Ordine Nuovo, nell’ordinanza di archiviazione il giudice dava atto comunque degli indizi a suo carico: «i legami con Pietro Rampulla, il c.d. “artificiere” della strage di Capaci, anch’egli proveniente dalle fila di Ordine Nuovo, e i contatti telefonici fra utenze in uso al Cattafi con soggetti riconducibili a Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie fra la fine del 1991 e gli inizi del 1992, e cioè proprio nel periodo di elaborazione del piano eversivo e di massimo impegno di Gelli e di Delle Chiaie nel progetto politico delle leghe meridionali» (inchiesta “Sistemi Criminali”).
• Il 7 marzo 2013 è stato rinviato a giudizio dal Gip di Palermo Piergiorgio Morosini per il reato di violenza e minaccia a un corpo politico (processo sulla c.d. trattativa Stato-Mafia). Nel rinviare a giudizio gli indagati, il giudice ha spiegato di dovere motivare la decisione, in quanto la richiesta del PM gli era pervenuta senza indice degli atti allegati, calcolati in più di 300 mila pagine, mettendolo così nell’impossibilità di richiamare per relationem il materiale di prova. Quanto alla posizione di Cattafi, perciò, ha evidenziato che si tratta di soggetto a contatto non solo con l’organizzazione mafiosa, ma anche «con sodalizi collegati ai servizi di sicurezza, a logge massoniche e alla eversione di destra». È stato Cattafi stesso a offrire elementi di prova del proprio contributo alla trattativa, «laddove riferisce dei suoi contatti con l’allora vicedirettore del Dap, dott. Francesco Di Maggio, a partire dal giugno 1993; sulle circostanze in cui aveva saputo dallo stesso dot. Di Maggio, prima della nomina ufficiale a vicedirettore del Dap (giugno 1993), che quest’ultimo avrebbe assunto tale incarico per porre fine alle stragi attraverso la concessione di benefici penitenziari; e su un incontro con il dott. Di Maggio al bar Doddis a Messina, in cui il primo gli disse che “con i Ros abbiamo deciso di prendere le cose in mano”, e che di questo doveva avvertire, attraverso intermediari, il boss Nitto Santapaola».
• Testimone di nozze del mafioso Giuseppe Gullotti, che fu condannato come mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, ucciso a colpi di pistola mentre era alla guida della sua Renault rossa, l’8 gennaio 1993. Il rientro di Cattafi a Barcellona non era passato inosservato da Alfano. «Vedendolo ricomparire nella primavera del 92, Alfano, che lo conosceva bene, ha confidato a Sonia: “se Cattafi sta qui, significa che all’orizzonte ci sono grosse novità”» (Alfio Caruso, I Siciliani).
• Nel 2009, parlando al telefono con il giornalista Alfio Caruso, il magistrato Olindo Canali, indagato dalla Procura di Reggio Calabria per falsa testimonianza, veniva intercettato nel dire: «Quel Saro Cattafi in cui trovammo in casa la rivendicazione dell’omicidio Caccia fatta dalle Brigate Rosse, che in realtà poi sappiamo fu ucciso dai calabresi e dai catanesi» (vedi Giuseppe Belfiore) (a cura di Paola Bellone).