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 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

Biografia di Carlo Maria Viganò

• Varese 16 gennaio 1941. Arcivescovo. Già segretario generale del Governatorato, dal 19 ottobre 2011 nunzio apostolico negli Stati Uniti. Divenne noto nel gennaio 2012 per la pubblicazione di alcune sue lettere a papa Benedetto XVI, rese note nel programma di La7 Gli intoccabili, in cui denunciava casi di corruzione in Vaticano.
• «Gli intoccabili (La7) ha mostrato una lettera inviata il 27 marzo 2011 al Papa da monsignor Carlo Maria Viganò, allora segretario generale del Governatorato, cioè l’ente che si occupa della gestione economica della Città del Vaticano. Nella missiva l’alto prelato, un anno e mezzo prima chiamato dallo stesso Benedetto XVI a rimettere in sesto le finanze dello Stato, avvertiva il Pontefice di una manovra di corridoio per rimuoverlo. “Un mio trasferimento – scriveva Viganò a Joseph Ratzinger – provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione”. Il monsignore, sfrondando le spese, era riuscito a dimezzare le perdite, giunte nel 2009 a 8 milioni di euro, arrivando a 34,4 di avanzo. Sotto accusa un “comitato finanza e gestione composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. Nel mirino 4 pezzi da novanta: Pellegrino Capaldo, Carlo Fratta Pasini, Ettore Gotti Tedeschi e Massimo Ponzellini. L’epilogo è noto: lo scorso 18 ottobre (2011) Viganò fu nominato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, quale nuovo nunzio apostolico a Washington, una destinazione in ogni caso di grande prestigio. Ma l’incarico – apparso ad alcuni in realtà come una rimozione (“promoveatur ut amoveatur”) – venne accompagnato nelle Segrete stanze da malumori, sfociati in una lettera di minacce anonime indirizzata a Bertone. Missiva finita sui giornali e attribuita a un misterioso “Corvo”. Nella trasmissione alcuni intervistati, comparsi senza nome, hanno parlato di attacchi a Viganò provenuti da fornitori che avevano visto dimezzati o cancellati i propri contratti in Vaticano. Contratti e appalti in cui, secondo il monsignore, lavoravano sempre le stesse ditte, a costi raddoppiati. A difendere la Santa Sede, in diretta, era il direttore dell’Osservatore Romano, lo storico della Chiesa Giovanni Maria Vian, (…)» (Marco Ansaldo) [Rep 27/1/2012].
• «Tutto comincia nel maggio del 2009, quando il Papa decide di affidare la gestione degli appalti al cardinale Giovanni Layolo e a monsignor Viganò, che sostituiscono rispettivamente il cardinale Edmund Casimir Szoka e monsignor Renato Boccardo nei ruoli di presidente e segretario generale del Governatorato. Quella struttura è un buco nero: nel 2009 perde 8 milioni di euro. Cifra apparentemente modesta, ma estremamente significativa se rapportata alle dimensioni dello Stato Vaticano. “Non avrei mai pensato di trovarmi davanti a una situazione così disastrosa”, rivela Viganò in un altro scioccante appunto inviato a Ratzinger (…). Definendola “inimmaginabile”, e per giunta “a tutti nota in Curia”. Dal pentolone che ha scoperchiato salta fuori l’inverosimile. I servizi tecnici sono un regno diviso in piccoli feudi. In Vaticano opera una cordata di fornitori che non fanno praticamente gare: dentro le mura dello Stato della Chiesa lavorano sempre le stesse ditte, a costi doppi rispetto all’esterno anche perché non esiste alcuna trasparenza nella gestione degli appalti di edilizia e impiantistica. Insomma, una moderna fabbrica di San Pietro che ingoia denaro a ritmi ingiustificati, come dimostra il conto astronomico che viene presentato per il presepe montato nel Natale 2009 a piazza San Pietro: 550 mila euro. Non bastasse, c’è una situazione finanziaria allucinante: le casse del governatorato subiscono perdite del 50-60%. Per tamponarla, spiega Viganò, la gestione dei fondi è stata affidata a un “comitato finanza e gestione composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. Racconta il monsignore che una sola operazione finanziaria nel dicembre 2009 ha mandato in fumo due milioni e mezzo di dollari. Ma chi fa parte di questo comitato? Nuzzi fa i nomi di quattro pezzi da novanta della finanza italiana. Quelli di Pellegrino Capaldo, Carlo Fratta Pasini, Ettore Gotti Tedeschi e Massimo Ponzellini. (…) Viganò prende l’incarico maledettamente sul serio. La sua scure colpisce dappertutto: non risparmia nemmeno il conto del famoso presepe, tagliato d’emblée di 200 mila euro, né la gestione dei giardini, uno dei capitoli più problematici. Il risultato è che il bilancio del Governatorato passa da un deficit di 8 milioni a un utile di 34,4 milioni nel giro di un anno. Ma tanto rigore non gli vale un encomio. Anzi, per lui cominciano i guai. “Viganò si è fatto un sacco di nemici e quei nemici si stanno muovendo nell’ombra per fargliela pagare”, è il commento de Gli intoccabili. Fatto sta che sul Giornale escono alcuni articoli non firmati, nei quali è contenuto un segnale preciso: il segretario generale del Governatorato ha praticamente le ore contate. Ed è proprio quello che accade. Il segretario di Stato Tarcisio Bertone lo solleva dall’incarico, e la decisione fa saltare anche la nomina a cardinale che gli sarebbe stata promessa. (…) Viganò viene nominato Nunzio apostolico della Santa sede negli Stati Uniti e spedito a Washington. Incarico prestigiosissimo, anche se a 7.228 chilometri di distanza. A nulla serve l’appello disperato e diretto a Ratzinger. Che anzi si rivela un errore, perché scavalcando Bertone ottiene semmai l’effetto contrario. Ma Viganò non digerisce affatto la decisione e inizia una corrispondenza infuocata con il segretario di Stato. Lettere nelle quali rivendica il risanamento ottenuto “eliminando la corruzione ampiamente diffusa”, e chiede di essere messo a confronto con i suoi accusatori in un processo “ai sensi del canone 220 del codice di diritto canonico”» (Sergio Rizzo) [Cds 25/1/2012].
