18 gennaio 2014
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Biografia di Michele Misseri
• Manduria (Taranto) 22 marzo 1954. Protagonista, insieme alla figlia Sabrina (Manduria, Taranto, 10 febbraio 1988) e alla moglie Cosima Serrano (Avetrana, Taranto, 6 gennaio 1955), dell’omicidio della nipote Sarah Scazzi, 15 anni, scomparsa ad Avetrana (Taranto) il 26 agosto 2010 e ritrovata morta il 6 ottobre dello stesso anno. «L’uomo che ha fornito sette versioni differenti circa il proprio coinvolgimento nel delitto, e che ormai, ritenuto del tutto inaffidabile dagli inquirenti, è divenuto l’ennesimo fenomeno da baraccone del mondo mediatico» (Giordano Tedoldi) [Lib 4/11/2011]. Il 20 aprile 2013 fu condannato in primo grado a otto anni per concorso in soppressione di cadavere. La figlia Sabrina e la madre Cosima all’ergastolo: «Ad uccidere Sarah Scazzi furono la cugina del cuore e la zia che l’aveva cresciuta nella sua abitazione di via Deledda. Michele Misseri entrò in scena dopo, quando le due donne chiesero aiuto. E da fedele uomo di casa si diede da fare per far scomparire il cadavere» (Mario Diliberto) [Rep 20/4/2013]. Continua ad accollarsi ogni colpa e a dichiararsi colpevole dell’omicidio, mentre moglie e figlia si dicono innocenti.
• La vicenda Sarah Scazzi, 15 anni, faccino grazioso incorniciato da lunghi capelli biondi, piccolina (appena un metro e 58 d’altezza), esile, viveva con la mamma Concetta Serrano Spagnolo, un cane e tre gatti (il padre Giacomo e il fratello maggiore Claudio lavorano a Milano) ad Avetrana, 8 mila anime in provincia di Taranto. Alle 14.30 di giovedì 26 agosto 2010, indosso una maglietta rosa con il coniglietto di Playboy, pantaloncini rosa, infradito nere, una bambola e un telo da mare nella borsa, uscì di casa per percorrere a piedi i trecento passi che la separavano dall’abitazione della cugina Sabrina, 22 anni, con la quale aveva intenzione di andare in spiaggia. Da allora di lei non si seppe più nulla. Gli inquirenti, in un primo momento, pensarono a una fuga: i diari, i temi di scuola, le chat su Internet, sempre e ovunque Sarah raccontava dei suoi problemi a casa, del rapporto conflittuale coi genitori, del fatto che non vedeva l’ora di andarsene da Avetrana («mi tingerò i capelli e scapperò di casa», ripeteva agli amici). Dopo 35 giorni, tuttavia, saltò fuori in un campo il suo cellulare, un Vodafone 735 con cuffia stereo, mezzo bruciacchiato. A trovarlo fu lo zio Michele Misseri, padre di Sabrina e marito di Cosima, la sorella di mamma Concetta. Costui, un «ciuccio da fatica» che aveva sgobbato in Germania abbastanza da mettere via i soldi per diventare un padroncino di terre a casa sua, noto come uomo «tanto pio», solito coprire la calvizie con un cappellaccio da pescatore, l’aria «tonta e furba assieme», raccontò in lacrime, davanti alle telecamere, d’aver visto il telefonino mentre bruciava le stoppie in un terreno di sua proprietà: «Ero tornato a cercare un cacciavite e ho trovato il cellulare… Era come se Sarah mi stesse chiamando (...) Me la vedo sempre davanti la mia nipotina. Veniva giù da me in cantina, a chiamarmi: “Zio, è pronto in tavola!”». Quel cellulare però, troppo integro per star lì da 35 giorni, era un atto d’accusa, non poteva essere un caso che l’avesse trovato proprio lui. La sera di mercoledì 6 ottobre, dopo dieci ore di interrogatorio, Misseri confessò ai carabinieri che il pomeriggio del 26 agosto, mentre era nel garage di casa affaccendato a riparare un trattore, si vide davanti Sarah che gli chiedeva notizie della cugina Sabrina, lui le disse che era ancora a casa, la