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 2014  febbraio 25 Martedì calendario

Biografia di Leo Siegel

• (Leopoldo Michele) Torino 17 gennaio 1940. Giornalista. Conduttore di Radio Padania. È stato allenatore di calcio della Padania.
• «È stato condannato a Milano a mille euro di multa (...) per diffamazione a mezzo stampa aggravato dall’odio razziale, per alcuni espressioni offensive usate nei confronti del giornalista Gad Lerner e della comunità rom durante la trasmissione Filo diretto del settembre 2007. Il giudice ha inoltre condannato il conduttore di Radio Padania a versare diecimila euro a Gad Lerner a titolo di risarcimento per il danno morale» (Cds 23/2/2010).
• «“Per avere ricordato in televisione all’Infedele che molti degli argomenti scagliati oggi contro i rom ricordano maledettamente la propaganda con cui fu giustificata la persecuzione degli ebrei (...) mi sono preso una raffica di insulti, via etere, da un conduttore di Radio Padania libera, tale Leo Siegel”. Lo denuncia Gad Lerner nel suo blog con riferimento a frasi come “io lo vado a prendere in sinagoga per il collo” oppure “nasone ciarlatano”. Ricordando che Siegel è un “ex missino in servizio permanente sul fronte dell’odio xenofobo”, Lerner racconta che agli ascoltatori che per telefono definiscono i rom “una razza bastarda da sterminare per la quale ci vorrebbe un uomo come quello con i baffetti”, il conduttore Siegel risponde “aizzandoli compiaciuto e rivolgendo in prima persona insulti e minacce”» (Cds 23/10/2007).
• «Personaggio assai caro al cuore leghista: non soltanto è una delle voci più note di Radio Padania libera. Soprattutto, è il coach della squadra di calcio biancoverde che (...) ha vinto il titolo di campione del mondo delle “non-nazionali”, dai paesi Baschi al Tibet. (...) È di origini ebraiche (...) la tirata di Siegel voleva essere, in un modo tutto suo, un riconoscimento al popolo ebraico: l’indignazione del conduttore radiofonico era motivata dal fatto che Lerner (...) avrebbe “paragonato la Shoah al modo in cui sono trattati i rom”» (Marco Cremonesi) [Cds 13/2/2009].
• «Un reduce da un altro passato, da un’altra realtà, da una catacomba che sulle mappe del mondo rispettabile non esiste. Uno che è sempre stato dalla parte che ai rispettabili e a chi si sente sinceramente democratico appariva e appare sbagliata – ineducata, pericolosa, diversa, sgradevole: nell’Msi negli anni Settanta, nella pancia della Lega oggi L’Impresentabile dice cose che ai Rispettabili, e in generale a chi si sente sinceramente democratico, appaiono indicibili, inascoltabili, irricevibili (...) Il volto cupo e l’espressione ripiegata e dolente sono un pegno pagato all’essere stato dalla parte in cui non si doveva stare negli anni Settanta. All’estrema destra. Segretario di sezione missina. “Ho visto molti funerali”, dice Siegel – che nel 1975 scrisse sul Candido un pezzo per la morte di Sergio Ramelli, lo studente di estrema destra sprangato da un gruppo di studenti legati ad Autonomia operaia. “Molti funerali” per Siegel significa anche Giorgio Almirante e l’anarchico Valpreda, che Siegel seppe “essersi avvicinato, per alcuni aspetti, al pensiero leghista poco prima di morire”. “Ho visto molti funerali” è una frase che Siegel dice in prima persona, mentre spesso parla in terza persona come a voler guardare da fuori, e con fatica, se stesso – Leo Siegel ha fatto questo, Leo Siegel ha detto questo, dice Siegel persino quando racconta di suo figlio in America e del primo volo per andare a trovarlo, durante il quale “Siegel ha visto Quo Vadis con sottotitoli in tedesco e ha riempito l’assurdo questionario in cui ti chiedono se ti droghi o sei terrorista”. Parla spesso in terza persona, Siegel, anche quando racconta dei suoi due matrimoni – con la prima moglie è “rimasto amico”, con la seconda divide una casetta in Svizzera ma a volte si chiede: “Avrò fatto soffrire qualcuno, avrò fatto soffrire questa donna?”, rimorso di coscienza che non gli viene, dice, quando pensa alle parole dette in radio, quelle per cui è accusato di razzismo e quelle dette “senza limare gli aggettivi come si fa con la minuta di un pezzo”. Le parole sono: comunità rom “banda di ladri, mascalzoni, delinquenti, farabutti che ci intossicano dalla mattina alla sera”, Lerner “nasone”, un “nasone” che lui, Siegel, fosse stato “uno che frequenta la Sinagoga” sarebbe andato a prendere “per il collo ma veramente, non in senso figurato”. Motivo