24 febbraio 2014
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Biografia di Massimo Bottura
• Modena, 30 settembre 1962. Cuoco. Chef patron dell’Osteria Francescana a Modena (tre stelle Michelin), miglior ristorante al mondo nella lista di The World’s 50 Best Restaurants Awards 2016 (prima volta per un locale italiano, l’anno precedente si era piazzato secondo e terzo nel 2013 e 2014) e miglior ristorante d’Italia del Gambero rosso 2016 (pari merito con La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri di Heinz Beck). Primo ristorante anche per la Guida L’Espresso Ristoranti d’Italia 2016, che gli ha attribuito il punteggio massimo, mai dato prima, di 20 su 20: «È il miglior cuoco mai nato in Italia, perché ama troppo la tradizione per lasciarla intatta, e piatti come il “bollito non bollito” e le “cinque stagionature del Parmigiano Reggiano” stanno alla cucina italiana come l’automobile sta alla carrozza» (Enzo Vizzari, direttore dell’Espresso). Nel 2011 è stato dichiarato miglior cuoco del mondo dall’Accademia internazionale della cucina di Parigi. «Quando lavori ogni giorno non pensi ai riconoscimenti, pensi alle tue idee, a valorizzarle e a come comunicarle. Credo che la crescita debba avvenire gradualmente, non bisogna prendere delle scorciatoie. Noi siamo una terra di tempi lunghi, una terra di nebbia, di grandi stagionature, non abbiamo il turismo, ma abbiamo il lavoro, siamo gente che ha spirito d’iniziativa, che chiacchiera poco e risponde con i fatti. Come diceva Picasso arrivi ad avere successo per il 10% grazie al talento, per il 90% grazie al duro lavoro» (Felicia Buonomo) [Fat 9/4/2001].
• Libri: Aceto balsamico (Bibliotheca Culinaria, 2005), Parmigiano Reggiano (Bibliotheca Culinaria, 2006), Never Trust a Skinny Italian Chef (Phaidon Press, 2014).
• «Da bambino s’infilava sotto il tavolo della cucina per rubare i tortellini crudi preparati dalla nonna (la quale poi lo inseguiva col mattarello)» (Egle Santolini) [Sta 18/10/2001].
• «Sono cresciuto in una famiglia con cinque fratelli, numerosi zii, fidanzate di ciascuno di loro e amici. Mia madre Luisa, grandissima cuoca, cucinava ogni sabato e domenica per 20-25 persone. La tavola aveva un valore centrale perché davvero si viveva insieme. Da lì nasce in modo naturale la mia passione. La domenica mattina si piegavano i tortellini tutti insieme, si chiacchierava in un misto di aromi che poi mi sono restati nell’anima. Mio padre non cucinava, ma arrivava con l’auto piena di volta in volta di qualche prodotto di stagione, in estate cocomeri e meloni, altrimenti salumi e zucche. Nell’inizio degli anni ’70 poi abbiamo cominciato dei veri e propri pellegrinaggi nei luoghi di culto del cibo e del vino. Partivamo per andare a scoprire le eccellenze enogastronomiche. Tutto ciò ha segnato il mio palato e il mio atteggiamento nei confronti del cibo» (Eleonora Cozzella) [Esp 8/10/2015].
• Studia Legge e lavora come grossista di prodotti petroliferi nell’azienda familiare, ma presto rileva una trattoria a Campazzo (Modena). «Ci sarà stato un momento in cui ha deciso di fare il passo dai libri di Giurisprudenza ai fornelli? “Se si vuole cercare a tutti i costi una data, posso raccontare di quell’inverno del 1986, di quando mio fratello mi parlò di una trattoria in vendita appena fuori Modena, di quando capii che la cosa giusta da fare non era proseguire gli studi in Legge, ma queste sono solo decisioni – per quanto importanti – indotte da qualcosa di più grande, di più antico. Il vero input, inconscio e impresso per sempre nella mia storia, l’ho avuto sotto quel tavolo della cucina» (Luca Ferrua) [Sta 30/7/2012].
• «“Avevo 24 anni. Mio papà Alfio era un padre-padrone, non me l’ha perdonata e non abbiamo mai più ricucito questo strappo”. Mamma Luisa invece... “È stata la mia più grande sponsor. Al Campazzo veniva a darmi una mano anche di nascosto. Faceva i tortellini, la pasta fresca, il pane... Fino a poco tempo fa (è scomparsa a gennaio 2015 ad 89 anni), se le chiedevi: ‘Chi cucina meglio tra lei e Massimo?’, rispondeva di getto: ‘Mio figlio è bravo, ma io sono meglio’”» (Angela Frenda) [Cds 15/8/2015].
• Ha imparato a cucinare da solo, invitando gli amici a casa dopo la discoteca. Poi, ha avuto tre grandi maestri: Ferran Adrià, Alain Ducasse e George Cogny.
• Nel 1995 ha acquistato l’Osteria Francescana, una trattoria tradizionale. Nel 2000 è ospite dello chef catalano Ferran Adrià: «L’allora giovane cuoco modenese, che il maestro catalano conobbe durante un pranzo alla Francescana, partì per raggiungere El Bulli dove rimase per 4 mesi di full immersion nella cucina molecolare. La stessa rivoluzionaria cucina che Bottura stava intuendo da solo e che ora riusciva a maneggiare in modo chiaro fino a rielaborarla in quella che ha poi chiamato “cucina informale”» (Carlo Gregori) [La Gazzetta di Modena 30/7/2011].