invitò a entrare e tentò di palparla, lei inviperita gli voltò le spalle e allora lui le strinse una corda al collo «per cinque sei minuti», finché non smise di respirare. Quindi nascose il cadavere nel bagagliaio della sua auto, guidò fino al campo di San Pancrazio di proprietà di suo padre, tirò fuori Sarah, la spogliò e la stuprò: «È stato un attimo, era nuda, non ho resistito e l’ho presa». Infine calò la salma in un vecchio pozzo pieno d’acqua, coprì l’imbocco con un grosso pezzo di tufo, delle zolle di terra e un ceppo di vite, e andò via: «Il telefonino l’avevo portato sempre con me. Poi qualche giorno fa lo avevo messo in una campagna, nella speranza che lo trovaste voi. Niente. Allora ho pensato di darvelo io». Dopo la confessione di Misseri, la figlia Sabrina s’è sfogata tra i singhiozzi con i giornalisti: «Mio padre deve pagare per quello che ha fatto. Noi non avevamo alcun sospetto. Mio padre ha preso in giro tutta l’Italia» (Fdf 11/10/2010). Una settimana dopo il ritrovamento del cadavere, il 15 ottobre 2010, Misseri chiama in causa la figlia Sabrina, che finisce in cella con l’accusa di concorso in omicidio volontario e sequestro di persona. Secondo gli inquirenti avrebbe avuto un ruolo nell’omicidio della cugina e avrebbe aiutato il padre Michele a caricare il cadavere sulla Seat Marbella di famiglia (Giuliano Foschini) [Rep 16/10/2010]. Inoltre sarebbe stata lei ad attirare la cugina nel garage dov’è avvenuto l’omicidio. «Questo spiegherebbe il più grande dei punti interrogativi di questa storia: perché Sarah sarebbe dovuta scendere in quel garage se davvero Sabrina (come dice lei) l’aspettava in veranda per andare al mare? Perché avrebbe dovuto farlo se davvero (come racconta Misseri nella confessione) lui l’aveva molestata pochi giorni prima? La spiegazione arriva dallo stesso Misseri: l’ha fatta scendere Sabrina. Una trappola, pare, per darle una lezione dopo la lite furibonda della sera precedente a causa di Ivano, il ragazzo di cui Sarah si era invaghita e che Sabrina avrebbe voluto tutto per sé» (Giusi Fasano) [Cds 16/10/2010]. Il 5 novembre 2010 Misseri accusa la figlia di aver ucciso Sarah: «Sabrina ha fatto tutto da sola. Io l’ho solo aiutata a nascondere il cadavere». Il movente: Sabrina era pazzamente gelosa delle attenzioni che Ivano Russo riservava alla cugina. Nel dicembre del 2010 Misseri cambia di nuovo versione e comincia a scrivere lettere in cui sostiene che ha fatto tutto lui, dall’omicidio alla soppressione del cadavere. Il 23 febbraio 2011 vengono arrestati anche il fratello e il nipote di Michele: Carmine Misseri e Cosimo Cosma. L’accusa: concorso in soppressione di cadavere. Vengono scarcerati giorni dopo, il 10 marzo 2011. Il 26 maggio 2011 viene arrestata Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri. È accusata di concorso in omicidio e soppressione di cadavere. «La donna si aspettava l’arresto da giorni. Aveva già preparato la borsa ed era uscita di buon’ora per sistemare le ultime cose nella vigna di famiglia. “Devo fare presto, prima che succeda” aveva confessato all’inseparabile sorella Emma. (…) La matrona di casa Misseri, quindi, avrebbe partecipato all’esecuzione della nipote. Sarah sarebbe stata aggredita nella villetta di via Deledda da zia Mimina e da Sabrina. L’hanno strangolata e poi hanno affidato all’uomo di casa Michele il compito di far sparire il cadavere» (Mario Diliberto) [Rep 27/5/2011]. La ricostruzione degli inquirenti a questo punto della storia: «Sarah Scazzi, uno zaino in spalla e la musica nelle orecchie, arriva a casa di sua cugina Sabrina Misseri attorno alle