27 gennaio 2014
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Biografia di Enrico Nicoletti
• Monte San Giovanni Campano (Frosinone) 1936. Presunto cassiere della Banda della Magliana (“il Secco” del Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo). Il 6 luglio 2011 fu arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di millantato credito, truffa, usura, falso, riciclaggio e ricettazione. Il 26 febbraio 2012 finì di nuovo in carcere per scontare una pena residua di sei anni e sei mesi legata a usura, resa definitiva in Cassazione. Nel dicembre 2013, a causa delle sue condizioni di salute, ottenne gli arresti domiciliari.
• «(…) Da sempre in rapporti, tra l’altro, con emissari di ’ndrangheta e camorra, gestiva immensi capitali sporchi frutto di estorsioni, truffe, usura, che venivano investiti in attività commerciali oppure ripuliti attraverso operazioni finanziarie. Rinviato a giudizio, per associazione mafiosa (…) è stato condannato in primo grado a 12 anni per la semplice associazione per delinquere. Per questo è probabile che non sconti mai la sua pena. Soltanto un verdetto di colpevolezza per associazione mafiosa allungherebbe i termini di prescrizione (…)» (Angela Camuso) [Unt 24/10/2009].
• «Andreotti? “Sa che io sono stato la sua salvezza. Hanno fatto di tutto per convincermi ad accusarlo, a dire cose false contro di lui. E so che mi vuole bene. Lui era amico già di mio padre e quando stava a Palazzo Chigi mi aveva dato libero accesso: entravo da dietro e l’aspettavo in ufficio. Quando nel 1991 diventò senatore a vita però scelsi di schierarmi con Vittorio Sbardella, un vero amico, e lui non me lo perdonò. Mandava Franco Evangelisti a pregarmi: ‘Devi stare con noi, non ci mollare. Giulio non lo merita: sei nel suo cuore’. Mica je credevo. Io Andreotti lo conosco: ride ma non sorride, non dà il cuore a nessuno, manco alla moglie” (…) L’epopea di un palazzinaro venuto dal Frusinate, “che trovava sempre aperte tutte le porte della Dc e di qualunque politico: socialisti, comunisti. Perché sapevano che non li deludevo...”. Un costruttore che si prende Roma: “Negli anni ’80 ero il più importante. I Caltagirone? Non li guardavo nemmeno. Ho costruito milioni di metri cubi, ho fatto girare migliaia di miliardi di lire, ho pagato tasse a palate. Altro che nullatenente! Ho tirato su due università, ero il numero uno”. Prendersi Roma, il sogno della Banda della Magliana. Lui c’era riuscito, prima di loro. Aveva mucchi di case, fiumi di soldi e 400 auto nella sua concessionaria: il triangolo magico che nella Capitale garantisce il successo (…) “Io non sono mai stato il cassiere della banda della Magliana. Nelle condanne non c’è scritto e (…) persino il procuratore generale se l’è rimangiato. Non avevo bisogno di loro. Quando a Rebibbia ho conosciuto Renatino De Pedis lui si è messo a disposizione. Mi faceva il caffè, mi lavava i calzini: mi ascoltava come se fossi un oracolo. Ma tutti a Roma erano a mia disposizione, perché ero il più liquido: solo sul conto di mio figlio hanno sequestrato 69 miliardi di lire. Se c’era un affare, venivano da me: non li dovevo cercare. Quando si è trattato di costruire la seconda università è stato Evangelisti a chiamarmi, per conto di Andreotti: ‘C’hanno un problema, aiutali tu...’”. Già, ma (…) a uno incontrato in carcere come De Pedis, il “Dandi”, poi gli ha dato un sacco di milioni. “Gli ho prestato 250 milioni per comprare un ristorante a Trastevere, poi ha preso il mutuo e li ha restituiti al mio notaio. Per me quelle erano briciole”. Si sarà reso conto che stava facendo affari con il boss della Magliana: “E che ne sapevo? All’epoca mica si conoscevano queste cose” (…) Nicoletti ama ricordare quando dettava legge a Roma: elenca una lista sterminata di condomini che ha costruito, di immobili che ha venduto, di politici che ha sostenuto. “Perché ero io a decidere. Evangelisti mi chiese di inserire Giuseppe Ciarrapico nelle convenzioni dell’università. Io invece me ne fregai. Potevo comprarmi il Messaggero quando i Perrone volevano liberarsene, ma lasciai stare: non c’avevo tempo per i giornali, davo lavoro a 1.500 persone”. I suoi incontri erano sempre lontani dai riflettori. “Al ristorante, negli uffici, nei palazzi del governo. Quando abbiamo firmato i contratti per l’università di Tor Vergata ero a tavola con il rettore Geraci, ’na brava persona, il sindaco Vetere e la responsabile amministrativa messa lì dal Pci. M’hanno dato molti più miliardi di quello che pensavo”. Niente mondanità: “Io sono uno di famiglia, sono sempre stato religioso. Anche adesso vado a messa (…) Non è vero che avevo rapporti con il cardinale Poletti, frequentavo tanti altri monsignori. Wojtyla mi ha voluto bene: sono stato ricevuto in udienza più volte, ha cresimato mia figlia” (…) Si dichiara vittima della magistratura, che ha arrestato più volte lui e i suoi figli. Un paradosso, perché buona parte del suo impero è stato costruito grazie alle aste giudiziarie dove riusciva ad assicurarsi gli immobili migliori. Per vent’anni i giudici lo hanno reso ricco, poi gli hanno confiscato beni e conti con centinaia di miliardi di lire. “Colpa dei pm comunisti!” (…)» (Gianluca Di Feo e Gianni Perrelli) [Esp 8/4/2010].
