26 febbraio 2014
Tags : Paolo Tagliavento
Biografia di Paolo Tagliavento
• Terni 19 settembre 1972. Arbitro di calcio. Tra i momenti più importanti della sua carriera, un Inter-Sampdoria del 20 febbraio 2010 in cui espulse nella prima mezz’ora i nerazzurri Samuel e Cordoba (e poi il blucerchiato Pazzini) scatenando la reazione di José Mourinho che mimò il gesto delle manette. In precedenza era stato criticato per un rigore dato proprio all’Inter, contro l’Empoli (1-0, trasformazione di Ibrahimovic) il 3 febbraio 2008. Nell’ottobre 2010 ha interrotto la partita Cagliari-Inter per i cori razzisti contro il giocatore Eto’o (fischi finiti in pochi minuti e partita ricominciata). Polemiche l’11 dicembre 2013 durante Schalke-Basilea (2-0) per un gol in fuorigioco di Matip. Altri errori: il gol di Muntari non convalidato in Milan-Juve del febbraio 2012 e la rete in fuorigioco concessa ai bianconeri contro l’Inter nel novembre 2012 (Gds12/12/2013). Barbiere figlio di barbiere (nella centralissima via Mazzini di Terni).
• «Da quando la “professione” di arbitro lo assorbe di fatto a tempo pieno, ha lasciato praticamente solo il papà, al quale sporadicamente continua a dare una mano. (...) Ha cominciato il 3 maggio del 1990, a diciotto anni, la sua avventura di “fischietto” nelle categorie giovanili (...) tirato via (...) dai “tentacoli” di Moggiopoli e dall’inchiesta della procura di Napoli per frode sportiva (...) uscito del tutto indenne (...) “Neanche una telefonata, solo una citazione e per di più indiretta in riferimento alla partita Lazio-Bologna del 2004, in cui non avvenne nulla di strano”, puntualizza il legale (...) Però fu un’estate dura. A San Gemini, dove il sindaco lo nominò cittadino onorario, l’opposizione si scatenò chiedendo al primo cittadino di annullare quell’atto. Poi l’acqua è passata e quella storiaccia è rimasta l’unico neo di una carriera che somiglia tanto a quella di un predestinato. Dopo aver iniziato tirando calci al pallone nelle giovanili di Campitello e Gabelletta, due quartieroni della periferia ternana, il giovane Paolo indossa la sua prima “casacca nera” e per otto anni fa gavetta tra giovanili e dilettanti. Poi inizia a correre: nel ’98 è nella Can della serie D (in quegli anni a dirigere la lega dilettanti c’era un altro ternano poi caduto in disgrazia: Elio Giulivi), tre stagioni dopo Tagliavento vede spalancarsi le porte della serie C, solo due stagioni ed è promosso a dirigere A e B. Una permanenza così breve è quasi un record che l’arbitro ternano può vantare di condividere soltanto con Agnolin e Trefoloni. “I giornali sportivi parlarono allora del ‘nuovo Collina’ – affermano orgogliosi i suoi colleghi ternani – e la sua immagine ci ha aiutato ad avvicinare e far crescere tanti giovani”» (Dante Ciliani) [Mes 5/2/2008].
• «Una moglie (conosciuta in serie D, ma che di calcio capiva così poco da chiedergli: “Oggi hai vinto?”), due figli (…), una madre morta di cancro che lo ha indotto a iscriversi a un’associazione che lotta contro i tumori, un padre che gli manda avanti il negozio di parrucchiere mentre lui è via a far rispettare le regole, dando rigori (uno ogni due partite, circa), comminando espulsioni (quasi alla stessa media) e, se necessario, sospendendo l’incontro per inciviltà del pubblico pagante. (…) Tagliavento è uno che si racconta con circospezione da arbitro e timore di diventare personaggio. Usa spesso termini come “sinergia” e “step”. Ammette errori, esclude ingiustizie. Ha del mondo una concezione rimasta nel retrovisore: “Per far carriera occorre prima aver fatto esperienza”, “Si può confidare nel giudizio dei tribunali, non commetteranno mai sbagli troppo immensi”. Dice di aver avuto l’arbitraggio “nel Dna”. A stupore replica: “Fin da bambino quando guardavo la partita quel che più mi emozionava era l’ingresso dell’arbitro”. C’è chi va al cinema e sogna di fare l’attore, chi si appassiona al compito della maschera: assegnare i posti, intimare il silenzio, vegliare sulla regolarità dello spettacolo. Tagliavento provò pure a giocare, ma si definisce “un centrocampista lento, di quelli che potevano andare tanto tempo fa”. E par di capire che non avesse quella passione che gli venne fuori a 17 anni, iscrivendosi al corso per arbitri e immergendosi nel regolamento, “scoprendo cose che da calciatore non si sanno”.
Prima direzione: Real Serenissima contro Bosico. E primo calcio di rigore. Mai avuto contestazioni: “L’Umbria è una regione tranquilla”. Il resto d’Italia, un miraggio. Su 30 mila arbitri, 20 arrivano alla serie A. Lui è stato uno di quelli, agli sgoccioli della stagione 2004. Nel 2006 è entrato e uscito dall’inchiesta sulle partite teleguidate senza una macchia (“Ero troppo estraneo”)» (Gabriele Romagnoli) [Rep 19/10/2010].