ore 14 del 26 agosto 2010. Sabrina la invita a entrare in casa. Aspettano l’amica Mariangela Spagnoletti ma, prima, ha bisogno di dirle qualcosa. Sarah entra. E cominciano a litigare. L’oggetto è sempre lo stesso: Ivano Russo, il bel cuoco di cui Sabrina è pazzamente innamorata e che ultimamente dà qualche attenzione anche alla piccola Sarah. Sabrina non può sopportarlo. E non può sopportare soprattutto che Sarah abbia raccontato a tutti quello che era accaduto in macchina la notte di San Lorenzo, quando Sabrina si spogliò e Ivano la invitò a rivestirsi. Sarah entra dunque in casa, sono le 14.05. Le due litigano, Sabrina aveva deciso di farlo, l’incontro era premeditato, voleva darle una lezione. Le mette le mani al collo. Prende una cintura, la abbraccia da dietro, la soffoca. La uccide. Accanto c’è mamma Cosima che vede e sente tutto. Non la ferma. Sarah è morta in pochi minuti. Ha i vestiti strappati ed è per terra, probabilmente nella cucina di casa Misseri. Mamma e figlia svegliano Michele, che dorme. Gli chiedono, anzi gli ordinano di aiutarle. Trascinano il corpo nel garage, poi lo caricano nella macchina. Lo portano all’“albero del fico”, e lo lasciano lì seminudo per 24 ore: Sabrina pensa in un primo momento di denunciare una violenza sessuale, di creare il mostro. Poi desiste dall’idea. Il giorno dopo torneranno tutti insieme e caleranno la bambina, imbracata, nella cisterna dove sarà ritrovata il 7 ottobre 2010 grazie al racconto di Michele Misseri» (Giuliano Foschini) [Rep 27/5/2011]. Michele, considerato ormai inattendibile per i suoi cambi di versione e accusato solo di soppressione di cadavere, è scarcerato il 30 maggio 2011. Il 10 gennaio 2012 si apre il processo davanti alla Corte d’assise di Taranto. Il 20 aprile 2013, alle 14.20, dopo centodieci ore di camera di consiglio, arriva il verdetto: ergastolo per Sabrina e la madre Cosima (omicidio, sequestro di persona e concorso in soppressione di cadavere), otto anni a Michele Misseri (concorso in soppressione di cadavere), sei anni a Carmine Misseri e Cosimo Cosma (hanno aiutato Michele a far scomparire il corpo). «La storia infine delineata dai giudici di primo grado è dunque questa: c’è la gelosia della cugina più grande, Sabrina, per la piccola Sarah che sta sbocciando e le sta soffiando Ivano, bamboccione di paese amatissimo dalle ragazze, “il Dio Ivano” del quale Sabrina è l’adepta più devota; c’è il crescendo di liti, fino alla mattina fatale del 26, quando tutto si compie; Sarah esce sconvolta dopo l’ennesima baruffa dalla casa dei Misseri, la villetta di via Deledda che tutt’Italia ha imparato a conoscere e odiare in diretta tv; forse ha qualcosa da rivelare, rimane una parte oscura in questo processo, in ballo c’è forse l’onore dei Misseri ma forse molto altro, perché la ragazzina (minorenne) potrebbe essere stata intrappolata in un gioco peggiore, il “Dio Ivano” non è l’unico ragazzo grande, quasi trentenne, sulla scena; (…): Mimina, vera padrona dei destini di casa, esce sulla sua Opel Astra nel rovente pomeriggio d’agosto, riacciuffa la nipotina, “’nchiana, sali in macchina!”, le ordina; la riporta nella villetta con Sabrina; con Sabrina l’ammazza quando ormai la piccola minaccia di raccontare tutto a sua madre Concetta, la sorella di Mimina che adesso, in aula, mormora senza visibili emozioni come sempre: “La mia famiglia ha ucciso mia figlia, sentenza amara ma attesa”. A Michele, schiavo di masseria sin dall’infanzia, il compito di far sparire il corpo e, più avanti, di farsi capro espiatorio, accollandosi ogni colpa. (…)» (Goffredo Buccini) [Cds 21/4/2013].
