12 marzo 2014
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Biografia di Angelo Licheri
• Gavoi (Nuoro) 28 agosto 1944. L’uomo che, nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1981, si calò nel pozzo artesiano in cui era caduto il piccolo Alfredino Rampi, a Vermicino, tra Roma e Frascati, nel tentativo, fallito, di salvarlo.
• «Uno solo riesce a toccare Alfredino. È Angelo Licheri, un sardo basso e segaligno. Fa il fattorino e pesa 45 chili. “Vado a prendere le sigarette. E andai lì. Arrivai sul posto e dissi ce la posso fare. Maurizio Monteleone mi giudicò adatto. Mi imbragarono, mi legarono per i piedi e mi calarono giù. Non avevo mai visto una grotta, avevo paura dei serpenti, fumavo e avevo un piccolo enfisema polmonare, ma dovevo farcela”. Angelo scende a testa in giù per 35 metri in un cunicolo largo 30 centimetri. Il pozzo si curva a gomito, ad un lato la roccia. “Urlavo mollate, mollate, sapevo che dovevo farmi spazio con il corpo, la roccia mi tagliava le gambe, le braccia, le anche sanguinavano...”. Angelo riesce ad avvicinarsi al bambino, gli pulisce la bocca dal fango, gli libera gli occhi. Cerca di stringerlo con una corda a mo’ di giubbottino come gli speleologi gli hanno insegnato. “Lo prendo per un polso, sento un rumore secco, gli ho fatto male”. Angelo sta in quella posizione per 45 minuti, un tempo interminabile, insopportabile finanche per un uomo allenato. Il bimbo gli scivola, non riesce a stringere bene la corda. Angelo cede. Manda un bacio ad Alfredino e piange» (Enrico Fierro) [Fat 8/7/2013].
• «Lavoravo a Roma, ero autista per una tipografia e avevo 37 anni, sposato con tre figli. La mattina dell’11 giugno devo consegnare dei pacchi e sento le segretarie che parlano di un bambino. “Che succede?”. Mi spiegano a grandi linee e poi parto. A metà tragitto faccio una sosta al bar e tutti i clienti raccontano di un certo Alfredino. Mi incuriosisco. Arrivo a casa e chiedo informazioni alla mia ex moglie, ma lei fa finta di nulla. Il giorno dopo tra radio, giornali e tv capisco cosa è successo, torno a casa verso le 19, mi spoglio e mi piazzo nudo davanti allo specchio: mi osservo di fronte, poi di profilo. E decido: devo andare. L’avesse saputo, mia moglie mi avrebbe legato in casa!! Ho dovuto mentire: “Cara, esco a comprare le sigarette e torno per cena...”. Ha scoperto tutto dalla tv quando era troppo tardi per fermarmi: ha riconosciuto la voce mentre ero nel pozzo» (ad Alessandro Dell’Orto) [Lib 27/8/2006].
• Quando lo raggiunse, Alfredino era ancora vivo: «Rantolava, faceva haaaaa, haaaaa, era rannicchiato con le ginocchia incastrate davanti al corpo. Gli libero le mani, sussurro: “Alfredino, torna su con me che ti porto in Sardegna, ti faccio andare in barca e ti compro una bicicletta nuova”. Nel frattempo, in superficie, pensano sia morto anche io perché non rispondo più al microfono. Poi metto una specie di imbracatura sotto le ascelle e chiedo di tirare su. Lo strappo è troppo forte, si slega. Riprovo, stesso risultato. Allora lo prendo per le braccia. Niente. Provo per i polsi e sento crac, il braccino sinistro si rompe. Ultimo tentativo, la maglietta. Nulla, scivola. Capisco che non c’è altro da fare, sono stremato e chiedo di risalire. Guardo Alfredino, gli mando un bacio, scoppio a piangere e mi tirano su» [Dell’Orto, cit.].
• Adesso è malato di diabete, vive su una sedia a rotelle e gli hanno amputato la gamba destra. Fino al 1999 ha vissuto in Africa, in Kenya: «Mi sono sposato a Kapkangani con una ragazza kenyana e ho dovuto pure pagarla con una mucca... (…) È il rito africano. Quando il giudice ti unisce in matrimonio chiede: “Tu hai dato una mucca per la moglie che vuoi prendere?”. Non avendola, l’ho comprata e l’ho donata alla famiglia della sposa. La mucca però non può stare sola, ma deve avere la compagnia di una pecora: e così a mia suocera ho regalato anche una pecora» [Dell’Orto, cit.].
• «A Vermicino ci sono tornato chissà quante volte... Perché non sapevo come liberarmi di quel brutto sogno. Il pozzo alle spalle, e quando mi giravo c’era sempre quel buio, e mi svegliavo freddo come un morto» (a Elio Pirari) [Sta 22/5/2011].