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 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

Assistiamo con un minimo di scetticismo alla gran cagnara intorno al fallimento di Roma e alla necessità di salvarla

Assistiamo con un minimo di scetticismo alla gran cagnara intorno al fallimento di Roma e alla necessità di salvarla. Il decreto legge relativo, terzo della serie dopo la caduta dei due precedenti, sarà varato stamattina dal consiglio dei ministri. Forse non si chiamerà più “Salva Roma”, è probabile che la questione si risolva con uno o più articoli nel decreto cosiddetto Tasi, che ribadirà l’esistenza di un salvagente da 485 milioni (comprensivo di quanto serve per sistemare il bilancio della capitale relativamente al triennio 2013-2015).

Come mai osserva la cosa con «un minimo di scetticismo»?
Girano una quantità di cifre, ma l’indebitamento di Roma, a oggi, sarebbe di dodici miliardi di euro. Supponiamo che arrivi Babbo Natale e, con un unico versamento, chiuda questo debito e permetta di ripartire da zero. Assisteremmo da oggi in poi a comportamenti diversi da quelli del passato? O l’azzeramento moltiplicherebbe i posti inutili, cioè il sottogoverno più scoraggiante, quale è stato praticato da tutti, e sottolineo tutti? Ecco lo scetticismo.  

Se Roma ha un debito di 12 miliardi, come mai con 485 milioni sarebbe salva? Uno direbbe: «Ci vuol altro!».
Tra il 1960 (Olimpiadi) e il 2008 il Comune di Roma aveva accumulato debiti per 12 miliardi di euro. Diventò sindaco Alemanno e si decise che la Capitale non poteva fallire. Fu dunque creata una Gestione Commissariale, alla quale fu girato il debito da 12 miliardi. È quello che, in altri contesti, si chiama Bad Bank. Ma qui, applicato a un bilancio pubblico, è un caso unico al mondo.  

La Gestione Commissariale dovrà comunque restituire i soldi, no?
Certo. A colpi di 500 milioni l’anno. Trecento li versa lo Stato (quindi noi tutti, ovunque viviamo), altri 200 li deve trovare ogni anno il Comune di Roma. E come li trova? Aumentando le addizionali locali: Irpef, Imu, Tari e Tasi (le ultime tre sostituite ora dalla Iuc). Ogni romano paga 1.040 euro l’anno di addizionali, contro i 440 della media italiana. Non solo: ma dal 2017 ci vorranno stanziamenti di altri duecento milioni l’anno. Questo giro di soldi, inoltre, non ha affatto diminuito il debito della Gestione commissariale: 12 miliardi erano nel 2008 e 12 miliardi sono adesso. Ogni anno, infatti, pezzi dei nuovi debiti fatti da Alemanno sono stati trasferiti al commissario. Siamo cioè al punto di prima.  

Che cosa si può fare?
A dicembre hanno tentato di alzare ancora il tetto delle addizionali romane, senza riuscirci. Linda Lanzillotta (Scelta Civica, ex Margherita, moglie di Bassanini, il capo della Cassa depositi e prestiti) vuole che si vendano ai privati pezzi di municipalizzate, che si riduca il costo del personale, che si tagli in genere la spesa strutturale. Marino ha risposto: «Allora si chiami il commissario liquidatore». Il Comune di Roma ha 25 mila dipendenti più altri 50 mila sparsi nelle partecipate. “Partecipata” significa azienda posseduta dal Comune, qualche volta al 100 per 100, qualche altra al 51%, come nel caso di Acea (elettricità e acque). Il privato è un problema, perché il suo interesse primario non è il servizio, ma la redditività del titolo (valore di Borsa e dividendi). D’altra parte il pubblico è uno sfacelo, assunzioni a pioggia, amici degli amici e, naturalmente, corruzione: ricorderà che all’Atac, l’azienda dei trasporti cittadina, era stata impiantata una fabbrica di biglietti del bus falsi, con la quale si finanziavano tutti i partiti. Nel grido di leghisti e pentastellati secondo cui a Roma ci vorrebbe un ritorno di Nerone c’è una certa suggestione.  

Marino ieri ha detto che non s’è mai sentito un francese o un inglese reclamare la distruzione di Parigi o Londra.
È vero, ma Parigi e Londra non sono certo state amministrate come Roma. E Francia e Inghilterra non sono l’Italia. Marino - un democratico inviso nello stesso tempo al Pd e ai costruttori romani, che volevano il loro collega Marchini - ha gridato talmente tanto per la decadenza del secondo “Salva Roma” che il presidente del Consiglio se n’è adontato, pronunciando una frase che tra i politici non avevamo mai sentito: «Quei toni non sono ammissibili». Il sindaco di Roma aveva detto, per esempio, a Radio 24: « Da domenica blocco la città. Le persone dovranno attrezzarsi, fortunati i politici del palazzo che hanno le auto blu, loro potranno continuare a girare, i romani invece no. I romani sono arrabbiati e hanno ragione, dovrebbero inseguire la politica con i forconi» eccetera eccetera. Beh, i toni saranno inammissibili, ma alla fine Marino ha ottenuto i soldi di cui la città aveva bisogno. Bisognerà vedere, poi, se il sistema romano saprà cambiare o continuerà come prima.