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 2015  febbraio 11 Mercoledì calendario

Biografia di Salvatore Parolisi

• Frattamaggiore (Napoli) 28 agosto 1978. Caporalmaggiore del 235mo Reggimento Piceno. Vedovo di Melania (Carmela) Rea, il cui cadavere fu scoperto il 20 aprile 2011 nella pineta di Ripe di Civitella, Teramo, dopo che, a detta del marito, il 18 aprile era sparita mentre con la figlioletta si trovavano in un parco pubblico di Ascoli Piceno (zona Colle San Marco). Il 19 luglio 2011 fu arrestato. Il 26 ottobre 2012 fu condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della moglie, pena ridotta in appello a 30 anni di reclusione (il 30 settembre 2013). Il 10 febbraio 2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che la pena è da rideterminare, perché non c’è l’aggravente della crudeltà e il 13 giugno 2016 lo ha condannato in via definitiva a 20 anni senza ulteriori sconti per le attenuanti generiche.
• È detenuto nel carcere Castrogno, in provincia di Teramo.
• Nel gennaio 2014 sotto accusa nell’inchiesta su caporali e soldatesse della caserma “Clementi” di Ascoli Piceno, dov’era in servizio. Partendo dall’omicidio, si è scoperto che alcuni caporali (tra cui anche lo stesso Parolisi) di sera ricevevano allieve soldato per bere e avere rapporti sessuali, il che è vietato dal regolamento militare.
• «Melania Rea il 18 aprile è davvero stata nel pianoro di Colle San Marco prima di essere uccisa?» (m.p.) [Rep 12/5/2011].
• «Due testimoni che erano a Colle San Marco il giorno della scomparsa di Melania (...) hanno visto Salvatore e la figlioletta accanto alle altalene del parco ma l’unica donna che ricordano è una signora bassa e dalla forme abbondanti che a loro è parsa essere lì per conto suo (...) La sera del 22 aprile (...) nella Caserma di Ascoli Parolisi aveva rivelato di essere già stato nella pineta di Ripe di Civitella e proprio accanto al chiosco vicino al quale due giorni prima avevano scoperto il corpo senza vita di Melania. “È successo una decina di giorni fa. La bimba s’è addormentata in auto, io e mia moglie abbiamo fatto l’amore accanto al chiosco…”, aveva spiegato (...)» (Meo Ponte) [Rep 11/5/2011].
• «La telefonata parte da una cabina telefonica di Fratta Maggiore. È la sera del 1° maggio. Dieci giorni prima il cadavere di Melania Rea è stato scoperto nella pineta di Ripe di Civitella e quella sera Salvatore Parolisi, suo marito, dopo aver pianto ogni lacrima in tv, chiama Ludovica P., l’ex allieva con cui ha avuto una relazione. La soldatessa dell’Ottavo Reggimento Lancieri di Montebello pochi minuti prima lo ha chiamato sul cellulare. È uno strano modo di vivere il lutto per un marito rimasto tragicamente vedovo da pochi giorni. Di certo è però un comportamento che, sommato alla ritrosia nel rivelare la relazione con Ludovica P. durante i primi colloqui con i carabinieri impegnati nella caccia all’assassino della moglie, attira inevitabilmente su di lui l’ombra del sospetto. La scoperta dei continui colloqui con quella che doveva essere un’ex amante e la conferma che il caporalmaggiore era in possesso di due cellulari, uno dei quali riservato alle chiamate di Ludovica hanno fatto il resto. Le reticenze hanno di fatto portato Salvatore Parolisi al centro dell’inchiesta sull’uccisione della moglie. Le testimonianze raccolte dagli investigatori hanno scoperto atteggiamenti sorprendenti. Il 19 aprile, il giorno dopo la scomparsa della moglie, ad esempio Salvatore Parolisi – mentre decine di carabinieri e volontari perlustrano la Montagna dei Fiori – non si allontana un attimo dalla caserma del 235 Reggimento Piceno dove lavora come istruttore, come se quella ricerca non lo riguardasse. E l’agente di polizia penitenziaria Raffaele Paciolla, il vicino di casa che la notte del 18 aprile lo ha ospitato, ha raccontato: “L’ho ospitato perché a casa sua dopo l’arrivo dei parenti di Melania non c’era più posto. Mi sono svegliato presto il giorno dopo. Era l’alba e mi ha sorpreso scoprire che Salvatore era già uscito”. Per andare dove? Si chiedono gli investigatori (...) Molti dei tagli rilevati sul corpo della giovane donna sembrano essere stati inferti a morte già avvenuta. Alcuni hanno tagliato di netto rivoli di sangue già coagulato. Potrebbe essere la prova che l’assassino è tornato sul luogo del delitto. Per provare a confondere la scena del crimine con l’incisione di una specie di svastica e completare la messinscena piantando una siringa nel petto di Melania e lasciandole accanto un laccio emostatico. Vicino al cadavere della donna i carabinieri hanno trovato anche un accendino sopra il quale gli esperti del Ris di Roma hanno rilevato anche il dna di Parolisi. “Non significa nulla questo – sottolineano gli investigatori – sia lui che la moglie erano fumatori e possono aver adoperato lo stesso accendino”. (...)» (Meo Ponte) [Rep 10/5/2011].
