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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

Ieri il presidente Napolitano era a Strasburgo, dove il Parlamento comunitario lo ha accolto con tutti gli onori: presenza massiccia dei deputati, tricolore svettante insieme con la bandiera europea, Fratelli d’Italia a voce spiegata, e alla fine applausi e un indirizzo in italiano del presidente dell’assemblea, Martin Schulz

Ieri il presidente Napolitano era a Strasburgo, dove il Parlamento comunitario lo ha accolto con tutti gli onori: presenza massiccia dei deputati, tricolore svettante insieme con la bandiera europea, Fratelli d’Italia a voce spiegata, e alla fine applausi e un indirizzo in italiano del presidente dell’assemblea, Martin Schulz. Il discorso ha fatto sensazione perché ha attaccato la politica di austerità, il che, ai nostri tempi, significa di fatto attaccare la Germania, del resto mai nominata.

Che cosa ha detto in concreto?
Il passaggio chiave è questo: «La messa in discussione dei valori dell’Unione europea è, per la prima volta, il contesto in cui ci si avvia alle prossime elezioni europee. Sarà il momento della verità, perché sono evidenti le ragioni del disincanto dei cittadini per il peggioramento delle condizioni di vita. Non regge più la politica di austerità a ogni costo, risposta prevalente alla crisi in zona euro». Il discorso è cominciato proprio con queste parole.  

Ho visto in televisione che però c’è stata una contestazione della Lega.
Sì. I parlamentari della Lega hanno indossato magliette ed esposto cartelli con le scritte “No euro”, ‘“Euro kills’”, “Non è il mio presidente”. Tra i più agitati Mario Borghezio. I leghisti erano riusciti a interrompere il discorso del Presidente, ma dalle tribune sono piovuti fischi e la contestazione s’è fermata. Napolitano ha così ripreso a parlare.  

Sentiamo.
«La svolta che oggi si auspica non può andare verso la scelta irresponsabile e demagogica di debiti e deficit eccessivi, ma riflettere sul circolo vizioso ormai insorto tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee, giunte oggi al bivio tra primi segni di ripresa e rischi di deflazione e di sostanziale stagnazione. Rompere un circolo vizioso è ormai essenziale, c’è una intera generazione alla deriva. Si ritiene che una politica di austerità a ogni costo non regga più, anche se era servita per il riequilibrio dei conti pubblici e non si poteva sfuggire a una disciplina di bilancio rimasta carente dopo l’introduzione della moneta unica». Ma i cittadini non devono scegliere tra «un’agitazione puramente distruttiva contro l’euro e contro l’Unione Europea» o tra un’Europa che pure «ha mostrato gravi carenze e storture nel suo cammino». Perché le conseguenze di un abbandono dell’euro sarebbero «traumatiche» e chi le propugna dimostra «un disarmante semplicismo». Bisogna vincere «dure battaglie politiche contro egoismi e meschinità nazionali, ristrettezze di vedute, calcoli di esperienza e conservatorismi anacronistici, quotidianamente riscontrabili nelle classi dirigenti nazionali. E bisognerà giungere, come chiede il Parlamento e come prevede il Fiscal Compact, a collocare la governance dell’unione monetaria dentro un quadro istituzionale. Passa di qui un deciso rafforzamento della legittimità democratica del processo decisionale, una questione che si è aggravata nell’opinione generale alimentando fenomeni di distacco e diffidenza verso l’Unione». Perché, «nella crisi di consenso popolare, c’è tutto il peso del malessere economico e sociale che l’Unione non ha evitato, ma anche una grave carenza politica sul piano dell’informazione e del coinvolgimento dei cittadini nella formazione delle scelte della Ue». Il presidente ha concluso proclamando l’impossibilità di sciogliere l’Unione, la necessità di riforme strutturali e del rilancio di investimenti privati e di «ben mirati investimenti pubblici, al servizio di progetti europei e nazionali». Dobbiamo riferire, per dovere di cronaca, anche un commento reso più tardi da Matteo Salvini, segretario della Lega: «Chiunque continui a difendere l’euro è in malafede».  

Napolitano ha la ricetta per farci uscire dalle sabbie mobili?
Mah. Poco prima del discorso di Strasburgo la Borsa di Tokyo aveva perso più di quattro punti e le altre Borse del mondo lottavano per non andar sotto (alla fine se la sono cavata). Il mondo è invaso da una marea di carta, a cui ci si ostina ad assegnare un valore sperando che alla fine qualcuno rimborsi i debiti contratti da questa e dalle generazioni precedenti. Certo dall’Unione non si deve uscire, Maastricht ha suggellato qualcosa che sul nostro continente, in quattro millenni di storia, non s’era mai visto, cioè settant’anni consecutivi sostanzialmente senza guerre. D’altra parte è indiscutibile che non si può continuare così. E però è pure vero che nessuno sa con sicurezza che cosa si debba fare. Il debito è enorme ovunque, i problemi bancari giganteschi da tutte le parti, diffusa la consapevolezza che al vertice della finanza planetaria sieda una cricca di criminali ben vestiti.  

Che cosa significa, in concreto, “fine dell’austerità”?
Che la Germania dovrebbe spendere i soldi che ha incassato in questi quindici anni grazie alla sua migliore organizzazione, all’Unione monetaria e alla conseguente fine della concorrenza intraeuropea, privata della flessibilità valutaria. Sono curioso di vedere come i giornali tedeschi accoglieranno il discorso del nostro presidente.