24 marzo 2014
Tags : Costantino Baratta
Biografia di Costantino Baratta
• Trani (Barletta-Andria-Trani) 1957. Muratore. Nato a Trani ma residente a Lampedusa, la mattina del 3 ottobre 2013 salvò dodici naufraghi eritrei.
• «La mattina del 3 ottobre, è uscito in barca dal porto di Lampedusa ed è entrato nella cronaca di una tragedia che ha segnato indelebilmente il 2013. (…) Quei 12 profughi eritrei sono stati gli ultimi ripescati vivi dal naufragio del peschereccio che dalla Libia li aveva portati a poche centinaia di metri dalla scogliera di Cala Madonna. Un gesto che ha fermato il bilancio a 153 superstiti e 366 morti (…) “Sono un muratore. Una persona normale. Faccio il mio mestiere. Qui a Lampedusa ho lavorato abbastanza bene, non mi è mancato mai il lavoro. Vivo a Lampedusa dal 1987, da 26 anni, residente fisso. Però la prima volta sono venuto nel 1976, essendo fidanzato con una lampedusana che ha studiato e si è diplomata alle magistrali a Trani. Io sono di Trani. Dopo dieci anni di matrimonio, c’era da costruire una casa qui, nella proprietà di mio suocero da sistemare. Io, essendo muratore, sono venuto a costruire questa casa, che è in paese. La decisione è stata quella. All’inizio era per stare qui un paio di anni, finire la casa e ritornare a Trani. Poi invece mi ci sono ambientato benissimo. Mi piace tanto e non sono più andato via. Mio figlio è cresciuto a Lampedusa. Quando abbiamo portato il bambino qui aveva tre anni. Oggi ne ha 30. Mio figlio vive a Milano con la sua compagna. Siamo qui da soli, io e mia moglie, con il resto dei parenti. Mia moglie accudisce il padre che ha 92 anni. Una famiglia normale, come tante”. Giovedì 3 ottobre il sole sorge su un mare piatto. La temperatura è ancora estiva. E la prima luce dell’alba illumina una distesa di cadaveri e di sopravvissuti che galleggiano da ore a poco meno di un chilometro a Sud di Cala Madonna e Punta Pagghiareddu. “Quel giorno mi sono svegliato verso le sei, sei e un quarto”, racconta Baratta, “perché avevamo deciso con il proprietario della barca, Onder Vecchi, di uscire per una battuta di pesca. In quel periodo non stavo lavorando perché era ancora stagione di turismo. Volevamo prendere due tonnetti o fare due lenzate a dentici e orate. Onder è un mio amico pensionato che ha qui la sua barca. Solo che non appena siamo usciti dal porto che erano le sette, sette e cinque, abbiamo visto prima la motovedetta e poi due barche vicine alla motovedetta. Ho detto a Onder: avviciniamoci e vediamo”. Proprio in quel momento il piccolo scafo con i due amici diventa la salvezza per i sopravvissuti stremati che la corrente ha allontanato dai primi soccorritori. “Mentre ci avvicinavamo a queste barche, abbiamo visto gente in mare che si sbracciava e urlava”, ricorda Baratta: “Quindi abbiamo cominciato a recuperarli perché li avevamo sotto bordo. Nell’arco di un quarto d’ora, 20 minuti ne abbiamo tirati su otto o nove. E la barca già era un po’ carica. Però da un peschereccio ci urlava una donna, che poi era Grazia, una ragazza di Catania che ha il negozio a Lampedusa. Urlava: correte, andate voi che siete più agili, a prendere gli altri perché c’era ancora gente in acqua che si sbracciava. Abbiamo recuperato ancora altre due persone. Erano nudi, tutti sporchi di nafta che scivolavano come saponette. Dalla motovedetta ci hanno detto: recuperate i vivi e lasciate stare i cadaveri”. È così che il corpo di Uam, una ragazza di 24 anni ormai alla deriva tra i cadaveri, viene riportato nel mondo dei vivi. “Pensavamo che fosse un altro morto”, racconta Costantino Baratta: “Galleggiava con le braccia aperte. Abbiamo visto che ha mosso la mano e con un filo di voce diceva: help me, help me, aiutatemi. Onder esclama: è una ragazza. Ha accostato lentamente. Le ho dato la mano ma la ragazza non ce la faceva, era oramai esausta. L’ho tirata, l’ho avvicinata alla scaletta ma non ce la faceva da sola a salire e ho detto a Onder: lascia il timone, vieni ad aiutarmi perché questa non riesco a prenderla come gli altri. Quindi io l’ho presa da una ascella, Onder dall’altra. L’abbiamo issata a bordo. Vomitava nafta, tossiva. Ho preso una bottiglia d’acqua che avevamo a portata di mano, le ho sciacquato il viso, le ho dato un sorso d’acqua che non ha ingerito, l’ha vomitato subito insieme ad altra nafta. Ho visto che era tutta sporca, anche gli occhi. Mi sono tolto la mia canottiera, l’ho inzuppata di acqua dolce. E le ho lavato il viso, le ho dato una strofinata ai capelli. Poi lei era molto infreddolita, mi ha fatto capire che aveva freddo. Allora l’ho avvolta nella canottiera e ho cercato di riscaldarla un po’ in modo che si riprendesse. Però si vedeva che stava male”. Costantino spiega che, dopo quel giorno, ha voluto incontrare Uam e gli altri ragazzi. Li ha ospitati a casa. Ha messo a disposizione il telefono e il computer perché contattassero i parenti in Europa e i genitori in Eritrea. Ora Uam è in Svezia. Gli altri ragazzi in Germania e a Roma. Tranne due, bloccati dal 3 ottobre a Lampedusa per avere accettato di testimoniare contro gli organizzatori del viaggio. “Una sera, era buio, ho sentito suonare al citofono e me li son visti presentare tutti”, sorride Baratta: “Costantino sono Robel, ha detto lui, sono con gli altri ragazzi che avete salvato. Sono arrivati qui in nove quella sera. Allora li ho fatti accomodare in casa. Li ho riconosciuti, a mano a mano che li andavo visualizzando. Erano loro che mi dicevano: tu mi hai preso per i pantaloni, a me hai dato l’asciugamano. Un po’ in inglese, un po’ in italiano. Insomma ci siamo fatti capire. Ora con alcuni di loro sono in contatto su Facebook”. In che lingua comunicate? “Uam e i ragazzi scrivono in inglese. Io traduco delle frasi con il traduttore sul computer, me le scrivo e poi gliele riscrivo su Facebook e le mando. Uam dice che deve tornare a Lampedusa perché mi deve restituire il telefonino che le abbiamo prestato. Dice che non appena avrà i documenti in Svezia, verrà a trovare me e mia moglie”» (Fabrizio Gatti) [Esp 27/12/2013].
• Nel 2011, aveva dato una mano a Tarak, un ragazzo tunisino: «Lo aveva notato sua moglie, alla quale in una via del centro aveva chiesto il cellulare per poter telefonare alla famiglia. Tarak rimase nel centro di permanenza per quasi due mesi. Pranzava e cenava nella casa di questo ex muratore di fiere origini e parlata pugliese, originario di Trani, lampedusano di adozione da quasi trent’anni. “Io non ho opinioni politiche, detesto le persone schierate” dice. “Ma credo che quando qualcuno ha bisogno, si deve dare una mano”» (Marco Imarisio) [Cds 6/10/2013].
• Sposato, un figlio.