• «Alto, moro, muscoloso, tatuato, capello irto di gel e faccia di bronzo. Arrogante, bugiardo, sicuro di sé. Militaresco in pubblico e trasgressivo in privato: chattava coi trans, tradiva la moglie, seduceva compulsivamente, con l’aggravante del ruolo, le soldatesse affidate alle sue cure di istruttore. Il ritratto di Salvatore Parolisi, caporalmaggiore dell’esercito italiano, è perfetto per catalizzare l’angoscia provocata dalle 105 donne uccise dall’inizio del 2012, una ogni due/tre giorni, nel nostro Paese e trasformarla in una condanna esemplare. È un perfetto maschio cattivo: marito fedifrago e padre insensibile. Attore mediocre di un dolore fasullo: lacrime fredde, sospiri da filodrammatica dilettantesca. Mentre uccideva, come pare ormai assodato, la giovane moglie, con 35 coltellate, la bambina di entrambi, Vittoria, 18 mesi, dormiva nella macchina, parcheggiata a pochi metri dal teatro del crimine. Avrà sentito la madre gridare? Si sarà svegliata? Si sarà messa a piangere? E la madre, la bella Melania, perché ha accettato di appartarsi con il marito lontano da occhi indiscreti? Perché lui le ha proposto di fare l’amore, approfittando del sonno della figlia e del silenzio della natura. Era la mattina di un mercoledì, quel 18 aprile. Non c’era nessuno nella pineta di Ripe di Civitella, in provincia di Teramo. Melania si è lasciata prendere per mano, spogliare, abbracciare. Il giudice, infatti, oltre all’omicidio volontario e al vilipendio di cadavere, ha riscontrato tre aggravanti nel comportamento criminoso: una è la “minorata difesa”. Chi si difende meno di una donna nel momento in cui sta fra le braccia del suo uomo? Le altre due: “Rapporto di coniugio e crudeltà”. Crudeltà: tutte quelle coltellate superflue e poi il corpo deturpato , nell’ingenuo tentativo di allontanare i sospetti dallo scenario domestico, suggerendo il fantasma di un assassino psicopatico. (…) Parolisi, (…) a differenza dei suoi colleghi femminicidi, è lui che vuole lasciare. Ha una relazione con la soldatessa Ludovica, al momento la preferisce, vorrebbe sceglierla, ma c’è Melania. Melania ha scoperto la tresca, Melania gli chiede di rinunciare, magari per il bene della bambina. Potrebbe dire di no, il Parolisi. Potrebbe, grazie a un diritto conquistato prima che lui nascesse, divorziare. Ma il divorzio, a maggior ragione in caso di adulterio, prevede che il coniuge paghi, tutti i mesi, una cifra stabilita in base alle sue entrate, alla madre del minore nato dalla relazione. È questa la chiave della frase che andava ripetendo da mesi: “Non farò la fine dei miei amici al bar di Fratta, che s’arrangiano a campare con 500 euro al mese”. No, non la farà Salvatore, la fine del padre separato. Lui ha un’idea migliore: liberarsi della moglie uccidendola. Più breve del divorzio breve, l’uxoricidio. Niente burocrazie né attese, niente lacrime, discussioni, recriminazioni. E poi: un bel risparmio. Niente alimenti, non un soldo. Anzi: tutte le soldatesse carine, nel caso venisse a noia anche Ludovica, a consolare il vedovo. Ad aiutarlo a elaborare la perdita, mano nella mano, sotto la luna. Un sobrio accenno di dolore virile, come si addice al soldato, e poi riparte la giostra. Senza Melania, con Ludovica. E poi un’altra e un’altra ancora. Basta guardarlo, Parolisi, per penetrare il suo scarso spessore: è uno che si sente “fico”. Quel piccolo potere di istruttore da caserma, lo illude di dominare le donne. La furbizia, che in quelli come lui fa le veci dell’intelligenza, lo illude di sapersela cavare» (Lidia Ravera) [Fat 28/10/2012].