del “prendere per il collo”: “Ma tu mi puoi mettere sullo stesso piano l’Olocausto con questa banda di gente che va a rubare?”, frase detta a proposito dell’accostamento fatto da Lerner, in una trasmissione dell’Infedele del 2007, “tra il dramma del popolo ebraico con quello dei rom”. E se uno chiede a Siegel: “Scusi ma lei parla di Olocausto e poi chiama Lerner ‘nasone’, epiteto con cui gli antisemiti offendevano gli appartenenti alla comunità ebraica?”, Siegel risponde che per lui “Nasone significa l’uomo di Pinocchio, il conduttore diventato famoso con la trasmissione Pinocchio, è da allora che lo chiamo così (...) Ci sono ferite morali che lasciano il segno più di quelle fisiche. Ad esempio l’accusa di razzismo, reato spregevole e, per quanto mi riguarda, incompatibile con l’educazione ricevuta dai miei genitori, cristiani praticanti, che con sacrifici mi fecero studiare all’Istituto Gonzaga dei Fratelli Cristiani. Anche qui mi inculcarono i valori di questa fede. Di più, il mio stesso professionismo sportivo, con la relativa cultura interetnica, è agli antipodi dell’accusa. Di peccati, in vita mia, ne ho fatti, chiedendo poi perdono al Padreterno, ma mai quello che si potrebbe evincere dalla vicenda che mi vede coinvolto (...)”. Non ha rimorsi, Siegel, su quello che ha detto in radio – (...) Lo dice con il tono con cui racconta di essere stato “un ragazzo che studiava all’Istituto Gonzaga non per snobismo ma perché i miei, che nel 1948 votarono Dc, dopo gli anni da sfollati – torinesi nel Canavese – volevano che andassi in una scuola che avesse i vetri intatti. Io non mi sono mai sentito borghese. Borghesia per me era conformismo, non prendere posizione. Io l’ho sempre presa, una posizione, giusta o sbagliata che potesse apparire”. Siegel, da ragazzo, nel 1956, prendeva posizione “scendendo in piazza contro l’Unione sovietica per la libertà dell’Ungheria”. Anni prima, ancora mezzo bambino, era però sceso in piazza per “Trieste italiana”. “Per me la libertà in quegli anni, come poi negli anni Settanta, si coniugava con la destra”, dice. Sfollati i Siegel lo erano, come tanti torinesi, per la guerra. I nonni Siegel, cognome ebraico in famiglia cattolica, erano in Germania. Siegel, è stato detto, è ebreo da parte di padre e non di madre, quindi non è ebreo. Siegel dice di essere cresciuto in una famiglia cattolica e dice che non sa che cosa sia successo – “i nonni potrebbero essere pure morti in un incidente stradale” (...) Siegel insiste molto sul fatto che per lui il “razzismo” è “Olocausto, apartheid sudafricano, neri fatti schiavi e frustati nelle piantagioni, indiani d’America massacrati”. Dice che è vero che il giorno incriminato, in radio, ha detto, parlando dei rom, “banda di ladri, mascalzoni, delinquenti, farabutti”. Ma che non si può “paragonare l’Olocausto a problemi di convivenza che molti nel paese non vogliono guardare in faccia. Io ci sto, ai gazebo, al quartiere Ortica di Milano, di fronte alla gente, ai pensionati, alle casalinghe, agli operai. Gente che prima votava a sinistra e ora mi dice ‘meno male che ci siete voi’. Gente che magari ha due figli disoccupati e però sa che gli imprenditori preferiscono prendere in nero gli immigrati perché li pagano meno, gente che ora viene a firmare petizioni con la fotocopia del documento perché è stata scippata due volte. Spesso da immigrati. Ma dirlo non è razzismo. Sono fatti. E se è vero che le parole possono eccitare gli animi, io non me la sento di fare la verginella e chiudere gli occhi. Possibile che se dico a un bergamasco mascalzone è un insulto e se lo dico a un rom è razzismo?”. Siegel si sente, oltreché ghandiano, “rivoluzionario”: “Noi vogliamo fare la rivoluzione con la forza delle idee, e la rivoluzione, si sa, non la fa chi ha la pancia piena. Chi sta bene non vuole cambiare nulla. Ripeto: dirlo non è razzismo, sono fatti. Così facendo, a forza di chiamare razzismo il mio dire ‘mascalzoni’, si rischia di banalizzare. Ci sarà un effetto al lupo al lupo quando e se il rischio dovesse essere reale”. (...) Siegel non è neppure una versione padana di Rush Limbaugh, il conduttore radiofonico americano ultraconservatore che sparò nell’etere una canzone dal titolo Magic negro contro Obama. Limbaugh, ascoltato da decine di milioni di ascoltatori, è comunque in qualche modo establishment. Siegel no. L’ex missino Siegel si avvicinò alla Lega quando vide “quei tavolacci, quelle persone non impalcate, come si dice qui