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 2014  febbraio 15 Sabato calendario

Ieri Enrico Letta ha chiuso velocemente il consiglio dei ministri - 49° della serie, in poco meno di dieci mesi - e intorno all’una dopo pranzo è salito al Quirinale per dimettersi

Ieri Enrico Letta ha chiuso velocemente il consiglio dei ministri - 49° della serie, in poco meno di dieci mesi - e intorno all’una dopo pranzo è salito al Quirinale per dimettersi. Napolitano, ufficialmente, lo aspettava alle quattro, ma Letta ha fatto poi sapere di aver anticipato di tre ore per permettere al Capo dello Stato di dare subito inizio alle consultazioni, cominciate infatti già nel pomeriggio con Grasso e Boldrini e subito dopo con Loredana De Petris (Sel) e Pino Pisicchio (Gruppo Misto). De Petris ha detto che il suo partito resterà all’opposizione. Pisicchio invece ha annunciato l’appoggio dei suoi. Le consultazioni sono abbastanza superflue, in definitiva. È come leggere un giallo sapendo fin dall’inizio chi è l’assassino. Qui l’incognita, fino a un certo punto, sono solo i ministri.

Sa che hanno capito in pochi perché il governo sia caduto?
La risposta più semplice è questa: il Partito democratico ha deciso di cambiare cavallo. In Inghilterra, quando cade il segretario del partito di maggioranza, cade in automatico anche capo del governo, dato che le due cariche, lassù, coincidono. Così uscì di scena, per esempio, la Thatcher. Ma da noi è, naturalmente, tutta un’altra cosa e un ribaltone con queste caratteristiche ho l’impressione che non si sia mai visto. Una risposta ancora più semplice di quella che le ho dato prima è infatti questa: Letta è stato mandato a casa perché Renzi, ambiziosissimo, voleva entrar lui a Palazzo Chigi. E in effetti, è proprio così. Spiegazione di una semplicità imbarazzante. All’estero lo hanno definito «l’uomo che ha fretta».  

Ma si può fare? L’Italia sarebbe una repubblica parlamentare. Il governo sta in piedi o va giù secondo la volontà del Parlamento. Quindi siamo ancora una volta, si direbbe, in un terreno ignoto alla Costituzione.
L’imbarazzo per il percorso della crisi traspare anche dalla nota di Napolitano. Stia a sentire: «Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Enrico Letta - accompagnato dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi - che gli ha rassegnato le dimissioni, irrevocabili, dell’esecutivo da lui presieduto. Esse conseguono necessariamente al deliberato assunto ieri - in forma pubblica e con l’espresso consenso dei Presidenti dei rispettivi gruppi parlamentari - dalla Direzione del Partito Democratico a favore di un mutamento della compagine governativa. Essendogli così venuto meno il determinante sostegno della principale componente della maggioranza di governo, il Presidente del Consiglio ritiene che a questo punto un formale passaggio parlamentare non potrebbe offrire elementi tali da indurlo a soprassedere alle dimissioni, anche perché egli non sarebbe comunque disponibile a presiedere governi sostenuti da ipotetiche maggioranze diverse». Eccetera. Un discorso che, a rigore, non sta in piedi. Fa addirittura tenerezza il passaggio «in forma pubblica e con l’espresso consenso dei Presidenti dei rispettivi gruppi parlanentari», parole con le quali il capo dello Stato tenta di istituzionalizzare un’assemblea di privati cittadini riuniti in un circolo politico privato detto direzione (o Direzione) del Partito democratico.  

Quindi hanno ragione Brunetta e gli altri del centrodestra a protestare per il mancato passaggio in Parlamento.
O siamo una repubblica parlamentare oppure no. Non si può essere repubblica parlamentare solo a giorni alterni. In questo quadro, non fa scandalo che il Movimento 5 Stelle e la Lega si siano rifiutati di partecipare alle consultazioni. Salvini ha detto: «Abbiamo altro da fare». Grillo: «Il nuovo boss non è Al Capone, ma un carrierista senza scrupoli, in arte Renzie, buon amico di Berlusconi, di Verdini e di gente che avrebbe fatto paura al gangster del proibizionismo. Le sue credenziali sono ottime. Oltre ad essere un bugiardo incallito, lo vogliono le banche, la Confindustria, De Benedetti, Scaroni, la finanza. Un perfetto uomo di sinistra». A proposito, Carlo De Benedetti ha dato un giudizio ineccepibile: «Non faccio né dietrologia né astrologia. Mi limito a dire che il passaggio è democraticamente ardito. Se farà bene ci si dimenticherà del passaggio, se farà male ci si ricorderà solo di questo». In altri termini: in politica, per avere ragione, bisogna vincere. E il resto non conta.  

E il cosiddetto nuovo boss che cosa ha risposto?
Niente, stava a Palazzo Vecchio per celebrare il San Valentino con le oltre 600 coppie della città che festeggiavano i 50 anni di matrimonio. Ha detto che quello di ieri, per via della cerimonia, era «uno dei momenti più belli da cinque anni a questa parte». Sulla vicenda principale registriamo queste parole: «Siamo a un passaggio politico-istituzionale particolare. Vorrei chiedervi dal profondo del cuore di riservare al sindaco, comunque si chiami, lo stesso affetto e la stessa critica che sono stati riservate a me». E in questo modo ha annunciato che lui il sindaco non lo farà più.