• «(...) “L’ho uccisa io nel giorno in cui è scomparsa. L’ho strangolata in cantina, ho bruciato i suoi vestiti e poi l’ho portata nelle campagne di Avetrana” (...) I magistrati della Procura di Taranto dubitavano di lui dal 29 di settembre (2010), da quando “per caso” ha ritrovato in un uliveto il telefonino di Sarah. “Non la racconta giusta o non la racconta tutta” era stato il commento di uno degli inquirenti (...) Lo ha fatto crollando dopo un “effetto a sorpresa”: gli hanno fatto sentire un’intercettazione ambientale, registrata poche ore dopo il “ritrovamento casuale” del cellulare. Una discussione piuttosto animata fra lui, sua moglie e sua figlia Sabrina, la cugina che per Sarah era una sorella, la stessa che la ragazzina stava andando a trovare a casa quando è scomparsa. Dopo aver sentito la registrazione Michele Misseri, che fino a quel punto aveva retto davanti a ogni domanda, avrebbe pianto e raccontato un’altra verità: “L’ho ammazzata in cantina e subito dopo ho messo il corpo in macchina e l’ho portato in un podere fra Avetrana e la strada che porta ai comuni di Erchie e San Pancrazio. L’ho gettata lì” (...)» (G. Fas.) [Cds 7/10/2010].
• «“L’ho sognata queste sere Sarah, due, tre volte di seguito: mi diceva zio coprimi, ho tanto freddo. L’ho sognata così tante volte che ora vorrei morire: non ce la faccio più, basta”. È cominciata così (...) la confessione fiume di Michele Misseri (...) Misseri ha prima negato anche l’evidenza, cercato di sminuire le intercettazioni ambientali (tre) nelle quali persino le sue figlie adombravano sospetti su di lui. Poi, anche per evitare ingiusti sospetti sulla sua famiglia, è crollato e ha raccontato tutta la verità. “Quel giorno – ha spiegato in sintesi, il verbale è stato secretato – ero nel mio garage, come sempre. Aggiustavo il trattore che aveva avuto un problema. Ero molto arrabbiato, nervoso perché non riuscivo a metterlo in moto. Saranno state le 14.30 e ho visto Sarah che si è affacciata alla porta del garage”. L’ingresso è venti passi dalla porta di casa: si può accedere o dalla strada oppure direttamente dall’appartamento. Sarah si era affacciata dall’alto, il pantaloncino e la maglietta rosa, l’infradito, l’asciugamano. “Mi ha detto che aspettava Sabrina, era leggermente in anticipo. Mia figlia era ancora in casa, l’amica Mariangela non era ancora arrivata in macchina. Le ho fatto segno di scendere. Non so che cosa mi è scattato, all’improvviso Sarah mi intrigava, è successo tutto in un momento”. Ha provato a toccarla, da dietro, probabilmente le ha sfiorato un seno. Sarah ha reagito immediatamente. Forse lo ha colpito (...) “A quel punto ho perso la testa”. Ha afferrato una corda che era lì in quella cantina maledetta, dove lui passava le intere giornate tanto che le ragazzine della strada la chiamano la casa dei fantasmi, “perché è sempre buio e lui è sempre lì sotto, fa una paura”. “Ho preso quella corda e ho stretto. Sarah è morta”. (...) Il fratello Claudio (...) ha raccontato in televisione che sapeva di precedenti molestie. Ai carabinieri non lo ha mai detto. Così come non ci sono segnali in questo senso sui diari di Sarah, dove invece la ragazza appuntava tutto. C’è però un particolare che aveva messo in allarme gli investigatori. Lo aveva raccontato mamma Concetta (...): “Sarah mi ha raccontato che lo zio le aveva regalato cinque euro in due occasioni, non chiedendole nulla in cambio ma facendole promettere che non avrebbe raccontato nulla né a me né alla zia”. Gli investigatori hanno immediatamente obbligato Concetta a non raccontare a nessuno questo elemento, soprattutto con sua sorella, perché avrebbe potuto compromettere le indagini. Concetta ha tenuto il segreto. “Poco dopo – ha ricostruito ancora l’assassino – questione di minuti, si è affacciata mia figlia Sabrina. Lei era in casa, non ha visto niente. Mi ha chiesto di Sarah, mi ha detto se la vedi dille che la stiamo cercando. È andata via. Sarah era accanto a me, morta. Poco dopo l’ho caricata in macchina, l’ho messa dietro, con una coperta e sono andato verso i terreni a San Pancrazio”. In questo passaggio ci sono due degli elementi che lo hanno inchiodato: ai carabinieri aveva raccontato di essere rimasto tutto il giorno ad aggiustare il trattore. E invece un testimone, un suo parente, ha raccontato di averlo visto in auto intorno alle 17 e soprattutto i tabulati telefonici hanno dimostrato che era nella zona di Nardò alle 16.45. “È vero. Con la macchina sono andato nel campo verso San Pancrazio. Sono arrivato, non mi ha visto nessuno. Ho tirato fuori Sarah, l’ho spogliata: ho abusato di lei, è stato un attimo era nuda e l’ho presa. Soltanto in quel momento mi sono accorto di cosa avevo fatto”. Ha bruciato i vestiti, buttato il corpo nella fossa-cisterna da una fessura strettissima. “L’ho coperto con i filari del vigneto e sono andato via”. Misseri l’aveva fatta liscia. Aveva lasciato poche tracce, difficilmente gli investigatori sarebbero arrivati a lui. Poi, il ritrovamento del telefonino. “In quel periodo l’avevo portato sempre con me. Tre giorni prima del 29, se non sbaglio, lo avevo messo in una campagna nella speranza che lo trovaste voi. Niente. Allora ho pensato di darvelo io”. (...)» (Giuliano Foschini) [Rep 8/10/2010].
