La Gazzetta dello Sport, 10 febbraio 2014
Ieri ho infilato in archivio una scheda intitolata «I bamboccioni esistono davvero».• Come mai? È uscita fuori (chissà perché di domenica) la notizia di un Rapporto sulla coesione sociale elaborato da Inps, Istat e ministero del Lavoro su dati Istat, due volumi che si propongono di dare ai cosiddetti «policy makers» «le indicazioni basilari per conoscere le situazioni economiche e sociali sulle quali intervenire per migliorare le condizioni di vita delle persone
Ieri ho infilato in archivio una scheda intitolata «I bamboccioni esistono davvero».
• Come mai?
È uscita fuori (chissà perché di domenica) la notizia di un Rapporto sulla coesione sociale elaborato da Inps, Istat e ministero del Lavoro su dati Istat, due volumi che si propongono di dare ai cosiddetti «policy makers» «le indicazioni basilari per conoscere le situazioni economiche e sociali sulle quali intervenire per migliorare le condizioni di vita delle persone. Non traduca «policy makers» con l’espressione «quelli che fanno politica». È qualcosa di più complicato. Forse si potrebbe dire: quelli che per professione tengono conto di tutti i fattori prima di prendere una decisione. È la quarta volta che si produce uno studio simile, i dati e le tabelle sono migliaia, ma indovini che cosa ha davvero impressionato le menti inquiete di noi giornalisti?
• Che cosa?
Il fatto che dal rapporto risultano sei milioni e 964 mila giovani compresi tra i 18 e i 34 anni che vivono con almeno uno dei due genitori. Il dato si riferisce al 2012 e mostra una crescita del fenomeno di due punti percentuali rispetto al 2011. Con altri numeri, il Rapporto mostra anche che sempre più under 35 non sono indipendenti economicamente, cioè papà e mamma, o uno dei due, gli passa dei soldi.
• Esiste una curva? Cioè, magari stanno a casa con i genitori soprattutto i più giovani del campione...
No, la differenza è poca. I 18-24enni che stanno a casa con i genitori sono 3 milioni e 864 mila. Quelli dell’altro gruppo - i più anziani - sono tre milioni e centomila. Siamo lì. Altro elemento da meditare: il fenomeno è più accentuato al Sud, dove stanno il 68,3% di questi bamboccioni. Che poi forse non sempre sono bamboccioni: stanno a casa con i genitori, avendo conservato la stanzetta di quando andavano a scuola, ma magari lavorano e contribuiscono al reddito familiare.
• Lei a questa ricerca ci crede?
Beh, io sono sempre abbastanza scettico sulle ricerche. Questa però mi pare contenga un fondo di verità, a parte il fatto che i dati su cui si basa sono quelli del nostro principale istituto di statistica e che le tre istituzioni che l’hanno promossa dovrebbero dare tutte le garanzie. A pelle, sento che la faccenda è vera, senza voler per forza prendersi beffa di questi giovani casalinghi, probabilmente non tutti immeritevoli.
• Secondo lei il fenomeno da che dipende?
In rete i dati del Rapporto sono stati parecchio discussi. L’interpretazione più frequente è questa: in giro non c’è lavoro, come volete che i giovani se ne vadano di casa? Oppure: nessuno più ti garantisce il futuro, come si fa a metter su famiglia? Chi ci garantisce che ci saranno, un domani, abbastanza soldi per tenere i bambini in sicurezza? L’altra interpretazione gira intorno agli stessi concetti, ma se la prende con i politici: i politici non pensano al lavoro, sono loro i principali responsabili della disoccupazione che sta dietro al fenomeno dei bamboccioni o dei figli che restano comunque a casa. Sono letture corrette della realtà, credo, ma un poco parziali e anche un poco di comodo. Aggiungerei almeno altri due elementi di riflessioni. Il primo: la natura della famiglia italiana è rimasta iperprotettiva, il ragionamento più frequente delle madri e dei padri è: piuttosto che mandarlo in quel posto sperduto a 800 euro al mese, che se ne stia a casa dove un letto e un piatto di minestra non gli mancherà mai. Sa da dove si vede bene questo? Dai dati relativi alla paghetta che i genitori concedono ai figli quando sono ancora bambini o adolescenti. Sedici euro a settimana di media, la più alta d’Europa (sono dati Istat anche questi, riferiti al 2011). Non solo: ma mentre i consumi sono generalmente in calo, non lo sono quelli relativi alle spese per i figli, che risultano in tutti gli indici identiche a quelle dei tempi felici. C’è poi la questione dei ragazzi, abbastanza comodi e garantiti in casa loro da potersi permettere di non scegliere lavori che non gli aggradano. A parte i quattro milioni di lavoratori stranieri che stanno qui perché i nostri non vogliono fare certi mestieri, ci sono poi anche 50 mila posti in palio ogni anno e che non vanno a nessuno perché nessuno sa fare le cose che si chiedono. Non solo esperti di software, di gestione aziendale, progettisti meccanici, operatori commerciali sull’estero, che potrebbero sembrare mestieri difficili, ma anche cuochi, educatori, camerieri, infermieri, riparatori di macchinari o autoveicoli. Questi sono introvabili, come mostrano ricerche di Unioncamere e ministero del Lavoro che risalgono a dicembre. Il mondo è cattivo e il governo ladro, però forse manca anche un po’ di buona volontà e di gusto del rischio.