• Nelle motivazioni con le quali ha spiegato perché Salvatore Parolisi è stato condannato all’ergastolo, il giudice di Teramo Marina Tommolini ha descritto una personalità sopraffatta da quella di Melania Rea, una fragilità psicologica che niente ha a che vedere con il militare sciupafemmine tutto muscoli e stereotipi maschili. Ha scritto il giudice: «La donna (innamorata ma decisa) doveva aver adottato un (comprensibile e forse inconsapevole) atteggiamento di “rimprovero” nei confronti del Parolisi, “controllandolo” e facendolo vivere in una sorta di “sudditanza” morale e fisica, già per altro in parte esistente per il divario economico e culturale ravvisabile tra le rispettive famiglie di origine». Un divario che il caporalmaggiore dell’esercito aveva provato a colmare «“riscattandosi” con l’attività militare, motivo di “avanzamento” sociale e di enorme orgoglio personale». Nella ricostruzione del magistrato, Melania è morta per aver rifiutato un rapporto sessuale. Si era appartata dietro al chiosco della pineta per fare pipì: «Vedendola seminuda, verosimilmente Parolisi si è eccitato avvicinandola e baciandola» scrive il giudice. «Melania ha rifiutato e, in tale contesto, deve aver rivolto anche rimproveri pesanti contro il coniuge che ha reagito all’ennesima umiliazione, sferrando i primi colpi» (35 coltellate) (Giusi Fasano) [Cds 4/1/2013].
• La ricostruzione degli eventi: più o meno un anno prima di essere uccisa Melania scoprì che suo marito aveva una relazione con Ludovica Perrone, un’allieva della sua stessa caserma (il Reggimento addestramento volontari di Ascoli Piceno). Ma, ha scritto il giudice, «era verosimilmente convinta che il rapporto tra la soldatessa ed il marito fosse terminato» e aveva deciso di perdonarlo. Sembra che da quel perdono in poi la vita del caporalmaggiore – «un bugiardo», «violento», «subdolo» dice la sentenza – sia diventata certo «non morigerata ma quantomeno più complicata». Annota il giudice che Parolisi stesso parlando con un parente alcune settimane dopo l’uccisione della moglie «gli aveva confidato che la predetta lo “umiliava” tutti i giorni rinfacciandogli questa vicenda e generando in lui una frustrazione che trovava conforto proprio nel continuare il rapporto con quella ragazza, aggiungendo che Carmela lo aveva talmente stressato a causa della sua relazione extraconiugale da farlo ricorrere ad una visita medica per un problema agli occhi ed alla testa» [Fasano, cit].
• In appello, il 30 settembre 2013, la pena è stata ridotta dall’ergastolo a 30 anni di reclusione. «“Gravi sono gli indizi consistenti, cioè resistenti alle obiezioni, e quindi attendibili e convincenti”. È questo un passaggio delle motivazioni della Corte d’assise d’appello dell’Aquila sulla sentenza di condanna di secondo grado a 30 anni nei confronti di Salvatore Parolisi per l’omicidio della moglie Melania Rea. Secondo i giudici, Parolisi ha ucciso la moglie perché ha preferito proseguire il rapporto allacciato con una sua ex allieva che lo pressava nella scelta. Il timore dello scandalo della separazione avrebbe poi minato il prosieguo della sua carriera miliare. Secondo la Corte d’assise d’appello dell’Aquila, nelle zone delle altalene a Colle San Marco Parolisi non c’era, almeno sino alle 15.26, come ha sempre riferito, quindi “ha mentito”. In uno dei passaggi, infatti, la sentenza rileva che “tutte le persone presenti hanno avuto modo di vedersi e ricordare di essersi viste reciprocamente, ma nessuno ha visto Parolisi e la figlia nei pressi delle altalene e ciò conduce alla logica conclusione che non ci fossero”. Per i giudici Parolisi “ha reso dichiarazioni incontestabilmente mendaci anche sul suo rapporto coniugale, nascondendo la relazione sentimentale che, ininterrottamente, da circa due anni, intratteneva con un’ex allieva conosciuta in caserma, tale Perrone Ludovica”. Nella dinamica dell’uccisione di Melania secondo i giudici d’appello si riscontra il “dolo d’impeto”: la donna è stata uccisa con “35 coltellate sferrate disordinatamente, senza una pianificazione operativa, uno sfogo rabbioso e sintomatico del profondo coinvolgimento emotivo dell’agente, ma anche della sua superiorità fisica e della capacità di aggressione, da riconoscere a un istruttore dell’esercito, un militare addestrato, che, per quanto indolente o non particolarmente brillante, come assume la difesa, vanta al suo attivo lunghe ore di esercitazioni e impegnative missioni in zone di guerra”» (Rep.it 23/12/2013).
• Il 10 febbraio 2015 la Corte di Cassazione ha riconosciuto Parolisi colpevole della morte di Melania Rea, ma ha stabilito che l’ex caporalmaggiore dell’esercito non sconterà i 30 anni a cui era stato condannato in appello. La pena è da rideterminare, perché non c’è l’aggravente della crudeltà. Dura la requisitoria dell’accusa, secondo cui l’assassinio di Melania è stato commesso «con dolo di impeto» dopo che Parolisi «si era infilato in un imbuto senza uscita» dettato dalle «pressioni» sia della donna con cui aveva una relazione extraconiugale sia della moglie che gli avrebbe prima o poi chiesto il conto della separazione. Insussistente, secondo il sostituto procuratore, qualsiasi pista alternativa di fronte alla «pluralità e assoluta convergenza di indizi che vanno nel senso della responsabilità».