• Il 26 febbraio 2012, davanti ai carabinieri che gli notificarono l’ordine di carcerazione per una pena residua legata a usura, accusò un malore, venne portato all’ospedale di Tor Vergata e poi trasferito in carcere. «“Sono vecchio, non voglio morire in carcere”. Quando i carabinieri gli hanno consegnato l’ordine di custodia cautelare il vecchio leone, per un attimo, ha vacillato e ha dimenticato il suo orgoglio, l’orgoglio di uno che trattava da pari con Andreotti e Sbardella, che riceveva i politici come un principe in udienza e considerava i “bravi ragazzi” della Magliana poco più che un gruppo di discoli. Enrico Nicoletti, immortalato da Giancarlo De Cataldo nel personaggio del “Secco”, ha giocato il tutto per tutto: “Mi sento male, non mi regge il cuore”. Corsa in ospedale, sette ore di accertamenti ma alla fine, implacabilmente, l’anziano boss è tornato in carcere. Un arresto di pura burocrazia giudiziaria: una vecchia sentenza per usura di 6 anni e 6 mesi, resa definitiva in Cassazione. (…) L’ultimo arresto era scattato a luglio (2011, ndr) per una storia che sembrava tratta da una commedia all’italiana: una banda di truffatori ben agganciati nel ramo delle aste giudiziarie che aveva imbastito una serie di vendite fantasma, la villa di Cafù, quella di Cragnotti e perfino qualche quota del palazzo della Questura. Roba da far impallidire il Totò-truffatore che piazzava la fontana di Trevi ai turisti. Sorriso sghembo, una faccia un po’ rincagnata che ricorda vagamente il cipiglio di Aldo Fabrizi, aria sorniona e accento rustico, Enrico Nicoletti non è un residuo del passato ma, per dirla con il magistrato Otello Lupacchini: “Un punto di riferimento della malavita finanziaria, uno di quei vecchi nomi mai scomparsi dalla scena”. Arresti a catena, sequestri di beni per cifre da multinazionale, accuse che vanno dall’associazione per delinquere all’usura, dalla truffa all’estorsione, dalle rapine al riciclaggio eppure lui è sempre lì, acciaccato, ingrigito, semiparalizzato da un ictus e sempre pronto a dispensare battute al veleno. (…) L’ex carabiniere sbarcato dal Frusinate, di certo, era uno che contava nella Roma ruggente degli anni ’80, un imprenditore che muoveva miliardi e che frequentava politici, cardinali, faccendieri di ogni risma. L’anno dell’incoronazione fu il 1981, dopo l’omicidio di Mimmo er Cravattaro, al secolo Domenico Balducci, usuraio, palazzinaro e consulente finanziario della mala. Il “Secco” non ha mai amato l’understatement (nella villa trasformata nella casa del jazz c’erano rubinetti d’oro e Jacuzzi a due piazze) e uno dei primi passi fu quello di comprarsi la casa del banchiere Arturo Osio, disegnata negli anni ’30 da un allievo di Piacentini. Quando Paese sera scoprì i suoi intrallazzi nella costruzione dell’Università di Tor Vergata Nicoletti era già una potenza. Le condanne definitive assieme al gotha della Magliana non le ha mai mandate giù: “I giudici non hanno mai detto che ero il cassiere della gang, come scrivono i giornali, io non ho mai avuto bisogno di loro”. E di sicuro per almeno 10 anni gran parte della Roma che contava sul serio faceva la fila per bussare alla sua porta e soprattutto per portargli i soldi da investire. Ora l’avvocato Biffa parla di “prassi giudiziaria anomala” nella decisione della Cassazione di rispedire “il Secco” dietro le sbarre ma una cosa è sicura: questa non è l’ultima volta che Enrico Nicoletti fa parlare di sé» (Massimo Lugli) [Rep 27/2/2012].