• «(…) Ne ha subìte talmente tante zio Michele, che quando è entrato in prigione sembrava un cencio preso a calci per 57 anni. Lo hanno trascinato dentro insieme col mistero di un omicidio che forse non ha commesso (nemmeno secondo l’accusa); ma del quale lui si è preso la colpa per cercare di salvare la figlia di ventisei anni. E Miché, quel 6 ottobre dell’arresto, aveva gli occhi sfuggenti di chi non riesce mai a fissare quelli dell’interlocutore, come capita ai cani abituati al bastone. (…) Dalla moglie Cosima, “Mimmina sua”, Miché non ci tornerebbe manco morto. Lo giura.
“Qui si sta meglio che in ospedale. Io sono rinato”, dice con una serenità che spiazza. “Prima non riuscivo a parlare e nemmeno a pensare, adesso mi sento una persona come le altre” (…) Nella sua esistenza di ex orco, becchino depravato, omicida a mezzo servizio, improvvisato stupratore di cadaveri e padre e marito disposto a tutto pur di salvare le sue donne, c’è un “prima” e un “adesso”. Dettagli temporali che Michele separa e sottolinea all’infinito. C’è un passato di mostro inventato e un presente di agnello sacrificale della devastata famiglia Misseri, che in questa fase carceraria emerge con prepotenza. (…) “Meglio non veda il padre, se lo incontrasse se lo mangerebbe in un boccone”, guardando Sabrina che si affaccia dalla sala del colloquio smagrita e pallida, senza più i codini da adolescente tardiva ma
sempre col fazzoletto asciugalacrima in mano, tornano in mente queste parole pronunciate da un maresciallo. È l’uomo al seguito di Michele che faceva ritrovare il corpo senza vita della bambina, in fondo al pozzo di contrada Mosca. (…) Michele adesso sorride sollevato e orgoglioso della sua cella. È contento perché, essendo sabato, gli sarà servito risotto giallo di zafferano, spinaci e frittata. E poi arriva subito domenica, che significa pasta al forno: il piatto preferito dalla figlia prediletta che ha dovuto far rinchiudere. Lui in prigione si sente un re (…) «(…) Qui le persone mi vogliono bene e mi rispettano. A casa lavoravo e solo le mazzate mi prendevo. Adesso è tutto finito, guarda qui le mie mani: lo vedi che non sono più nere di lavoro. Sono belle, pulite, mai state così bianche le mie mani. Alle tre del mattino mi alzavo per andare in campagna, qui invece posso dormire. Riposo, mangio e leggo” (…) A sei anni faceva già lo schiavo nelle campagne di Manduria e da allora non ha più smesso. Michele Misseri è uno che la maestra non l’ha mai incontrata e la scuola la vedeva sì e no quando ci passava davanti col carretto del padrone a cui l’aveva consegnato il padre Cosimo. Ha cominciato a quell’età a spaccarsi la schiena nelle masserie, dalle sei del mattino fino a notte. La sua è la storia di un mostro mancato e di un marito che non riesce a farsi rispettare; un Babau che inciampa nel proprio mantello e fa grottesche capriole all’indietro, lavando all’occorrenza le scodelle alle donne di casa e dormendo su una sdraio come un barbone. Pena, le mazzate. Come quella volta in cui Cosima lo spinse in malo modo dentro il garage del delitto, solo perché Miché aveva osato rispondere a un giornalista che lo interpellava. Proprio lei, che con le figlie e le sorelle, si era consegnata alle parabole delle tv inscenando un reality dell’orrore senza precedenti. C’erano volte che Miché vagabondava intorno alla consorte per un pugno di euro, come fosse un randagio. La cassa era gestita da lei e Michele si faceva dare i soldi per togliere il guasto al trattore, ma la riparazione la faceva lui e si teneva in tasca quelle poche monete. (…) Il suo incubo non è il processo, ma tornare a casa da sua moglie. Soprattutto adesso che Mimmina è stata costretta scegliere. E fra lui e Sabrina, lei ha scelto la seconda» (Cristina Lodi) [Lib 15/2/2011].
