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 2014  gennaio 19 Domenica calendario

Renzi e Berlusconi sono stati a discutere per quasi due ore e mezza, ieri pomeriggio, nella sede del Partito democratico

Renzi e Berlusconi sono stati a discutere per quasi due ore e mezza, ieri pomeriggio, nella sede del Partito democratico. Fatto già clamoroso in sé, dato che mai il leader di Forza Italia aveva varcato il portone del partito nemico. E infatti, all’esterno, lo ha accolto una piccola schiera di contestatori, che hanno tirato uova contro la sua macchina, però senza produrre troppi danni. Il discorso di questi oppositori è che Renzi ha fatto male a portare «a casa nostra» un pregiudicato, un evasore fiscale, un criminale. Politicamente, ha fatto eco a questa contestazione la forte critica che s’è levata, alla vigilia, dalla componente bersaniana del Partito democratico. Che, prima ancora di valutare l’esito dell’intesa, contesta il principio che con Berlusconi - il pregiudicato - l’intesa si sia cercata. Sono tutti conflitti che dovrebbero trovare il loro scioglimento domani pomeriggio, quando Renzi spiegherà alla direzione del partito verso quale legge elettorale ci si sta muovendo.

Perché, ancora non si sa?
Si sa e non si sa. Lo si deve intuire da ciò che Renzi ha detto in conferenza stampa che Renzi dopo l’incontro, conferenza stampa assai breve perché il segretario del Pd non voleva perdere il Freccia rossa che l’avrebbe riportato a Firenze. E anche la nota di Berlusconi fa capire e non capire.  

Sentiamo.
Nella conferenza stampa, Renzi ha detto: «C’è una profonda sintonia tra le proposte del Pd e quelle che abbiamo discusso oggi con Berlusconi su tre temi delicati e capaci di segnare la svolta: la riforma del titolo V, con l’eliminazione dei rimborsi ai gruppi consiliari regionali; la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie senza elezione diretta dei senatori; e la riforma delle legge elettorale. Su questo abbiamo condiviso un’apertura alle altre forze politiche per scrivere il testo della legge che, se nelle prossime ore saranno definiti i dettagli, presenteremo alla direzione del partito che lunedì alle 16 lo voterà». Il comunicato di Berlusconi dice questo: «L’accordo con Renzi prevede una nuova legge elettorale che porti al consolidamento dei grandi partiti in un’ottica di semplificazione dello scenario politico. Insieme, abbiamo auspicato che tutte le forze politiche possano dare il loro fattivo contributo in Parlamento alla rapida approvazione della legge, che speriamo possa essere largamente condivisa. Durante il nostro colloquio, pur ribadendo le critiche di Forza Italia all’azione dell’esecutivo, e auspicando di poter al più presto ridare la parola ai cittadini, ho garantito al Segretario Renzi che Forza Italia appoggerà in Parlamento le riforme».  

Interpretazione.
Beh, intanto sembrerebbe che Berlusconi non pretenda più di andare a votare il 25 maggio, nello stesso giorno delle Europee. Se è d’accordo nel riformare il titolo V della Costituzione (taglio dei rimborsi ai consiglieri regionali e ai loro emolumenti) e a depotenziare il Senato a camera delle autonomie significa che è disposto a tenere questo parlamento aperto per la prevista doppia lettura, necessaria per le leggi di natura costituzionale. Ci vorrà, per la doppia lettura prevista, almeno un anno e quindi non si dovrebbe votare prima del 2015. Ma naturalmente, potrebbero provocare la crisi i partitini, a cominciare da quello di Alfano-Lupi-Cicchitto, per continuare con Scelta civica (Monti). Ieri Cicchitto ha detto: «L’accordo tra Berlusconi e Renzi è come il patto Ribbentrop-Molotov», quello cioè che settant’anni fa mise d’accordo nazisti e comunisti intorno alla spartizione della Polonia. «Un’operazione aberrante. Noi non ci stiamo».  

Ce l’hanno soprattutto col sistema elettorale, credo.
Sembrerebbe che i due si siano messi d’accordo sul sistema elettorale simil-spagnolo. Nel modello spagnolo, si vota in circoscrizioni molto piccole, ciascuna delle quali elegge un minimo di 4 e un massimo di 5 deputati. Per un piccolo partito non c’è quasi speranza di far passare un suo rappresentante, a meno che non abbia un fortissimo radicamento territoriale (tipo la Lega dei bei tempi). Però Renzi in conferenza stampa ha pronunciato la parola “bipolarismo” e non la parola “bipartitismo”. Questo dovrebbe significare che il sistema ammetterà le coalizioni, vanificando quindi parecchio il suo profilo maggioritario. Si dice - ma per ora sono tutte chiacchiere - che sarebbe previsto uno sbarramento del 5% per i partiti singoli e dell’8% per le coalizioni. E che al partito meglio arrivato, se avrà raccolto almeno il 35% dei voti, saranno regalati 95 seggi, per aiutarlo a far maggioranza da sé.  

Quanto può resistere il governo in questa situazione?
Chi sa. Ieri Letta ha stemperato la polemica con Renzi con questa dichiarazione: «L’incontro di oggi pare andare nella buona direzione. Siamo infatti da tempo convinti della necessità di una riforma costituzionale della legge elettorale che tenga insieme le forze di maggioranza e i principali partiti dell’opposizione». Il senso di questa frase sembra essere: non c’è bisogno di sostituirmi, mentre si fanno le riforme posso restare io a Palazzo Chigi. Una delle ipotesi che circolano, infatti, è che il sindaco di Firenze, senza aspettare le elezioni, subentri a Letta e formi un governo di scopo per fare le riforme, sostenuto magari dall’esterno da Forza Italia. Tra i sottoscenari di questo complicato sviluppo c’è anche la spaccatura del Partito democratico, con la fuoriuscita dei bersaniani e la nascita del nuovo, ennessimo partito della sinistra.