La Gazzetta dello Sport, 11 marzo 2014
La legge elettorale è rimasta bloccata a Montecitorio dalla questione delle quote rosa. Si è cercata per tutto il pomeriggio una mediazione che alla fine non è stata trovata: gli emendamenti che garantivano la parità di genere sono così stati bocciati con 335 no
La legge elettorale è rimasta bloccata a Montecitorio dalla questione delle quote rosa. Si è cercata per tutto il pomeriggio una mediazione che alla fine non è stata trovata: gli emendamenti che garantivano la parità di genere sono così stati bocciati con 335 no. Si temeva un pericolo cinquestelle, nel senso che i grillini avrebbero potuto votare apposta in favore delle quote rosa nella speranza che passassero e che saltasse così l’intesa tra Renzi e Berlusconi. Il relatore Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) e il governo si erano rimessi all’aula: e cioè i deputati sarebbero liberi di votare secondo coscienza i tre emendamenti in cui era riassunto il problema. Forza Italia era contraria, il presidente del Consiglio, già ieri mattina, aveva detto di essere favorevole alle quote rosa se sulla questione fosse stato raggiunto un accordo generale. Un modo elegante per invitare i suoi a esprimersi contro, dato che Berlusconi era contro. Le deputate favorevoli alle quote rosa, aderendo a un’idea di Laura Ravetto di Forza Italia, ieri si sono presentate in aula vestite di bianco. Di bianco anche due maschi, il leghista Gianluca Buonanno della Lega, uno che vuole sempre farsi notare e s’è presentato in giacca candida, e il democratico Davide Baruffi (ampia sciarpa bianca).
• In che consistevano i tre emendamenti?
Erano tre emendamenti presentati dall’onorevole del Pd Roberta Agostini, 48 anni, da Pesaro, una lunga esperienza all’interno del partito proprio sulla questione delle pari opportunità. Il primo emendamento riguardava «l’alternanza di genere», e cioè nelle liste, se l’emendamento fosse stato approvato, si sarebbero dovute obbligatoriamente succedere nomi di un candidato uomo e di un candidato donna. Il secondo emendamento imponeva l’equilibrio tra i capilista, cioè ciascun partito sarebbe stato obbligato a mettere in cima alla lista un uomo in una circoscrizione e una donna in un’altra circoscrizione. Il terzo emendamento era una versione moderata del secondo: il rapporto uomo/donna tra i capilista era ridotto a 60 e 40.
• C’è la possibilità di dividere, su questo punto, le opinioni dei politici tra destra e sinistra? Cioè, la destra contraria e la sinistra favorevole?
Le parlamentari sono poco meno di duecento, e quelle che ieri si sono vestite di bianco non superano la novantina. Quanto alla questione destra/sinistra una divisione netta non è possibile. Per esempio, a destra sono sempre state fieramente contro le quote rosa, che considerano umilianti, la Santanché e la Ida Magli, mentre hanno sempre sposato integralmente le quote la Prestigiacomo e la Polverini. A sinistra, al numeroso gruppo di favorevoli, si contrappongono le opinioni nettamente contrarie, per esempio, di Ida Dominijanni e di Angela Mauro, il cui giudizio su tutta la faccenda è severissimo. Resta poi per me impressionante l’opinione dei lettori di Repubblica, di sinistra per definizione, ma contrari a ogni lottizzazione di genere: sulle quote il 57% ha risposto «No, perché si tratta di un metodo impositivo che non fa onore alle donne» e «No, perché l’alternanza di lista e di capilista sarebbe una forzatura: se una donna ha capacità politico-amministrative scadenti, non ha titolo per essere candidata» (qui i no hanno raggiunto il 60%). Il 59% nega poi che un maggior numero di donne aumenti l’efficienza dell’ufficio in cui si trova «perché le competenze non sono una questione di genere». Sarebbe interessante un referendum o un sondaggio su un campione non sbilanciato, ma la sensazione è che la battaglia delle donne vestite di bianco non abbia dietro di sé la maggioranza del Paese.
• Questo garantisce che le donne in bianco abbiano torto?
No, perché in passato tante battaglie condotte da minoranze hanno portato risultati politicamente importanti, ai quali la sensibilità della popolazione si è presto adeguata. Forse è sbagliato o arretrato il concetto di "quote", che riduce di fatto la rappresentanza femminile a una sorta di riserva indiana. Se non fossimo alla vigilia dell’abolizione del Senato sarebbe forse stato meno discriminante assegnare la Camera alle donne e il Senato agli uomini. Allora non sarebbe più stata questione di proteggere una specie discriminata (ancorché maggioritaria), ma di ammettere che i due generi hanno sensibilità diverse.
• Se la legge introducesse le preferenze, le donne avrebbero più possibilità?
Non si direbbe. Le donne, nel governo e nel Parlamento, non sono mai state così rappresentate come nella legislatura attuale, nella quale le liste erano bloccate. Tocchiamo con questo il punto sottolineato da Dominijanni e Mauro: le quote sono, oltre che un orrore sociale, anche un’illusione. A decidere quali donne mettere in lista, nel contesto attuale, saranno sempre gli uomini. Dice la Dominijanni: è un modo subdolo per sterilizzare la conflittualità, unico strumento capace di far crescere davvero il movimento femminile.
• È poi così indispensabile che il movimento femminile cresca?
Beh, ammetterà che qualcosa di distorto c’è in un paese in cui le donne sono il 51%, ma hanno rappresentanza politica del 20-30%, guadagnano meno, contano meno. Il problema esiste, la questione è quale sia la strada più efficace per affrontarlo.