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 2014  marzo 16 Domenica calendario

La storia delle due baby-squillo romane è arrivata a una prima conclusione: ieri la Procura ha annunciato la chiusura dell’inchiesta e l’avvio della procedura che porterà al rinvio a giudizio, cioè al processo

La storia delle due baby-squillo romane è arrivata a una prima conclusione: ieri la Procura ha annunciato la chiusura dell’inchiesta e l’avvio della procedura che porterà al rinvio a giudizio, cioè al processo. Alla sbarra sono destinati per ora sei uomini.

Chi sono?
L’imputato principale è questo Mirko Ieni, 38 anni, barista, magnaccia nel senso pieno della parola, era lui che prendeva in affitto gli appartamenti e teneva i contatti con i clienti, discutendo i prezzi e trattenendo poi per sé la metà del compenso che andava alle due ragazzine (3-400 euro). S’è scoperto pochi giorni fa che Ieni aveva ingaggiato anche due ragazze più grandi, una di diciannove anni l’altra di poco meno, a cui procurava hashish e cocaina e per le quali aveva preso in affitto un locale nel quartiere Salario-Trieste. Di solito si prostituiva la più grande, mentre l’altra aspettava fuori. Le due dovevano uscire insieme per non insospettire i genitori. Questa seconda indagine è però ancora aperta, il rinvio a giudizio di ieri è per la storia delle due baby che nel giro si facevano chiamare Angela e Aurora.  

E gli altri cinque?
Nunzio Pizzacalla, 35 anni, sottufficiale degli alpini abruzzese. Aiutava Ieni a procurare clienti. Mario De Quattro, 29 anni, romano, girò un video porno con una delle due e poi voleva farsi dare 1.500 euro per non rivelare la cosa ai genitori. Sarà rinviata a giudizio anche la madre di una delle ragazze che avrebbe spinto la figlia a prostituirsi. Il quinto è Riccardo Sbarra, commercialista, imputato anche per aver detenuto e ceduto materiale pedopornografco. L’ultimo è Marco Galluzzo, imprenditore, 49 anni, che aveva la bava alla bocca all’idea di poter sverginare una delle due ragazzine.  

E il marito della Mussolini?
Già di questa storia non parleremmo più se non fosse uscito fuori che tra la quarantina di clienti c’era anche questo Mauro Floriani, manager delle Ferrovie dello Stato, a suo tempo militare, moroso della Mussolini da quando i due avevano quindici anni e padre dei tre figli della senatrice. Qualcuno s’è chiesto se non vi sia una qualche ferita deontologica nel fatto che i giornali si interessano del Floriani specialmente per il fatto che è «marito di...». È una domanda troppo difficile. In ogni caso, né Floriani né gli altri clienti, la metà dei quali già identificata, la scamperanno. Per decidere la loro sorte ci vorrà ancora qualche giorno. I magistrati sono favorevoli, a quanto capisco, al patteggiamento, perché vogliono che la storia chiuda al più presto e le due ragazzine, ora ricoverate in un istituto protetto (ma sono tornate a scuola), escano al più presto dall’incubo. Le testimonianze delle due sono impressionanti.  

Che cosa dicono?
 Non volevano incontrare ragazzi troppo giovani «per il fatto che magari li potevamo conoscere. Cioè, tipo di 18, 20 anni no. Questa era l’unica nostra preferenza. Io ai clienti dicevo di avere 18 anni, anche se mi è capitato che qualche cliente mi dicesse, vedendo le forme, “ma sei sicura? Sembri più grande”. Noi più che altro ci mettevamo i tacchi e ci vestivamo più elegante possibile per sembrare più grandi. Quando poi abbiamo visto che ad alcuni clienti non gliene fregava niente, ci vestivamo normali. Ci truccavamo, ma in modo normale. Io mi ero fissata in testa come se avessi proprio 18 anni, dentro di me non avevo più 15 anni, facevo come mi pareva. Mirko? Ci pressava e ci condizionava, ci trattava un po’ come delle macchine, per lui dovevamo esserci sempre, tutti i giorni, non voleva perdere i soldi, diceva che gli servivano i soldi per varie cose. Perché alla fine noi due eravamo l’unica sua fonte di guadagno» Una delle due ragazze entrò nel giro per imitare l’altra: «Vedevo che aveva tanti soldi, che poteva spenderli come le pareva, aveva una sua indipendenza dal punto di vista economico, mi sono fatta prendere un po’ anch’io da questa cosa, alla fine mi sono fatta un po’ trascinare. Alla fine ci ho provato. Fingevamo di essere maggiorenni. All’inizio erano due o tre clienti al giorno. Svuotavo la testa e dicevo “Vabbé, tanto è un’ora, poi è finito”. Piano piano ho capito che erano tutti deficienti. Rispondevo alle domande il minimo indispensabile, ma non ero io, era un’altra persona. Non ero così tanto felice. Anzi non ero felice per niente».  

E la Mussolini?
Si dice che abbia cacciato il marito di casa, ma non credo. La cosa accadrà, suppongo, ma quando i giornalisti avranno smesso di assediarla. Non vuole parlare, ha solo mormorato, una volta: questa cosa mi ha distrutto. I due hanno tre figli, Caterina, Clarissa, Romano. Le due femmine non sono troppo distanti, per età, alle due baby che piacevano al padre.