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 2014  aprile 01 Martedì calendario

Il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge che riforma il Senato

Il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge che riforma il Senato...

Il che non vuole dire che da oggi non abbiamo più il Senato, perché il disegno di legge deve essere approvato dalle due Camere, una delle quali è proprio il Senato.
Si tratta di un disegno di legge costituzionale, che cambia cioè la Costituzione, dove la Camera e il Senato sono previsti dall’articolo 55 («Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica»). Per cambiare il Senato, perciò, bisogna cambiare la Costituzione. E per cambiare la Costituzione bisogna che la Camera e il Senato dicano sì due volte, e ogni "sì" deve essere distanziato dal precedente di almeno tre mesi. Se tutti filano a tutta velocità, ci vuole perciò almeno un anno. Diciamo, ragionevolmente, un anno e mezzo. Fine del 2015. Ce la farà Renzi, con lo scarso margine di vantaggio che ha proprio al Senato (e con i problemi che gli pongono in ogni caso gli infelici del Pd) a reggere fino alla fine del 2015?  

Prima di addentrarci nel groviglio politico, direi che bisognerebbe dire cosa la legge prevede per questo nuovo Senato.
Il presidente Renzi ha detto che per lui sono irrinunciabili questi quattro punti: i senatori non devono essere eletti dal popolo; il Senato non deve votare le leggi di bilancio; i senatori non devono riscuotere nessuna indennità; il governo, per stare in piedi, non ha più bisogno di ottenere la fiducia del Senato, gli basta quella della Camera. I senatori saranno 148 e non rappresenteranno più la Nazione (funzione che rimane alla Camera), ma «le istituzioni territoriali». Tra loro ci saranno 21 personalità scelte direttamente dal capo dello Stato. Saranno senatori di diritto e a titolo gratuito, perché già stipendiati, i governatori regionali, i sindaci di capoluogo di Regione, alcuni consiglieri regionali. Questi senatori saranno chiamati a esprimersi sulle leggi elettorali, sulle leggi costituzionali, sui trattati internazionali, sulle leggi concernenti i diritti fondamentali, sulle commissioni d’inchiesta. In questi casi si tornerà al bicameralismo perfetto, a quel sistema cioè, in vigore oggi, per cui le due assemblee si equivalgono sotto tutti i punti di vista. E per ora questo è tutto. In conferenza stampa sia Renzi che la Boschi hanno detto che il testo è discutibile e modificabile, ma non per quanto riguarda i quattro punti irrinunciabili. Come ha confermato, e anche con una certa foga, nell’intervista successiva a Sara Varetto, direttore di SkyTg24, se gli toccano uno di quei quattro punti, il premier se ne va a casa. «Non sono un uomo per tutte le stagioni, sono qui per cambiare le cose, non è che la gente è in sintonia con me, sono io in sintonia con la gente e so che per recuperare un minimo di credibilità siamo noi politici a dover fare qualche sacrificio». Tradotto: Renzi è pronto a ritirarsi in caso di sconfitta sui quattro punti, «non toccherà poi a me sciogliere le Camere».  

Quante probabilità ci sono che non ci sia il lieto fine?
Parecchie. Intanto è molto fredda "Scelta civica", il cui segretario, Stefania Giannini, ha detto ieri mattina che una legge simile non dovrebbe essere proposta dal governo, ma dal Parlamento. La Giannini ha poi votato con gli altri ministri in favore del disegno di legge (passato all’unanimità), ma la difficoltà è reale. C’è poi la minoranza del Pd. In parte ha altre idee: Civati vuol presentare un disegno di legge di riforma del Senato alternativo a quello del governo, Rodotà e Zagrebelski hanno steso un appello contro la «svolta autoritaria di Renzi», appello sottoscritto pure da Grillo e Casaleggio. Ma soprattutto la minoranza del Pd è preoccupata dall’eccesso di vittorie del segretario. Questo mal di pancia, o infelicità, ha trovato voce domenica in un’intervista del presidente del Senato Pietro Grasso a "Repubblica", in cui s’è difesa l’idea di un Senato almeno in parte elettivo e s’è accusato il presidente del Consiglio di correre troppo. Secondo quelli che se ne intendono, in questa iniziativa di Grasso bisogna avvertire anche una preoccupazione di Napolitano. Renzi l’ha presa male, ricordando a Grasso che la seconda carica dello Stato è per definizione terza rispetto a tutti e non s’è mai sentito che abbia preso posizione sulla politica del governo (in realtà s’è sentito, ma lasciamo stare). Dalla Varetto, poi, Renzi lo ha ribadito: «Se fai l’arbitro non puoi giocare».  

E Berlusconi?
Romani e Brunetta (i due capigruppo) protestano perché, con Berlusconi, vorrebbero prima l’approvazione della legge elettorale e solo dopo quella del Senato delle autonomie. Romani ha previsto che l’iter della legge sul Senato varata ieri «sarà per il governo un Vietnam».  

Che significato ha l’abrogazione del Cnel?
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Sessantaquattro personaggi, con relativi staff, che dovrebbero dar consigli in materia economica. E presentare leggi. Lo presiede il forzista Antonio Marzano. Onestamente, nessuno s’è mai accorto della loro esistenza. Anche se sono previsti dalla Costituzione più bella del mondo (articolo 99).