• «“Mia moglie e mia figlia sono innocentissime. Sarah l’ho uccisa nel garage, ha battuto il collo sul compressore ed è morta. Oggi sono pronto a ripeterlo davanti ai giudici”». Michele Misseri torna a parlare e continua ad accusarsi della morte della nipote, Sarah Scazzi, scagionando la moglie Cosima e la figlia Sabrina. (…) Qual è la verità? “Sarah è scesa nel garage dove mi trovavo io. Abbiamo cominciato a parlare, abbiamo discusso, poi Sarah mi ha toccato nelle parti deboli, io ho avuto un raptus, l’ho presa da dietro, lei è inciampata e ha battuto forte il collo sul compressore. Le ho preso subito i polsi, ho sentito che non c’era il battito e ho capito che era morta”. E Sabrina? La ragazza racconta di essere scesa nel garage per chiedere a Misseri se per caso avesse visto Sarah. Il padre le avrebbe detto di no, e che quando lei si è affacciata giù in garage non ha visto nulla. “Non è vero, ricorda male. Io dico la verità. Me lo ha chiesto da sopra – dice Misseri – quando mia figlia era in veranda io non le ho parlato. Sabrina non è venuta giù. Lei non ha visto nulla”» (Giuliano Foschini) [Rep 17/10/2011].
Misseri Cosima • (Serrano) Avetrana (Taranto) 6 gennaio 1955. Moglie di Michele e madre di Sabrina.
• «(...) Secondo la Procura, quindi, Cosima ha mentito raccontando di dormire e non aver sentito nulla, quel 26 agosto, quando Sarah fu ammazzata. Dicono gli investigatori che la donna non solo avrebbe coperto sua figlia Sabrina e suo marito Michele (...) ma che avrebbe anche partecipato all’omicidio di Sarah e all’occultamento del cadavere. (...) Il delitto sarebbe avvenuto casa e non in cantina, davanti a Cosima, probabilmente al termine di una lite di famiglia. Tramonta quindi l’ipotesi del garage con il raptus di gelosia di Sabrina o l’istinto sessuale di Michele. A fare cambiare rotta agli investigatori una serie di nuovi risultati raccolti negli ultimi mesi di indagine: si tratta di nuove testimonianze, in particolare quella di un vicino di casa. E soprattutto dall’ascolto di una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali (...)» (g. fosch.) [Rep 24/5/2011].
• «(...) La donna in nero, la mamma e la moglie ferita, la donna impassibile che passa dai sospetti dell’opinione pubblica (“Cosima, Cosima sa tutto” ripetono nei talk show televisivi, sui forum Internet, come se fosse il Cluedo, il giallo da tavola) a quelli dei magistrati. (...) Esibisce la sua innocenza come un trofeo: “Io non ho niente da nascondere e non sono quella che voi descrivete: io sono una donna, una mamma che sta soffrendo”. Ecco se c’è una differenza con la figlia e il marito lei non racconta di sognare Sarah. “Per me è come se non fosse morta: è come se fosse sempre in casa, la vedo mentre passa veloce in corridoio, in cucina, in camera di Sabrina. È dietro il cancello che dice: ‘Sono io zia, apri, apri’” (...)» (Giuliano Foschini) [Rep 24/5/2011].
Misseri Sabrina • Manduria (Taranto) 10 febbraio 1988. Cugina di Sarah Scazzi, figlia di Michele e Cosima Serrano. La «damina nera di Avetrana».
