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 2014  gennaio 22 Mercoledì calendario

Gianni Cuperlo, presidente del Pd in quota Bersani, s’è dimesso dalla sua carica, piccato perché dopo le sue critiche di lunedì all’Italicum, imperniate soprattutto sulla mancanza delle preferenze, s’è sentito rispondere da Matteo Renzi qualcosa come: avrei voluto sentire queste critiche quando hai accettato di essere piazzato «sul burro del listino fabbricato per gli ultragarantiti da Bersani»

Gianni Cuperlo, presidente del Pd in quota Bersani, s’è dimesso dalla sua carica, piccato perché dopo le sue critiche di lunedì all’Italicum, imperniate soprattutto sulla mancanza delle preferenze, s’è sentito rispondere da Matteo Renzi qualcosa come: avrei voluto sentire queste critiche quando hai accettato di essere piazzato «sul burro del listino fabbricato per gli ultragarantiti da Bersani». Cuperlo s’è prima fatto convincere dai suoi compagni di corrente a star fermo, poi non ha retto e ha mandato una lettera a Renzi in cui si dice «allarmato» per la concezione del partito rivelata dal segretario. Non me ne vado, ha aggiunto, «per rancore, ma per essere libero». Renzi gli ha risposto ringraziandolo per il lavoro svolto e aggiungendo: «Ci aspetta un cammino intenso che può finalmente cambiare l’Italia [...] Si poteva fare meglio? Sì, certo. Ma fino ad ora non si era fatto neanche questo. E rimettere in discussione i punti dell’accordo senza il consenso degli altri rischia di far precipitare tutto».

Scissione in vista?
Non lo so. Mi pare difficile. Se poi l’Italicum così come ce l’hanno spiegato dovesse diventare davvero la nuova legge elettorale, la vita non sarebbe difficile per gli scissionisti di qualunque area. Una sinistra Pd alleata con Vendola dovrebbe superare il 12% (sbarramento di coalizione), oppure dar luogo a un unico soggetto e vedersela con un 8% (sbarramento di partito singolo). E poi, già ieri, si sono registrati dissensi dal dissenso. I giovani turchi di Matteo Orfini, che starebbero a sinistra ma si stanno sempre più spostando verso il segretario, hanno già detto di non condividere le dimissioni. Pippo Civati, altra sinistra, non crede che un presidente possa guidare una minoranza in lotta col segretario.  

Sa che cosa mi chiedo: ma quest’aria decisionista del Renzi è ammissibile in Italia? No, perché veniamo da una settantina d’anni di mediazioni estenuanti, trattative infinite, tempi di esecuzione di un qualsiasi progetto sempre più lunghi...
Questo è il punto politico chiave della mossa di Renzi. Nel corso degli anni si sono stratificate talmente tante tribù, ciascuno con un piccolo o grande potere da difendere, che è praticamente impossibile procedere se non sono tutte d’accordo. Ed è impossibile che siano tutte d’accordo perché qualunque decisione, qualunque cambiamento dell’esistente scontenta qualcuno. Pensi un po’ che abbiamo dei tribunali regionali che possono annullare una legge varata dal Parlamento. Ma neanche loro hanno l’ultima parola: si può ancora ricorrere, dopo, al Consiglio di Stato. La riforma dei tribunalini (tagliare un po’ di sedi giudiziarie inutili) benché varata con tutti i crismi non si riesce ad applicare. Idem per il taglio delle province. Per questo alla fine il punto più importante dell’accordo Renzi-Berlusconi sta forse proprio nell’intervento sul titolo V, contro il quale, è facile prevederlo, si mobiliteranno le Regioni.  

Ma la legge elettorale che ci ha spiegato il sindaco di Firenze non rischia di cadere in Parlamento?
Rischia eccome. Non posso credere che il Pd - in subbuglio com’è - voti compatto nel segreto dell’urna una legge che sancirà la vittoria definitiva di Renzi sul resto del partito. Quanti saranno i franchi tiratori alla Camera? Non dimentichiamo che il segretario non ha il controllo dei gruppi parlamentari, dove i suoi sono appena una cinquantina. Il gesto di Cuperlo è significativo. E comunque, prima di scindersi, la sinistra del Pd cercherà di sabotare il progetto. Trovando alleati nelle zone più imprevedibili dello schieramento, zeppo naturalmente di proporzionalisti che preferirebbero, a questo punto, votare con la legge in vigore adesso piuttosto che con un sistema il quale, laureando un sicuro vincitore, prosciugherebbe il campo proprio dalle mediazioni.  

Come uscirebbe un nuovo Parlamento con le nuove regole?
Ieri abbiamo letto decine di calcoli basati sul voto di febbraio e su quello che i sondaggi ci dicono dell’opinione prevalente tra gli italiani. A febbraio sarebbero andati al ballottaggio Pd e Pdl, dato che nessuno dei due aveva raggiunto il 35% dei suffragi e avremmo poi avuto un Parlamento con quattro formazioni: Pd, Pdl, M5S e montiani (senza Udc e senza Fini). I sondaggi di adesso ci dicono che uscirebbe un Parlamento con tre forze: Pd, Pdl e Grillo. C’è tuttavia ancora un’incognita, trascurata dall’accordo Renzi-Berlusconi.  

Quale?
In sede di discussione alla Camera, potrebbe passare un emendamento secondo il quale le coalizioni non avrebbero il diritto di computare i voti presi dai partiti che non superano la soglia di sbarramento. Questo ridurrebbe di colpo la forza dei due grandi e avvantaggerebbe Grillo. Qualcuno, tra quelli che si sentono conculcati dal decisionismo di Renzi, ci sta pensando.