al nord, che dicevano cose vere, cose anche brutte ma che non sentivo in bocca a nessuno dei politici marmittoni. Per me, dopo anni di lontananza dalla politica, fu un’altra scelta di libertà”. Dopo gli anni di piombo Siegel si occupò di sport e basta. Unico ricordo positivo di vita pubblica: il sindaco Carlo Tognoli, socialista, che gli dà un pubblico riconoscimento per la sua attività di volontariato (“e poi sono stato direttore della Tazzinetta benefica”, dice, come a voler lavare con questo l’accusa di razzismo: “Ai poveri non si guarda in faccia. Ti pare che io do da mangiare a un povero e guardo il colore della pelle?”). I fatti sono l’ossessione di Siegel. Li elenca: campionati vinti, elezioni vinte. (...) Il 27 settembre del 2007, giorno incriminato, è la mattina successiva a una puntata dell’Infedele di Gad Lerner sui rom. È un periodo in cui si parla molto di rom: c’è un fatto orribile, dei bambini rom arsi vivi in una baracca vicino a Livorno, e ci sono delle signore che, dice un ascoltatore a Siegel, al funerale gridano, all’indirizzo dei genitori dei bambini, “maledetti”, come a voler dire: siete voi i veri colpevoli, voi che li avete lasciati soli per andare “a rubare”. Sono giorni di rapine e stupri nelle ville di campagna, di amministrazioni comunali – anche di centrosinistra – che a Firenze e a Bologna lanciano l’allarme e spaccano giunte per via dell’emergenza sicurezza (e dei provvedimenti che vorrebbero prendere o hanno preso per risolvere il problema degli insediamenti abusivi e degli eserciti di lavavetri). Siegel – come si legge dalla trascrizione agli atti del processo (...) apre il programma radiofonico con una “premessa”: “Premesso che questa trasmissione e questi spazi sono fatti apposta per dare sfogo alle vostre legittime istanze, ai vostri risentimenti… una cosa la voglio dire prima di attivare le linee. Io non so se ieri sera avete assistito a quella oscenità condotta da Gad Lerner che aveva per tema la beatificazione di una banda di ladri cioè i nomadi o i rom, chiamateli voi come volete chiamarli. E prego che nessuno venga a dire ‘ma ladri come? Ma lei come si permette?’ Ladri sì perché chiunque non ha un lavoro e campa, delle due l’una: o ruba oppure compie i miracoli nottetempo, gli danno un panino lo moltiplica, diventan cinquanta, cento oppure ci spieghino loro come fa a campare uno che non lavora. Va bene che ci sono i don Colmegna in giro che fanno di tutto di più però se è vero che sono centocinquantamila o giù di lì da queste parti eh, beh, centocinquantamila che vivono con la sussistenza dei vari don Colmegna… che poi don Colmegna non è che sia un benestante, don Colmegna cucca i soldi delle istituzioni e dei benefattori cioè i soldi nostri che poi non sono i benefattori xy, nome e cognome, no, sono i vari enti che campano con i sussidi dello stato, delle regioni, delle province e dei comuni…”. Dopo la premessa, e prima di prendere le telefonate, Siegel dice: “Il problema è un altro, e cioè io vedo mettere in croce chi? L’assessore di Firenze che pretende di coniugare l’amministrazione con la le-ga-li-tà !… la punta di diamante di ieri è stata quando eh… il Gad Lerner eh… così, veramente col cuore in mano ehm… la coscienza da un’altra parte però lasciata fuori, ha detto: ‘Va bene, voi togliete gli accattoni dai semafori’, togliete i vùlavà da semafori, va bene, fa: ‘Ma vi preoccupate?, ma vi siete preoccupati di quale può essere la strada del recupero di queste persone quando non avranno più la possibilità di lavare i vetri ai semafori?’… Cioè, siamo arrivati a questo, ma io fossi stato in studio, io saltavo addosso a Gad Lerner lo pigliavo per il collo, in senso figurato, e gli chiedevo: ‘Senti un po’, nasone ma ti sei mai chiesto per quale motivo si deve preoccupare un’amministrazione del recupero dei vulavà di gente irregolare di gente che campa di espedienti e non si deve preoccupare allora in egual misura o ancor con maggior misura del dramma del pensionato che non campa fino a fine mese? Oppure di quello che viene licenziato e perde il posto di lavoro?’”. Da questa miccia è disceso il resto: un’altra accusa di nasone, un altro “banda di ladri ai rom”, la non accettazione dell’accostamento rom-ebrei. E vari ascoltatori: opinioni non infiocchettate, magari rozze, magari repellenti, magari da bar o peggio, magari inaccettabili, se si vuole. Sicuramente poco udite e non udibili nel mondo dei rispettabili» (Marianna Rizzini) [Fog 20/5/2009].