La Gazzetta dello Sport, 4 marzo 2014
Chi sa i mal di pancia per questo Oscar alla Grande Bellezza...• Ma che dice? Il giovane Nanny Loy correva per l’Oscar con Le quattro giornate di Napoli e i vecchi Rossellini e De Sica rilasciavano interviste compiaciute su come sarebbe stata importante la vittoria di un giovane regista italiano, vittoria meritatissima, a loro parere, nelle interviste
Chi sa i mal di pancia per questo Oscar alla Grande Bellezza...
• Ma che dice?
Il giovane Nanny Loy correva per l’Oscar con Le quattro giornate di Napoli
e i vecchi Rossellini e De Sica rilasciavano interviste compiaciute su come sarebbe stata importante la vittoria di un giovane regista italiano, vittoria meritatissima, a loro parere, nelle interviste. Poi – la notte fatidica – i due s’attaccarono alla radio per sentire come sarebbe andata a finire e quando da Hollywood arrivò l’annuncio che Le quattro giornate
non le avevano proprio prese in considerazione, eccoli tutt’e due saltare per la stanza pieni di gioia maligna, facendo il gesto col braccio, tiè tiè...
• Ma perché, in un giorno di festa e di gioia per il cinema italiano, cominciare con questo aneddoto buffo e magari divertente però un poco da guastafeste...
Provo fastidio per tutte queste esultanze, adesso ognuno si vuole intestare un pezzetto di vittoria, per esempio Renzi, l’ultimo arrivato, col solito tweet, «In qs ore dobbiamo pensare ad altro e lo stiamo facendo. Ma il momento d’orgoglio italiano...», dio, l’orgoglio italiano, e senta De Magistris: «Ringrazio Sorrentino per aver inserito tra le sue fonti d’ispirazione Maradona e Napoli...», ma se è interista, scusi, come si permette. Senta Franceschini: «Dunque si può far cinema ambizioso e universale anche in Italia, non solo film “carini”», poi «...per l’Italia un’iniezione di fiducia in se stessa...».
• C’è anche il messaggio di Napolitano: «Si è giustamente colto nel film di Sorrentino il senso della grande tradizione del cinema italiano e insieme una nuova capacità di rappresentazione creativa della realtà del costume del nostro tempo. È uno splendido riconoscimento, è una splendida vittoria per l’Italia». Ma che cosa voleva, che stessero tutti zitti? Le prime a congratularsi, anche per la soddisfazione del vincitore, devono essere proprio le autorità: il presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica, il ministro per i Beni culturali... Lei s’è svegliato storto. Faccia la cronaca, piuttosto.
Al Dolby Theater di Hollywood, 86esima edizione degli Oscar, a un certo punto Ewan McGregor, giunto il momento di proclamare il vincitore per il miglior film straniero, ha pronunciato le tre parole: «The Great Beauty!». Le telecamere hanno inquadrato il palco dove si trovava il nostro regista Paolo Sorrentino, che è saltato al collo del produttore Nicola Giuliano e di Tony Servillo e poi è corso a ritirare il premio ringraziando tutti e dichiarando che i suoi ispiratori erano stati Federico Fellini, Martin Scorsese, i Talking Heads e Maradona. Un magnifico accento italiano che ha giustamente, cocciutamente, mantenuto (Natalia Ginzburg invitava a diffidare degli italiani che parlavano inglese senza accento). È importante aggiungere che tutti e tre indossavano smoking napoletani, usciti dalla sartoria dei fratelli Attolini.
• Perché importante?
I fratelli Attolini, figli di Cesare e nipoti di Vincenzo, che nel 1930 inventò la giacca destrutturata senza fodera e spallina leggera, una specie di giacca-camicia, sono quelli che hanno vestito Jep Gambardella, il cinico giornalista sentimentale protagonista del film. Servillo si serve sempre da loro. Negli Stati Uniti furoreggiano la giacca rossa e la giacca gialla di Gambardella, quelle che Jep indossa con i pantaloni bianchi e le scarpe bicolori. Quindi il film, al di là della soddisfazione morale, è portatore anche di fatturati, gli Attolini, 150 dipendenti di cui 130 sarti e sarte, 11 mila abiti all’anno tutti fatti a mano, si sono rinforzati in America, dico “rinforzati” perché già vestono Michael Douglas («che conosce Napoli meglio di noi») e Robert De Niro («gentilissimo, magnifico italiano»).
• Questo Oscar significa qualcosa per l’Italia o è un caso isolato, un colpo di fortuna?
Non si vince l’Oscar senza organizzazione, ci sono seimila giurati a scegliere, i film in gara sono alla fine una quarantina, dunque una buona organizzazione fa in modo intanto di vincere parecchi premi prima e farsi un nome (a parte Cannes, il film di Sorrentino ha vinto tutto), poi si adopera per far vedere il film a più giurati possibile, mica i seimila vedono tutti e quaranta i film in gara, eccetto Michael Goldman, famoso proprio per questo. Tutto quindi è stato fatto alla perfezione, dunque nel nostro casino siamo ancora capaci di mettere in piedi un’organizzazione seria. Poi il film ha una sua forza, la bellezza della fotografia, il fascino malinconico di Jep, allusivo al Mastroianni di mezzo secolo fa. Bisogna metterci l’amore americano per le bellezze italiane. Ma che l’Oscar significhi una vittoria del sistema, dell’Italia di oggi e tutto il resto con cui ci si consola... a questo purtroppo non si può credere. Crederlo sarebbe tradire quello che il film ci ha fatto capire di noi stessi, quello che ci dice, poeticamente, della nostra decadenza.