La Gazzetta dello Sport, 31 marzo 2014
La morte a 83 anni di Gerardo D’Ambrosio ci costringe a rievocare almeno due pezzi di storia italiana, pezzi drammatici e carichi di problemi
La morte a 83 anni di Gerardo D’Ambrosio ci costringe a rievocare almeno due pezzi di storia italiana, pezzi drammatici e carichi di problemi.
• Stiamo parlando del magistrato, poi senatore, vero? Di che cosa è morto?
Di cuore. Glielo avevano trapiantato nel 1991. Di quell’intervento, che gli ha regalato 23 anni di vita (durante i quali ci sono stati Mani Pulite, la Procura generale di Milano e il Senato), diceva: «Non c’è momento in cui non pensi, più che al donatore, a chi, come la sorella, diede il consenso con un atto di generosità immenso». Paolo Cirino Pomicino, uno degli indagati di Mani Pulite, quando dovette trapiantarsi a sua volta gli telefonò per un consiglio. D’Ambrosio lo tranquillizzò raccontandogli che dopo un mese dall’operazione era già tornato in ufficio. Dettaglio che forse serve a descrivere più D’Ambrosio che il trapianto.
• Nel 1991 era già un magistrato famoso.
Sì, per via dell’inchiesta su Pinelli. Il 12 dicembre 1969 sconosciuti piazzarono bombe nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano. Le esplosioni provocarono 16 morti e 88 feriti. Nell’ambito delle indagini, fu convocato in questura anche l’anarchico Pino Pinelli, ferroviere, capo-smistamento dello scalo Garibaldi. Il commissario Luigi Calabresi lo andò a prelevare al circolo di via Scaldasole. Non ci fu bisogno neanche di farlo salire in macchina: la 850 blu della polizia davanti, Pinelli seguì a bordo del suo motorino Benelli fino a via Fatebenefratelli. Lui e Calabresi si conoscevano e anche abbastanza bene: a Natale, Calabresi aveva regalato a Pinelli il libro Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli e ne aveva ricevuto in cambio l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Pinelli venne interrogato per tre giorni dai poliziotti Panessa, Caracurta, Mainardi, Mucilli. Non c’erano difensori e l’interrogatorio era evidentemente illegale (come ammise lo stesso D’Ambrosio). La notte del terzo giorno, quella tra il 15 e il 16 dicembre, Pinelli volò dal balcone al quarto piano della questura. Fu accusato Calabresi (che sarà ammazzato per questo), fu accusata la polizia, ma D’Ambrosio, dopo sei anni d’indagini, sentenziò che Calabresi (giustamente) non era nella stanza da cui era volato Pinelli e che non vi era prova del coinvolgimento dei poliziotti. Non era, però, a suo dire, neanche suicidio. Che cosa aveva ucciso, allora, il povero, innocente anarchico? «Un malore attivo», spiegò D’Ambrosio, senza mai farci sapere attraverso quale sequenza questo «malore attivo» avrebbe potuto far levitare un uomo di sessanta chili e scaraventarlo fuori dal balcone.
• Si trattò di una manipolazione?
Si trattò di un modo abile di uscire da un impasse giudiziario senza mettere in difficoltà nessuno. Questa abile mano si vide all’opera anche nell’enorme caso detto “Mani Pulite”.
• Sentiamo.
Era il 1992. La signora Laura Sala, divorziata dal marito, andò a denunciare il marito da Antonio Di Pietro, in quel momento pm a Milano, con l’obiettivo di spuntare un assegno di mantenimento più alto. Raccontò che questo marito pigliava mazzette a tutto spiano. Si trattava di Mario Chiesa, ingegnere, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, in Milano, casa di riposo per anziani. Di Pietro aveva per le mani la denuncia dell’imprenditore Luca Magni, che non voleva pagatre a Chiesa un pizzo troppo alto. Insomma, Di Pietro incastrò Chiesa, Craxi disse che Chiesa era un «mariuolo», e Chiesa, molto deluso dal suo Psi, cominciò a chiacchierare. Come saprà, quell’inchiesta s’estese a tutta velocità in direzione socialista e democristiana, demolendo alla fine la cosiddetta Prima Repubblica. La portò avanti un pool di magistrati (Di Pietro, Colombo, Davigo, a cui poi si aggiunsero Greco e Ielo, procuratore capo essendo Francesco Saverio Borrelli) coordinati appunto da D’Ambrosio. Non abbiamo lo spazio per illustrare le varie opinioni su “Mani Pulite”, ma certo di quella faccenda D’Ambrosio fu la figura centrale.
• Credevo che la figura centrale fosse Di Pietro.
Di Pietro ebbe un impatto enorme sulla pubblica opinione, che s’innamorò del personaggio, rude, dai modi spicci, un Robin Hood o uno Zorro che incarcerava i politici cattivi. D’Ambrosio - è questa l’accusa che gli è sempre stata mossa e alla quale non ha mai risposto in modo del tutto persuasivo - è stato l’uomo che ha orientato le indagini in modo da tener fuori il Pds. Fece saltare l’unico pm che indagava a sinistra (Tiziana Parenti, poi parlamentare di Forza Italia). Si oppose agli avvisi di garanzia contro il tesoriere dei democratici. Fu infatti senatore con i Democratici di sinistra e poi nel Pd (legislature 2006 e 2008). Quell’esperienza lo deluse molto. Raccontava che durante il Prodi II aveva presentato dieci disegni di legge sulla giustizia «e invece ne è passato solo uno, ridotto a emendamento alla Finanziaria. Un’umiliazione». Diceva che adesso è molto più difficile di una volta indagare sulla corruzione. Aggiungeva che Mani Pulite è stata una grande occasione perduta.