• Nel gennaio 2012 divenne noto anche per un’altra questione, che riguardava il fratello Lorenzo, prete anche lui, la sorella Rossana e la gestione del patrimonio di famiglia: «Una grande casa borghese, quella dei Viganò, famiglia storica di industriali che hanno fatto le loro fortune nel mondo della siderurgia. Sono otto fratelli e sorelle, i Viganò. Due di loro però sviluppano un legame speciale: sono don Carlo Maria, classe 1941, e don Lorenzo che invece è del ’38. I due hanno scelto in gioventù la strada del Signore e hanno stabilito di mettere in comune le rispettive quote del patrimonio familiare. Si tratta di beni per un valore di almeno trenta milioni di euro, ma la stima sarebbe per difetto. Solo che Carlo Maria e Lorenzo hanno anche profili e temperamenti assai diversi: il primo è un personaggio carismatico, autorevole, capace di muoversi fra i Sacri Palazzi con il piglio del manager. Lorenzo è invece uno studioso puro, passa le sue giornate chino sui libri, da molti anni si è trasferito negli Stati Uniti e conduce un’esistenza appartata e discreta. Nel 1996 però il sacerdote viene colpito da un ictus che lo inchioda su una sedia a rotelle. La mente per fortuna resta integra e il prete continua a studiare e a sfornare libri. I soldi però non gli bastano più: ha bisogno di risorse economiche più importanti per vivere dignitosamente ora che è menomato nel fisico. Per questo si rivolge a Carlo Maria che tiene i cordoni della borsa dall’altra parte dell’oceano. È l’incipit di questa storia. Il resto lo racconta don Lorenzo nella denuncia presentata alla procura di Milano il 7 aprile dell’anno scorso (2011): “Tutte le somme e frutti della comunione sono sempre stati versati sui conti correnti intestati al solo Carlo Maria Viganò, anche perché io mi accontentavo di prelevare dal conto corrente a lui intestato gli importi di cui necessitavo... attraverso una carta di credito”. Poi la musica cambia: “Ho chiesto a mio fratello di avere autonome disponibilità liquide senza dover fare a lui di volta in volta la questua per disporre delle somme che, nella misura del 50 per cento, erano e sono anche mie”. Iniziano lunghe e accese discussioni. Finalmente il 13 ottobre 2008 sul conto di don Lorenzo viene accreditata la somma di un milione di euro. Ma l’incertezza continua: di lì a poco il gruzzolo gli viene tolto, “con la complicità di una banca (forse fin tropo compiacente) e con la collaborazione” di un altro fratello. La famiglia è irrimediabilmente divisa, la faglia corre e separa gli uni dagli altri come nelle saghe amare di tante dinastie. Don Lorenzo ormai non crede più alla buona fede del fratello, gli revoca la procura, cerca di sapere che fine abbia fatto la sua parte del patrimonio. Ma è una discesa in un antro buio che non si riesce a illuminare: “Carlo Maria non si è mai degnato di fornire alcun chiarimento e gli unici contatti di quest’ultimo e di taluni miei fratelli sono stati improntati, da un lato, a cercare di spaventarmi con subdoli e fantomatici avvertimenti minacciosi, poi ad invitarmi a sottoscrivere una divisione completamente iniqua”. Tutti i tentativi di avere notizie sull’ammontare del tesoro di famiglia vanno a vuoto. In contemporanea in procura ha bussato anche il vescovo. Che firma una denuncia contro ignoti: ma nel mirino c’è la sorella Rossana che avrebbe sfruttato la malattia del fratello per mettere le mani sul famoso milione. In sostanza, nell’atto il vescovo si considera vittima insieme al fratello sacerdote della perfidia di Rossana, di fatto sospettata di circonvenzione di incapace. Il pm fa di tutto: interrogatori, acquisizione di carte, perfino intercettazioni. Ma non trova nulla che possa confermare il terribile sospetto. Anzi, Rossana dà tutta un’altra versione: il milione le era stato prestato dal fratello per comprare una farmacia; d’altra parte Rossana spiega che don Lorenzo è nel pieno possesso delle sue facoltà intellettuali, porta in procura alcuni suoi libri recenti, insomma non può aver approfittato di lui. Il pm continua a scavare, ma non trova appigli alla sua tesi. Anzi, il 22 giugno 