• «(…) Un lavoro come estetista e una comitiva di amici con cui usciva sempre ad Avetrana. È cresciuta con Valentina, la sorella maggiore. “Valentina e Sabrina hanno sei anni di differenza, stavano dalla nonna ad Avetrana, quando papà e mamma sgobbavano ad Amburgo, Valentina ha fatto da madre alla sorella minore: ‘Sono quella che la conosce meglio, appena dice una bugia me ne accorgo. Ne esce pulita, lo so, non ha niente da temere mia sorella. Solo che le dicevo: non guardare la tv, che ti fai sangue acido’”. Secondo i conoscenti, Sabrina era la più legata a Sarah. Conchita Sannino: “Poi il corso imprevedibile dei fatti le ha riservato altri ruoli. Prima la paladina delle ricerche, poi la possibile ‘rivale’ in amore, colei che contendeva a Sarah la simpatia di Ivano. Fino a quella sera del 6 ottobre, in cui diventa soltanto la figlia dell’orco. Ma non è ancora finita: ben presto si trasforma già nella secondogenita di casa che forse sapeva delle morbose attenzioni del padre”. Bepi Castellaneta: “Era un legame forte, quello delle cugine: Sarah l’adolescente timida che collezionava peluche e affidava i suoi sogni ai diari e ai poster appesi alle pareti della stanzetta in via Verdi; Sabrina tutto il contrario: una ragazza estroversa, capelli neri raccolti in un codino, piercing al naso e parlata sciolta, un lavoro, un affiatato gruppo di amici”. Un paio di estati fa le due cugine fecero un viaggio insieme a Roma, una vacanza raccontata nelle immagini di una videocamera. “In quel filmato c’è Sabrina che scherza e fa un primo piano di Sarah mentre mangia da McDonald’s, c’è la quindicenne che lascia una monetina alla statua del centurione, e poi tutte e due passeggiano di sera e si fermano vicino alla Fontana di Trevi: sono felici, confuse tra i turisti, tra sorrisi, battute, frammenti di una vacanza ormai cancellata da un dramma senza fine”. Da quando il 6 ottobre 2010 è stato ritrovato il cadavere di Sarah, la cugina Sabrina è comparsa quasi tutti i giorni in televisione: “Tono lagnoso e monocorde, sguardo obliquo, il trucco pasticciato da lacrime a comando, il corpo che smagrisce, l’acconciatura più rifinita, il piercing al naso che scompare, abiti meno improvvisati di quelli che indossava i primi giorni, più telegenica, meno sgraziata di quanto non sembrasse in quella foto accanto a Sarah. C’è un pubblico da conquistare, una giuria popolare spietata da tenere a bada, un’ondata di odio da placare” (Marida Lombardo Pijola). Domenica 10 ottobre 2010, intervistata alla trasmissione tv Domenica Cinque, Sabrina aveva detto: “Penso che la gente sia convinta che io, mia madre e mia sorella abbiamo coperto nostro padre e che eravamo complici, ma non è assolutamente vero. Sono molto ferita perché è sempre stato un padre esemplare, ma se avessi saputo questa cosa non l’avrei mai coperto. Sono d’accordo che debba pagare ma sono contraria alla pena di morte, deve pagare giorno per giorno” (Cds 11/10/2010). Conchita Sannino: “Una tenacia affilata, lo sguardo sotto choc, sebbene alla ricerca costante della lucina rossa in telecamera. E lei, giudice implacabile del genitore, ne era la ‘socia’?”. Molti si sono chiesti come sia stato possibile per Sabrina simulare così bene in tutti questi giorni. Giuseppe De Bellis: “Come il personaggio di un film, come il protagonista di un mondo che non è umano. Ci vuole una forza che sa di odio per resistere tanti giorni, per recitare una parte in maniera così convinta, anche se evidentemente non così convincente. C’è stato pudore nel cercare la verità: procuratori, poliziotti e carabinieri sono stati delicati e attenti. Forse neanche loro volevano crederci. Devono essersi chiesti anche loro questo. Possibile?”. “Sabrina ha dunque srotolato bugie per tutto il calvario della ricerca di Sarah, da quando si dava la caccia a una ragazza in pericolo fino a quando si scavava per trovare solo un cadavere? Mentiva quando piangeva in pubblico e quando si sfogava con gli amici, fingeva quando s’inalberava con gli ‘sbirri’ per la diffidenza e quando piangeva per la rabbia d’avere un padre violentatore e assassino? Recitava quando abbracciava sua zia, l’addolorata Concetta, e quando consolava Ivano? Bluffava quando si faceva intervistare da Canale 5 e quando parlava dal proprio salone a La vita in diretta?” (Conchita Sannino). (…)» (Fdf 18/10/2010).
