25 febbraio 2014
Tags : Gaspare Spatuzza
Biografia di Gaspare Spatuzza
• Palermo 8 aprile 1964. Detto ’u Tignusu, da quando ha cominciato a perdere i capelli. Ex mafioso. Pentito dal 2008, ha rivelato il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Al momento dell’arresto, il 2 luglio 1997, reggente del mandamento di Brancaccio. Tra gli esecutori dell’omicidio di Padre Puglisi (vedi Filippo Graviano), ha sulla coscienza decine di altri omicidi e le stragi del 92-93. C’era anche lui, vestito da poliziotto, tra quelli che rapirono il piccolo Giuseppe Di Matteo (vedi Santino Di Matteo). Condannato a vari ergastoli, ha scontato finora 16 anni di carcere. Grazie alla collaborazione, ha beneficiato di quattro anni di liberazione anticipata. Da 5 anni vive la detenzione in assoluto isolamento, in una sezione protetta per collaboratori di giustizia.
Inserito provvisoriamente nel programma di protezione nel 2009, nel 2011 è stato definitivamente ammesso nel programma speciale. Nel 2012 per poche ore ha usufruito del primo permesso premio.
• Inizia la carriera criminale come rapinatore, finché Salvatore Grigoli (vedi), non ne riconosce il talento e lo recluta come killer al servizio dei fratelli Graviano (Filippo e Giuseppe - vedi). Il 2 luglio 1997 era a bordo della sua Y10, a un centinaio di metri dall’ospedale Cervello, in Borgata Cruillas, a Palermo, quando viene accerchiato da 100 poliziotti. Tenta la fuga, i poliziotti aprono il fuoco e lui viene colpito alla mano, così, prima di essere ristretto in una cella di sicurezza deve passare dal pronto soccorso.
• Giovanni Ciaramitano, che, interrogato dal Pm Alfonso Sabella, raccontò di quando Spatuzza, mentre mescolava con un manico di scopa dentro un bidone pieno di acido in cui era immerso il cadavere di un ladruncolo appena strangolato, gli chiese un panino: «Cu ’na manu manciava e cu l’avutra arri minava» (con una mano mangiava e con l’altra rimestava) (Alfonso Sabella, Cacciatore di mafiosi).
• Si è fatto intervistare da Giovanna Montanaro nel libro La verità del pentito (2014). La versione ufficiale è che abbia iniziato a collaborare con la giustizia nel 2008, dopo un percorso di otto anni di pentimento e conversione religiosa (aiutato dagli studi di Teologia, a cui si è iscritto mentre era rinchiuso nel carcere di Ascoli Piceno).
• Quando si pente, oltre a fornire dettagli per i delitti per cui è già stato condannato, si autoaccusa di un delitto di cui nemmeno era stato accusato, la strage di via D’Amelio. Va detto, prima, qual era, in quel momento, la verità giudiziaria sulla strage.
Nel primo processo (“Borsellino Uno”), sono imputati quali esecutori della strage solo in quattro: Vincenzo Scarantino e Salvatore Profeta, per avere rubato la Fiat 126 imbottita con un quintale di esplosivo (entrambi condannati, il primo a 18 anni di reclusione, il secondo all’ergastolo), Giuseppe Orofino, titolare di una carrozzeria, per avere rubato targhe e documenti per fare circolare l’auto in sicurezza prima dell’attentato (condannato, in primo grado all’ergastolo, in secondo grado a nove anni); Pietro Scotto, per avere intercettato l’utenza telefonica della madre del magistrato (condannato all’ergastolo in primo grado, assolto in appello e in cassazione). L’accusa si basa sulle dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino, che, nel 98, però, ritratta tutto, salvo non essere creduto (nel frattempo è dimagrito, da 110 a 58 chili) . Altri due processi (“Borsellino bis” e “Borsellino ter”), vengono celebrati per individuare i mandanti (tra cui Totò Riina), e altri responsabili a vario titolo. Nel secondo processo (quello che vede tra gli imputati Riina), viene condannato all’ergastolo pure Gaetano Murana (vedi), di professione spazzino a Palermo, responsabile di avere partecipato alla riunione deliberativa della strage, di avere trasportato la Fiat 126 dall’autocarrozzeria a via D’Amelio e di avere bonificato le vie circostanti (la fonte è sempre Scarantino). Va anche detto che il merito di avere così individuato gli esecutori della strage fu riconosciuto tutto ad Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della Squadra Mobile di Palermo (tanto che poi è diventato questore di Palermo). La Barbera aveva fatto confessare anche un Salvatore Candura, che dichiarava di avere rubato l’auto su commissione di Scarantino. A confermare, a posteriori, le dichiarazioni di Scarantino, veniva riesumato un appunto del SISDE, anonimo, ma protocollato, pervenuto a Roma da Palermo, il 3 agosto 1992, che annunciava l’individuazione della vettura usata per la strage e della rimessa dove era stata custodita (un mese prima delle dichiarazioni di Candura, che parlerà sotto interrogatorio per un tentativo di stupro).