2011 ecco che davanti a lui si siede il presunto infermo, arrivato da Chicago. Il pm lo ascolta, poi chiede l’archiviazione: “Deve escludersi la sussistenza nel Lorenzo Viganò di uno stato di infermità o deficienza psichica, anche nella forma di una incisiva menomazione delle facoltà di discernimento, di determinazione volitiva e capacità di giudizio, su cui si è innestato un intervento suggestivo da parte degli indagati. Lo stesso confermava inoltre di aver spontaneamente deciso di effettuare un prestito alla sorella... Chiariva altresì le origini e le ragioni dei dissidi esistenti con il fratello Carlo Maria”. Il 12 dicembre 2011 il gip archivia. La circonvenzione d’incapace non c’è stata. Don Lorenzo ha smentito il fratello vescovo e ha confermato il racconto della sorella Rossana. Ai misteri del Vaticano si aggiungono le torbide trame di casa Viganò. Ora è la querela di don Lorenzo ad andare avanti. Lui, con toni apocalittici, afferma: “Non ritengo più umanamente possibile continuare a sopportare le angherie di soggetti che fanno finta di indossare le pelli di agnelli dissimulando la loro vera natura di lupi”» (Stefano Zurlo) [Grn 28/1/2012].
• Nel marzo 2013, padre Lorenzo smentì quanto dichiarato dal fratello nella lettera di protesta al Papa sul trasferimento a Washington: «Lorenzo Viganò è stato tirato in ballo direttamente dal fratello vescovo nella lettera in cui il presule chiedeva al Papa di rimanere in Vaticano, proseguendo il suo cursus honorum che lo avrebbe visto diventare presidente del Governatorato e per ciò stesso cardinale. Una lettera di protesta per il trasferimento a Washington che invece era stato deciso nei suoi confronti dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, dal momento che l’esito di un’indagine interna al Vaticano aveva dimostrato che le accuse di diffusa corruzione presentate da Carlo Maria si erano dimostrate senza solido fondamento. Viganò per resistere al trasferimento, si appellò direttamente al Papa e addusse come impedimento la necessaria, doverosa e diretta assistenza in cui era impegnato nei confronti del suo fratello gravemente infermo e praticamente incapace di intendere e di volere. Il 7 luglio 2011, l’attuale nunzio scrisse a papa Ratzinger: “Mi angustia poi il fatto che, dovendo purtroppo prendermi cura personalmente di un mio fratello sacerdote più anziano rimasto gravemente offeso da un ictus che lo sta progressivamente debilitando anche mentalmente io debba partire anche ora, quando ormai intravvedevo di poter risolvere in pochi mesi questo problema famigliare che tanto mi preoccupa”. In realtà le indagini e la testimonianza diretta di Lorenzo Viganò supportata da documenti di attività accademica, contratti d’affitto, utenze e quant’altro, mostrano una situazione completamente diversa. Lorenzo sostiene senza mezzi termini che suo fratello “ha scritto il falso al Papa” dal momento che lui vive da decenni a Chicago in assoluta autonomia e non è mai stato accudito dal fratello con il quale per di più – alla data della lettera – aveva del tutto interrotto i rapporti da più di due anni, cioè dal gennaio 2009. “Nel 1996 – ci spiega – ho subito un ictus, ma a distanza di poco tempo sono tornato indipendente e anche se con qualche difficoltà legata al fisico (un’emiparesi sinistra) sono tornato alla mia solita vita e ai miei studi a Chicago”. “È un fatto certo che quando Carlo Maria ha scritto la lettera al Papa nel luglio del 2011, lui non solo non si occupava di me ‘personalmente’ – continua – ma i nostri rapporti si erano già interrotti da tempo (inizio 2009) a seguito dell’acuirsi di tensioni tra noi a motivo della nostra eredità che sono sfociate addirittura in una causa civile da me intentata nel 2010 contro di lui presso il Tribunale di Milano, perché c’erano molte cose che al riguardo non mi convincevano”. Lorenzo aggiunge: “Trovo gravissimo che Carlo Maria abbia scritto il falso al Papa, strumentalizzandomi per fini personali: io non sono mai stato a Roma lì con lui, salvo che per tre mesi, ben tredici anni prima, nel 1998”» (M. Antonietta Calabrò) [Cds 16/3/2013].