• «L’hanno portata via incappucciata per evitare telecamere e giornalisti. Gesto più simbolico non poteva esserci (...) Dopo giorni e giorni di sovraesposizione televisiva, il cappuccio diventa una sorta di contrappasso. Come spesso succede, l’omicidio di Sarah si è ben presto trasformato in un osceno circo mediatico, dove ognuno ha dato il peggio di sé. Con la scusa di aiutare il pubblico a capire. Con la suprema ipocrisia di non ammettere che di fronte a una storia simile, che nessuna fiction avrebbe mai il coraggio di mettere in scena, la morbosità fa premio sulla reticenza. (...)» (Aldo Grasso) [Cds 16/10/2010].
• La vicenda ebbe un forte impatto mediatico, la stessa Concetta Serrano, madre della vittima, apprese dalla tv del ritrovamento del cadavere della figlia (era in collegamento in diretta con Chi l’ha visto?, su Raitre): «Sarah non la conosciamo, anche se siamo “entrati” mille volte nella sua cameretta con poster e peluche. Sarah sparisce mentre va al mare d’estate. “Guardate in famiglia”, suggerisce la madre, impietrita, durante L’Italia sul 2. Passano quarantadue giorni e l’idea di un mostro arrivato tra queste quattro case via Internet naufraga. Tra telefonini ritrovati “per caso” e indagini con le microspie, scoppia zio Michele. Ha 57 anni, e sotto interrogatorio confessa. È stato lui, ammette, perché “Sarah non ci stava”. I sommozzatori trovano il cadavere in aperta campagna e c’è da restare tramortiti per l’empietà del tutto. Ma, nel frattempo, i file con la voce della confessione del contadino guadagnano la strada della tv. La stessa madre della vittima, mentre è casa dell’assassino, apprende sempre dalla tv onnipresente e onnisciente che non c’è più niente da fare: Chi l’ha visto? continua la diretta» (Piero Colaprico) [Rep 11/11/2010]. Diversi anche gli episodi di turismo nero: «La città è stata invasa, letteralmente assaltata dalle auto guidate da uomini e donne di ogni età che piuttosto di passare un pomeriggio al cinema o sul lungomare di San Pietro in Bevagna (la giornata di ottobre lo permetteva) hanno preferito fare una gita lungo i set del Sarah Scazzi horror show. C’era chi portava fiori e peluche, chi scattava foto con il telefonino per poi metterle immediatamente sul profilo Facebook, oppure bambini piccolissimi che mandavano un bacino alla loro mano e poi facevano la carezza alla serrande del garage dell’orrore, sotto gli occhi commossi di mamma e papà. C’era un folto gruppo di ragazzi che faceva ciao alle telecamere di Barbara D’Urso che a momenti se li mangiava, perché diamine così si perde il pathos. Ma il vero problema, pratico, è che i curiosi erano talmente tanti, ma tanti, che a un certo punto è dovuta intervenire persino gli uomini della Protezione civile. Hanno chiuso le strade, cercato di organizzare il flusso continuo di auto – 1.400 almeno alle 20 dicono dai carabinieri – che arrivava da tutte le direzioni: dalle spiagge di Porto Cesareo, da Manduria, da Erchie, da Nardò. La folla si concentrava soprattutto davanti alle due case e al cimitero. A ogni angolo, già dalla mattina, dalle auto abbassavano i finestrini per chiedere: “Scusi sa dov’è la casa di Sarah?”. “Non è gente di Avetrana, non può esserlo” scuote la testa don Dario mentre a pochi metri una 17enne del luogo supplica: “A me Sabrina mi faceva la ceretta, lo metti il nome mio sul giornale?” (…)» (Giuliano Foschini) [Rep 18/10/2010]. E poi giovani che chiedevano di tatuarsi la faccia di «Zì Michè», vestiti di carnevale ispirati al contadino con gilet e cappello da pescatore, ecc.