Nel 2008, si è detto, comincia a parlare Spatuzza, autoaccusandosi di avere concorso alla strage di via d’Amelio e ribaltando la ricostruzione della fase esecutiva. Si è occupato lui del furto dell’autovettura (ha pure fatto cambiare i freni, come viene confermato dagli accertamenti). Scarantino e Candura ammettono di avere solo raccontato bugie (quanto al Murana, che nulla aveva a che fare con l’ambiente mafioso, Scarantino dichiara di avere scelto lui perché gli era antipatico). Arnaldo La Barbera nel frattempo è morto (nel 2002), ma si è scoperto che era a libro paga del Sisde (nome in codice “Catullo”). Perciò non può più essere accusato di calunnia, come è successo, invece, proprio per questi fatti, ai colleghi Salvo La Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi, accusati da Scarantino e Candura di averli indotti a dichiarare il falso. La revisione del processo non è ancora iniziata (per motivi tecnici), ma nel 2011 è stata sospesa la pena nei confronti di undici condannati. È iniziato, invece, il processo “Borsellino quater” (che si occupa anche del presunto depistaggio, e vede come imputati i presunti poliziotti infedeli).
• Il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, applicata dal 92 al 94 presso la Procura di Caltanissetta, sentita nel processo “Borsellino quater”, ha dichiarato di avere capito subito che la pista di Scarantino era sbagliata, tanto che il 12 ottobre 94, prima di lasciare la Procura, volle metterlo per iscritto, in una lettera indirizzata all’allora procuratore capo Giovanni Tinebra. Ha anche rivelato che due anni dopo la strage le intercettazioni indicavano la pista giusta che coinvolgeva Spatuzza.
Perché «Ma Spatuzza è diventano famoso anche per aver raccontato il “perché” delle stragi. Disse Spatuzza che le stragi furono ordite (Borsellino, Costanzo, Firenze, Milano e Napoli, più stadio Olimpico due volte annullato) dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, boss-industriali-politici del quartiere Brancaccio, per assecondare i voleri di Berlusconi e di Dell’Utri. I due Graviano (in carcere dal 1994), chiamati a confermare, però non lo fecero. Uno, smentendo Spatuzzza. L’altro, dandosi malato. Al processo contro Dell’Utri la testimonianza di Spatuzza non venne quindi considerata (il senatore è stato condannato per mafia, ma solo fino al 1992). Spatuzza e i Graviano non compaiono più neppure nell’attuale processo sulla “trattativa”, dove evidentemente la teoria spatuzziana che spiega le stragi non è apprezzata (la procura di Palermo preferisce far credere che quella stagione è una storia di democristiani impauriti e che dietro ci sia la lunga mano del presidente Napolitano). Nell’indifferenza generale, si sta ora svolgendo a Caltanissetta un processo, detto Borsellino Quater, per stabilire chi uccise Borsellino (e possibilmente anche il perché)» (Enrico Deaglio). Va detto che nel 2014 è iniziato, grazie alle dichiarazioni di Spatuzza, anche il processo “Capaci Bis”. I risultati dei precedenti giudizi non sono mesi in discussione, ma integrati dalle indagini su reperimento e modalità di lavorazione della carica esplosiva.
007 Nel 2010 la notizia che Spatuzza ha riconosciuto l’agente dei servizi segreti presente nell’autofficina in cui la Fiat 126 usata per l’attentato di via D’Amelio fu imbottita di tritolo. Risponde al nome di Lorenzo Narracci, a suo tempo collaborava con il capo del Sisde Bruno Contrada. Il suo numero di telefono era annotato su un biglietto trovato dai poliziotti il 23 maggio 1992 nella collina a ridosso dell’autostrada dove era esploso Falcone con sua moglie e la scorta, con su scritto: «Guasto numero 2-portare assistenza settore numero 2. Gus, via In Selci numero 26, via Pacinotti» (Enrico Deaglio). È la stessa persona riconosciuta da Massimo Ciancimino (vedi), come accompagnatore del signor Franco, che si dava tanto da fare con suo padre nella trattativa.