• «Si sa, in Italia non puoi toccare 4 cose: il papa, la mamma, il calcio e la cucina. Però da cuoco contemporaneo mi pongo delle domande. Voglio evolvere senza perdere la poesia della tradizione. Bisogna conoscere tutto e poi, per creare, dimenticarsi di tutto» (Frenda, cit.).
• «Non potrei essere arrivato fin qui oggi se non fossi di Modena. È una città che ha anche un atteggiamento che permette di restare con i piedi per terra. Ti devi misurare con le sue continue critiche e fa bene. Ma poi guardo via Stella, la zona tra San Francesco e Santa Chiara, tutti questi locali e mi dico che questo angolo è pieno di energia» (a Carlo Gregori) [Gazzetta di Modena 9/10/2015].
• «Il cinquantenne figlio dell’alta borghesia modenese che ha fatto sussultare di piacere il palato del presidente Hollande e discute d’arte moderna con i più grandi collezionisti del mondo, è una via di mezzo tra una rockstar e il professore de L’attimo fuggente. Lou Reed e Robin Williams lo tentano entrambi: a salvarlo, il mantra delle tre parole – umiltà, passione e sogno – con cui si addormenta e si sveglia ogni giorno, “ovvero i tre ingredienti che devi avere sempre con te nello zaino quando viaggi. Viaggiare è fondamentale per contaminarsi, con orecchie e occhi ben aperti. Si parla tanto di creatività. La persona creativa deve accumulare un bagaglio culturale importante, che gli permetta di conoscere tutto e tutto dimenticare per inventare qualcosa di nuovo. Nel mio mestiere, e non solo nel mio, bisogna partire dalla tradizione. I miei stagisti cominciano l’esperienza da noi imparando dalla Lidia (la mitica sfoglina che ha insegnato a Massimo i segreti del suo mestiere) come tirare la sfoglia a mano, perché altrimenti il ragù battuto al coltello non si aggrappa alla pasta”» (Licia Granello) [Rep 10/10/2015].
• Nel 2009, il giornalista televisivo Max Laudadio di Striscia la Notizia lo coinvolge nell’inchiesta scandalo sulla cucina molecolare, accusata di usare additivi d’origine non dichiarata e potenzialmente nocivi. «Quando fui oggetto di quella accusa, andai a riscuotere tutta l’etica che ho coltivato in questi anni dalle persone che mi volevano bene e che conoscevano realmente il mio lavoro. Il movimento di Slow Food a livello nazionale ha redatto un documento “L’etica e l’estetica in cucina”, adattato alla mia persona e al mio lavoro. Il territorio ha reagito difendendomi e facendo cerchio attorno a me e da allora il ristorante è cresciuto: abbiamo assunto quattro persone in più e il fatturato è aumentato, da tutto il mondo ci cercano e abbiamo ottenuto solo degli importanti riconoscimenti. La nostra risposta è stata, da buon emiliano quale sono: poche chiacchiere, profilo basso e molto lavoro» (Buonomo, cit.).
• «Si può imparare da tutti. Mi ricordo in Cina un cuoco: voleva stupirci e ci organizzò un menù, quasi tutto di maiale. C’era caldo, i piatti erano bollenti eppure non vedevamo l’ora di assaggiare la portata successiva. Il giorno dopo, alle 7 di mattina, ero in cucina con lui per capire il segreto dei suoi ravioli. Poco tempo prima un amico di Modena mi aveva chiesto di dargli una mano per far capire che cotechino e zampone si potevano mangiare tutto l’anno. In aereo, al ritorno, tutte queste esperienze si ricomposero. Nasceva il piatto: Come mangiare cotechino e lenticchie 365 giorni all’anno» (Pier Bergonzi e Daniele Miccione) [Gds 20/12/2013].
• «Un mio concittadino, Enzo Ferrari, diceva: “Se lo puoi sognare, lo puoi fare”. Ha venduto l’officina di suo padre per comprare un’Alfa Romeo e l’ha trasformata in una macchina da corsa. E poi si è messo a costruire le macchine con il suo nome, Ferrari. Un esempio fantastico. Il mio sogno erano le tre stelle Michelin. Quando mi ha telefonato il direttore della guida Fausto Arrighi, è stato buffo. Mi ha detto solo: Massimo. E io: direttore, è per quella roba lì. E lui: sì. E poi ci siamo messi a piangere tutti e due, perché era il sogno realizzato, ma anche un messaggio che passava per tutti i cuochi italiani. Un messaggio che diceva che la crosta del Parmigiano valeva un’aragosta, che per trasmettere emozioni non c’era bisogno del lusso» (Granello, cit.).
• Appassionato di musica, possiede 12 mila dischi.
• Sposato con Lara Gilmore, americana: «Era il 7 aprile del 1993, camminavo per Soho e avevo una grande voglia di un caffè italiano. Sono entrato in un locale che si chiamava Caffè di Nonna e ho chiesto un espresso. Ci hanno messo 20 minuti per farmelo. Ho capito che erano molto disorganizzati. E mi sono proposto per lavorare lì. Lo stesso giorno anche Lara andò in cerca di lavoro, era una studentessa di arte e teatro e come si usa in America voleva un lavoro per arrotondare. Il giorno dopo il titolare Rei Costantini ha chiamato entrambi e l’8 aprile ci siamo conosciuti e mai più lasciati. Abbiamo lavorato insieme al Caffè di Nonna per qualche mese, io in cucina, Lara al bancone del bar» (Cozzella, cit.). Si sono sposati nel 1994. Due figli: Alexa («la regina dei pancakes. Penso che abbia ereditato il mio stesso palato») e Charlie, che ha una sindrome genetica dalla nascita.