26 febbraio 2014
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Biografia di Massimo Tartaglia
• Milano 30 novembre 1967 (per altre fonti 3 agosto). L’uomo che il 13 dicembre 2009 a Milano tirò in faccia a Berlusconi una miniatura del Duomo. Il 29 giugno 2010 il giudice dell’udienza preliminare Maria Luisa Savoia lo assolse per totale incapacità di intendere e volere al momento dell’aggressione. Da allora è in libertà vigilata e frequenta un centro di recupero psichico. Vive a Cesano Boscone, paese alla periferia di Milano.
• «Soffre, da (...) anni, di problemi psichici. (...) Come siano nati (...) non è certo. Dopo le scuole medie (...) si iscrive all’Itis di Corsico. Con profitto. Ha il buzzo dell’elettronica e delle invenzioni. A venticinque anni inventa “Music picture”, i quadri ballerini. Quadri che cambiano colore e si muovono in sequenza se stimolati dalla musica. Due anni più tardi il Giornale (...) lo intervistò proprio sulla sua invenzione. Dopo l’Itis, nel 1986, l’iscrizione al Politecnico, ingegneria elettronica. Un anno di studio e poi la decisione, sofferta, di mollare. Massimo va a lavorare con il padre Alessandro, un lucano di Melfi (...) alla Tartaglia Alessandro, una società fondata nel 1978 e che si occupa di fabbricazione di apparecchiature elettriche, con sede a Cesano Boscone. La ditta viene liquidata nel 2001 perché padre, figlio (con il 30%) e un socio, fondano la Al.Ta.Tek. che si occupa sempre di fabbricazione di apparecchiature elettriche. La malattia, intanto, avanza. Lo testimoniano anche i vicini di casa (...) “Sapevamo che aveva dei problemi. Ogni tanto sentivamo che batteva i pugni contro il muro e i piedi per terra. Esplosioni d’ira, ma Massimo non è mai stato violento”» (Alberto Berticelli e Olivia Manola) [Cds 14/12/2009].
• «In dicembre 2009 aveva abbandonato la “presa della Pastiglia”, scherza Tartaglia, era quindi scoperto e ipersensibile. Quel giorno era nuvoloso, e lui depresso e nervoso, la ragazza conosciuta da poco gli aveva dato buca, era andata in montagna con un altro. Seppe dalla tv dell’adunata per il tesseramento del Popolo della Libertà, e quasi senza accorgersene si incamminò verso il centro. C’era una musica a volume altissimo che intontiva, come nelle vendite multilevel che aveva conosciuto frequentando corsi e incontri di tecniche di vendita, le stesse adottate nei comizi. Ma si stufò presto di ascoltare, stava per andarsene alla metro facendo il giro del Duomo quando lo richiamarono le urla dei contestatori. Tornò passando dietro al palco, di fianco all’abside del Duomo. “Non l’avessi mai fatto: c’era la macchina del presidente già disposta per andarsene, e Berlusconi giù dal palco a farsi un bagno di folla, dare la mano alla gente, proprio verso di me; e io, lì in mezzo alla folla, la musica che inneggiava al Popolo della Libertà portata all’apice, io mi sono suicidato...”. Tartaglia scrisse in seguito una lettera di scuse a Berlusconi, dicendo tra l’altro di avere compiuto quel gesto come atto simbolico nei confronti di una persona che avrebbe potuto essere suo padre. “Una sorta di suicidio rivolto alla causa presunta dei miei problemi”» (Beppe Sebaste) [Ven 21/12/2012].