• Nel 2013 la notizia che Spatuzza, seppure in un verbale che si era rifiutato di sottoscrivere, aveva già detto tutto sul depistaggio di via D’Amelio il 26 giugno 1998, nel corso di un colloquio investigativo con il procuratore Nazionale Antimafia Pierluigi Vigna e il procuratore capo di Palermo Piero Grasso. Già allora escluse la responsabilità di Orofino e di Scarantino, di cui disse: «Lui era a Pianosa, ha ammazzato un cristiano che doveva ammazzare, e ci ficiru diri chiddu ca nu avia adiri. Toto La Barbera». Il verbale è spuntato fuori nel 2013, nel corso delle indagini del “Borsellino quater”, prodotto dal difensore di Salvatore Madonia (vedi), che lo aveva trovato nei faldoni del PM.
«Tutto lascia pensare che Spatuzza abbia cominciato a parlare appena arrestato. Viene interrogato e parla della Fininvest, di Costanzo, di Milano, del depistaggio di La Barbera, indica una serie impressionante di dettagli, scagiona gli arrestati e, fornisce una serie notevole di “spunti investigativi”. Non firma il verbale perché vuole altre garanzie prima di pentirsi ufficialmente, cosa che farà solo nove anni dopo.
E cosa succede in quei nove anni? Nulla.
La procura nazionale antimafia convoca, per caso, La Barbera? Non risulta. Fa sapere a Caltanissetta che il loro pentito è falso e che i suoi arrestati sono innocenti? Non risulta. Fa sapere ai magistrati che indagano su Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi che ci sono novità per loro? Loro le avrebbero gradite, ma non risulta proprio. Indaga, in proprio, sui Graviano (i quali vennero arrestati a Milano nel gennaio 1994 mentre aspettavano un appuntamento con Dell’Utri)? Non risulta. O forse hanno fatto tutto ciò e noi non lo sappiamo. Forse indagarono davvero e non trovarono niente. Forse non faceva parte dei loro compiti. E, allora chi ce lo ha messo il verbale, nel faldone?» (Enrico Deaglio).
Capri espiatori Intervento di Piero Grasso nel colloquio investigativo del 26 giugno 1998: «Senta, qualcuno ha detto: noi alla fine noi paghiamo per tutti e come al solito chi ci ha strumentalizzato la fa franca. Lei se lo è posto questo problemino che è un capro espiatorio per interessi di altri che magari lei non sa chi siano questi altri, però che magari si godono quello che voi avete preparato? Non so chi siano, però lei ci pensa a questo? Lei paga per tutti (…) Lei si rende conto? Chi lo ha strumentalizzato è libero e si gode tutto quanto e voi state pagando (…) Io da siciliano eh. Ma è mai possibile che ci dobbiamo sempre fare strumentalizzare da quelli ehm, da qualcuno che è estraneo alla Sicilia, dobbiamo sempre essere dominati; essere sfruttati ehm pure in queste cose sul piano della giustizia.
Per me è una ulteriore ingiustizia questa che viene realizzata su siciliani che vengono illusi, strumentalizzati di soldi, di potere e di tutto quanto. Alla fine c’è chi si gode queste cose e voi state in carcere a marcire in ogni caso. Dico ma non si deve reagire a questo; io ho una mia ideologia che cerco di realizzare lavorando e cercando di convincermi che questa strada potrebbe essere un modo per cercare di affrancare la Sicilia da questa sudditanza sempre che c’è stata, da Garibaldi in poi siamo sempre stati, anche prima veramente (…) Sempre pilotati e strumentalizzati. Tutte le vicende della storia, non so se lei, che so: Giuliano e poi tutto quello che via via è successo (…) È sempre stato così o no? E loro continuano a godersi i frutti di questa cosa. Ma dico, dobbiamo sempre soggiacere a questa cosa?».
Fininvest «Filippo Graviano in carcere mi parlava di Borsa, di Tizio e di Caio, di investimenti e di titoli. Abbiamo parlato anche di Telecom, Fiat, Piaggio, Colaninno, Tronchetti Provera, ma la Fininvest era un terreno di sua pertinenza, come se fosse un suo investimento, come se fossero soldi messi di tasca sua […] Potrei riempire pagine e pagine di verbale dell’amore che lega Filippo a Berlusconi e a Dell’Utri, Filippo era attentissimo nel seguire gli scambi, teneva in considerazione la questione Fininvest, gli investimenti pubblicitari. Mi diceva meraviglie di “Striscia la Notizia”: minimo investimento, massima raccolta di spot, introiti da paura» (stralcio di interrogatorio di Gaspare Spatuzza riportato da Attilio Bolzoni). (a cura di Paola Bellone).