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 2014  marzo 14 Venerdì calendario

La questione è se alle cose che il premier ha detto mercoledì bisogna credere o no. Un sacco di gente pensa di no, ma lui insiste e ieri, dopo aver parlato a un convegno e incontrato Renzo Piano che deve dargli una mano a rimettere a posto le scuole, s’è presentato da Bruno Vespa a Porta a Porta, dove ha firmato un nuovo contratto, stavolta non con gli italiani alla maniera di Berlusconi, ma con lo stesso Vespa: se al prossimo 21 settembre, giorno dedicato a San Matteo, il governo non avrà sbloccato i soldi che servono per rimborsare i crediti dei fornitori della Pubblica Amministrazione, Vespa dovrà andare in pellegrinaggio a piedi da Firenze al Monte Senario

La questione è se alle cose che il premier ha detto mercoledì bisogna credere o no. Un sacco di gente pensa di no, ma lui insiste e ieri, dopo aver parlato a un convegno e incontrato Renzo Piano che deve dargli una mano a rimettere a posto le scuole, s’è presentato da Bruno Vespa a Porta a Porta, dove ha firmato un nuovo contratto, stavolta non con gli italiani alla maniera di Berlusconi, ma con lo stesso Vespa: se al prossimo 21 settembre, giorno dedicato a San Matteo, il governo non avrà sbloccato i soldi che servono per rimborsare i crediti dei fornitori della Pubblica Amministrazione, Vespa dovrà andare in pellegrinaggio a piedi da Firenze al Monte Senario. Renzi: «Vespa ha un’unica chance, che abbiamo fatto un disegno di legge e non un decreto», cioè il pericolo per il premier sono le lungaggini del Parlamento.

Divertente, ma il problema resta. Gli si può credere?
Un dubbio tra i tanti mi viene dal fatto che nel consiglio dei ministri dell’altro giorno, Renzi ha illustrato una “Relazione” al consiglio dei ministri e non delle leggi o dei decreti. È una procedura abbastanza insolita, che ha permesso però al capo del governo di tenere quella conferenza stampa fantasmagorica, piuttosto criticata dai giornali di ieri, che ci hanno visto forzature persino «da venditore di pentole», «berlusconismi di ritorno», eccetera. Marcello Dell’Utri ha dato una mano ai nemici del premier dichiarando che s’è trattato di un’esibizione eccezionale, «a Publitalia l’avrei preso subito», «avrebbe moltiplicato i fatturati». Tuttavia, prescindendo dagli aspetti folkloristici, e concentrandoci sul punto chiave, chiediamoci seriamente se la promessa di Renzi, quella di far trovare a partire dalle buste paga di maggio 80 euro di media in più ai 10 milioni di italiani che prendono meno di 25 mila euro lordi al mesi, sta in piedi oppure no. 80 euro al mese fa più o meno mille euro l’anno.  

La questione delle coperture.
Il premier, intervistato dal Sole 24 Ore prima del consiglio dei ministri, aveva sostenuto di avere in tasca non 10 ma 20 miliardi di euro, tutti nel 2014. Citiamo: «7 miliardi è quello che si può ottenere attraverso la spending di Cottarelli, 6,4 miliardi è la differenza tra il 2,6% tendenziale del deficit/Pil e il 3 per cento che è il vincolo europeo, 3 miliardi è il dividendo dei tassi bassi, 1,6 miliardi arrivano dalla maggiore Iva per i pagamenti alle imprese, 2 miliardi dal rientro dei capitali». Sono concetti che poi ha ripetuto davanti ai giornalisti. I dubbi sono tanti. Brunetta: «Sono impatti mirabolanti e tempistiche miracolose. Il gettito Iva provocato dai pagamenti alle imprese fornitrici della Pubblica Amministrazione è di 800 milioni e non di 2,6 miliardi. Le misure sono aleatorie e incerte e provengono da varie fonti oltretutto legalmente improbabili». Il “legalmente improbabili” si riferisce alle obiezioni europee.  

Ieri infatti, se non ho capito male, l’Europa ha dato un giudizio severo su tutto.
Ha capito male. La Bce ha diffuso ieri il suo Bollettino, preparato molto prima dello show di Renzi, che contiene un giudizio severo sul 2013. Abbiamo chiuso col il rapporto deficit/Pil al 3% invece che al 2,6, obiettivo che secondo Draghi va raggiunto assolutamente nel 2014. La Commissione europea ha invece fatto girare un giudizio non negativo. Il Commissario Olli Rehn «accoglie positivamente l’intenzione di ridurre il cuneo fiscale tramite risorse ottenute dalla spending review». Però aggiunge: «Ricordiamo l’impegno dell’Italia a rispettare il Patto di stabilità e di crescita", che prevede di raggiungere un bilancio strutturale in pareggio nel medio termine, specialmente dato «l’elevato debito pubblico» della penisola. Quanto invece alle misure annunciate sul lavoro, sono «appropriate vista l’elevata disoccupazione dei giovani».  

Quindi il problema di Renzi è l’Europa.
L’Europa, che ha qui da noi due guardiani implacabili, cioè Napolitano e il ministro Padoan. I due, a quanto si sa, frenano i bollenti spiriti del presidente del Consiglio, che vedrà la Merkel lunedì prossimo e avrà il suo daffare nel convincerla a rinunciare, per l’Italia, alla politica del rigore. Sei miliardi del suo programma arrivano proprio dall’innalzamento del deficit/Pil dal 2,6 al 3%. La mossa porterebbe con sé un debito nel 2015 al 134% del Pil. Ottavo anno di peggioramento.  

Non sarà che il nostro capo del governo, fiutando tra l’altro il sentimento generale anti-eurocrati, vuol mettersi a capo della protesta contro Bruxelles, soffiando un argomento a Grillo, a Berlusconi, alla Lega?
Può darsi. Ieri, al convegno alla Camera e poi da Vespa, ha detto: «Il governo italiano rispetta tutti gli impegni che ha con l’Europa, non solo quello economico, ma vuole mantenere quel sogno degli Stati Uniti d’Europa di Altiero Spinelli che ha visto intere generazioni combattere per valori condivisi. L’Europa deve essere l’Europa dei cittadini, dei popoli e delle speranze non solo dei vincoli. L’Italia vuole tenere i conti in ordine non perché ce lo chiede la Ue ma perché ce lo chiedono i nostri figli. Il futuro che ci riguarda lo vogliamo costruire, non subire».