• «Ogni sabato e ogni domenica Massimo Tartaglia ha il permesso di evadere dalla libertà vigilata, di salire a Milano, sulla corriera dei pendolari, e una volta qua in città di scegliere dove stare, cosa fare. Lui dice che sempre, tra la Galleria e il corso, finisce seduto ai cinema del centro, sulle poltroncine dell’Odeon o dell’Apollo è lo stesso. Ma prima ancora Tartaglia si ferma in piazza Duomo. Cammina, guarda. Va in solitaria. La stessa piazza. Tre anni fa. Tartaglia colpiva con una statuina del Duomo Silvio Berlusconi al termine di un comizio. Sette centimetri per dieci la statuina; tre etti e mezzo di peso. Il sangue sul volto del Cavaliere. Il Massi circondato, placcato e steso come un attentatore. Che poi quello fu. Soltanto che allora e adesso ancora di più Tartaglia, perito elettronico, pare un ragazzo semplice, un uomo ferito al quale per vivere basta il nomignolo che anziché un’abbreviazione di comodo diventa una forma di difesa, di protezione. Il Massi di mamma e papà. Al giudice, Tartaglia disse che gli piaceva Di Pietro; al pm, che odiava Berlusconi. Il padre Alessandro nella drammatica ricerca di un motivo e di una pudica copertura ricordò che il figlio aveva votato per il Partito democratico. Il suo avvocato Daniela Insalaco presto insistette sul ricovero, sui dolori della mente. L’angoscia di una malattia che, ammisero i genitori, non erano mai, mai riusciti a vincere. Era stato in cura, Massimo Tartaglia, e lo rimane. Forse il tempo gli regalerà l’oblio ma per intanto ancora è presente, e quanto presente, su Internet, dove lo deridono e ne fanno vigliaccamente una specie di idolo. L’antiberlusconi per antonomasia. E va da sé che il Massi, rintracciato nell’appartamento di Cesano Boscone, nell’hinterland, con una voce esitante, trascinata e timorosa da bambino in castigo ci tiene a precisare che il Cavaliere non l’ha sentito né desidera sentirlo; che con una lettera gli chiese scusa e non ha senso chiederlo di nuovo; che spera, lo dice con esitazione augurandosi di non farsi sentire, spera che il ritorno in politica di Berlusconi non crei qualche complicazione. Nel senso che “a marzo (2013) in Procura si farà il punto sulla libertà vigilata e verrà deciso se mantenerla, restringerla oppure sospenderla”. Però scusi Massimo: che c’entrano i due argomenti? “Beh, se Berlusconi riprende a governare io sono quello che l’aveva attaccato... Ma stavamo parlando delle mie nuove passioni. La scultura, i viaggi, la fotografia”. Ecco, sì. Tre volte la settimana Tartaglia frequenta un centro diurno di recupero psichico. Lavora con la creta. Vanno anche in gita, col centro. Viaggi a portata, alla giusta distanza. Il Piemonte e la Val d’Aosta. Novara, Torino, il forte di Bard. E al centro diurno, che si trova verso la periferia, in zona Primaticcio, organizzano mostre. L’ultima s’intitola “Riflessi”. Con la macchina fotografica, in piazza Duomo e dintorni, quand’è in anticipo sui film, inquadra e scatta. “Cerco riflessi nelle pozzanghere, sulle vetrine, alle finestre, sui lastroni delle strade. L’esito lo vedremo più avanti quando esporremo le foto”. Nell’attesa il Massi dipinge (pittura a olio, stile astratto, i quadri appesi in cameretta), sperimenta l’ascolto di cd musicali (in cameretta, con le cuffie, i gruppi inglesi i preferiti), e in cameretta pensa. Pensa. Tolti i pomeriggi a Primaticcio e il fine settimana in piazza Duomo gli è vietato lasciare Cesano Boscone, anonima cittadina perfetta per i Tartaglia non ci fossero stati gli incidenti di percorso, i giornalisti, le televisioni. Discreti e riservati i Tartaglia; nei giorni dell’assedio fuori dal portone alla ricerca di indizi su Massimo, papà Alessandro scese di soppiatto le scale, il passo felpato, la velocità d’un ladro, nulla disse ai cronisti ma intanto aveva inserito in ciascuna buca delle lettere dei vicini un bigliettino in una busta bianca. “Comunicazione ai sigg. Condomini. La famiglia Tartaglia chiede scusa per i disagi arrecati”. Massimo Tartaglia fu accusato di lesioni pluriaggravate e venne assolto per incapacità di intendere e di volere. Andò in una comunità terapeutica e la lasciò, ottenuto il permesso dai giudici in virtù delle sue “condizioni nettamente migliorate”. Vorrebbe lavorare. “Però part-time. Quattro, cinque ore al giorno. Di più non potrei, non sono pronto, lo sostiene anche il medico. Prendo psicofarmaci. Il mio percorso è lungo, molto lungo”. Nonostante le distanze siano ravvicinate. Papà Alessandro ha una ditta di apparecchiature elettroniche, si chiama Al.Ta.Tek. srl, e osservate la semplicità e l’immediatezza dell’acronimo per due terzi formato dalle iniziali di nome e cognome; in passato Massimo Tartaglia era stato anche socio dell’azienda, fin quando la malattia l’aveva permesso. L’Al.Ta.Tek srl ha sede a Corsico. Subito fuori da Cesano Boscone, oltre i confini consentiti del Massi. Però non è la geografia limitata, a frenarlo, ad allontanare. “La ditta di papà non attraversa un buon momento: con lui compreso sono in due appena sui macchinari... C’è la crisi, è tutto fermo, manca il lavoro. Ed è proprio dura”» (Andrea Galli) [Cds 15/1/2013].