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 2014  gennaio 21 Martedì calendario

Matteo Renzi ha superato l’esame della direzione democratica sulla legge elettorale concordata sabato con Berlusconi: 111 sì e 34 astenuti, un risultato mai in discussione dato che il segretario s’era costruito, poche settimane fa, una direzione a sua immagine e somiglianza

Matteo Renzi ha superato l’esame della direzione democratica sulla legge elettorale concordata sabato con Berlusconi: 111 sì e 34 astenuti, un risultato mai in discussione dato che il segretario s’era costruito, poche settimane fa, una direzione a sua immagine e somiglianza. C’è anche stato il colpo di scena del ballottaggio: se nessuna delle coalizioni in lizza raggiungesse il 35% dei voti, si andrà a un ballottaggio tra le prime due, in modo da stabilire a chi dovrà andare la maggioranza dei seggi. La vittoria netta in termini numerici non può nascondere qualche difficoltà politica, le cui dimensioni capiremo con certezza al momento dell’esame dell’aula (Montecitorio, 27 gennaio): il presidente del partito, Gianni Cuperlo, bersaniano, ha duramente attaccato il metodo e il merito della legge, lasciando poi il Nazareno prima che la direzione terminasse.

•  Cominciamo dal riassunto della legge elettorale, così come risulta a questo punto.
Il Paese si divide in 120-130 collegi, in ognuno dei quali i partiti possono presentare un massimo di sei candidati. Liste così corte garantiscono che gli elettori conoscano o possano facilmente conoscere i profili dei concorrenti. Si guarda poi al risultato che ogni formazione politica, o ogni coalizione, ha raggiunto a livello nazionale, e a quel punto si distribuiscono i seggi in base ai migliori risultati che ciascun partito ha raggiungo nei collegi. Con queste avvertenze: una coalizione, per essere ammessa alla ripartizione, deve raccogliere almeno il 12 per cento dei consensi, e all’interno della coalizione nessun partito può partecipare alla suddivisione dei seggi se non ha almeno il 5% dei voti a livello nazionale. Se una formazione politica corre da sola, lo sbarramento da superare sarà dell’8 per cento. È anche previsto un premio di maggioranza tra il 18 e il 20 per cento dei seggi da assegnare alla coalizione o al partito arrivato primo che abbia però raccolto almeno il 35% dei consensi. In questo modo, il vincitore delle elezioni avrà la sicurezza di una maggioranza in Parlamento del 53-55 per cento. Se nessuna coalizione o nessuna formazione politica raggiunge il 35% dei suffragi, allora i primi due arrivati andranno a un ballottaggio, da disputarsi dopo 15 giorni, e che assegnerà un premio di maggioranza sufficiente a raggiungere questo 53-55% dei deputati. Non c’è questione di un voto al Senato, perché il Senato non sarà più una camera elettiva col diritto di dare la fiducia al governo, ma un semplice organo di rappresentanza degli Enti locali, al quale andranno esponenti di Regioni e Comuni, senza stipendio e non eletti. Renzi ha ribadito che, nell’accordo con Berlusconi, c’è anche la revisione del titolo V della Costituzione, quello riformato dal centro sinistra nel 2001, con un depotenziamento delle Regioni. Il punto che ha suscitato le reazioni più piccate da parte di Cuperlo e della minoranza interna è stato l’ammonimento del segretario: questo non è un progetto à la carte cioè un menu in cui ognuno può scegliere quello che preferisce. Qui, o si prende l’intero pacchetto oppure andiamo a casa.  

Cuperlo gli ha detto: allora che cosa convochi a fare la Direzione? Se è tutto già deciso...
Già, ed è ovvio che la battaglia si trasferisce adesso in Parlamento, dove il Senato ancora vota e i proporzionalisti - quelli cioè che vorrebbero andare alle elezioni con la legge in vigore adesso - sono numerosi. La bandiera che viene agitata da tutti quanti, da Alfano ai bersaniani, è quella delle preferenze: «lasciamo che i cittadini scelgano i loro rappresentanti» eccetera. Battaglia piuttosto discutibile, dato che abolimmo a suo tempo le preferenze con un referendum (erano provata fonte di corruzione e controllo del voto) e che comunque i cittadini sceglieranno all’interno di liste ristrette, preparate sempre dai partiti.  

Quali sono le preoccupazioni principali, che giustificano le resistenze?
I capi dei partiti avranno il potere enorme di preparare le liste e metterci quelli che decidono loro. Renzi da un lato, Berlusconi dall’altro. Dentro il Pd, è facile prevedere che della pattuglia bersaniana varcheranno la soglia in pochi. Con la beffa che, invece, il segrtetario darà molto spazio a Vendola, a meno che dichiarazioni fortemente dubitative rese ieri da Gennaro Migliore non lo abbiano indotto a qualche ripensamento.  

Ma Berlusconi non era contrarissimo al doppio turno?
Sì. Ieri però avrebbe ricevuto una telefonata da Verdini che lo ammoniva di fare buon viso a cattivo gioco: «Altrimenti Matteo non ce la fa».  

Grillo?
Sempre all’attacco. Ha chiamato la riforma Renzi-Berlusconi “Pregiudicatellum”. Secondo quanto ha riferito Renzi, il suo nome è invece “Italicum”.