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 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

Biografia di Damiano Michieletto

• Venezia 1975. Regista. «(...) Consacrato da una mitica Gazza ladra, enfant prodige della regia d’opera, uno dei rarissimi registi italiani la cui attività non finisca a Chiasso. Di quelli che i cretini chiamano provocatori. (...)» (Alberto Mattioli) [Sta 10/11/2010]. «Osannato, contestato, conteso dai teatri di mezzo mondo. Damiano Michieletto, uscito dalla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, è ideatore di molti allestimenti di prosa e ancor più di lirica. Tutti contrassegnati da uno sguardo fresco, audace, provocatorio» (Giuseppina Manin) [Cds 16/9/2013].
• «(…) Un regista d’opera italiano che piace anche al di là dei patri confini (anzi, più che al di qua). La sedicente “patria dell’opera” è in grado di esportarne uno solo. In compenso, è davvero geniale. Si chiama Damiano Michieletto, si è così poco montato la testa che continua a vivere al paesello (nel caso Scorzè, periferia di Treviso). Però lavora in tutto il mondo come un forsennato» (Alberto Mattioli) [Sta 7/2/2012].
• Nel 2009 fece discutere il suo allestimento dell’opera mozartiana Il ratto del serraglio (fischi e contestazioni per la prima al San Carlo di Napoli): «(...) Uno yacht sul palco del San Carlo non si era mai visto, e una donna in topless neppure. E difficilmente li si vedrà ancora (...)» (F. B.) [Cds 20/4/2009]. Nello stesso anno andò meglio con il Roméo et Juliette di Gounod in scena alla Fenice di Venezia: «(...) Al centro, l’enorme piatto del giradischi da dove il deejay comanda le danze, e tutt’attorno il mixer, le luci stroboscopiche, le casse che sparano decibel da stadio, le cubiste seminude (...) e tutto l’armamentario del caso. Va da sé dunque che gli avventori siano gruppi di ragazzi. I Capuleti sono punk metallari ma di buona famiglia, i Montecchi dei tipacci di periferia col coltello in tasca e la bomboletta spray da graffitari (scriveranno “L’avenir c’est nous” sulla parete). Giubbotto di pelle e capelli rasta per Roméo, parrucca rosso fuoco e minigonne inguinali per Juliette, ça va sans dire. Tutto va di conseguenza. L’alcova dei due amanti è l’auricolare di una cuffia, l’“allodoletta” che li risveglia dopo la prima e ultima notte d’amore è un telefonino che squilla, il coltello con cui Juliette si procura il suicidio è la puntina del giradischi di cui sopra. L’idea di Romeo e Giulietta in salsa giovanilistica non è nuova. Al cinema l’aveva realizzata Baz Luhrmann nel suo Romeo + Juliet con un giovane Di Caprio; all’opera, e precisamente a Vienna, l’eccellente Jürgen Flimm rappresentò lo scontro violentissimo tra due bande rivali della periferia newyorkese. Non è nuova, si diceva, ma Damiano Michieletto (...) la sa realizzare in modo avvincente. Naturalmente non piace a tutti, e quando esce al proscenio i fischi non son meno degli applausi, ma lo spettacolo funziona (...)» (Enrico Girardi) [Cds 27/2/2009].
• Nel 2010 nuove polemiche per la Madama Butterfly in scena al Regio di Torino: «(...) Stavolta Butterfly sarà fatta per quel che è: un caso di turismo sessuale. Dunque, si vedrà il Giappone di oggi, una selva di cartelloni pubblicitari che sovrasta il cubo di plexiglas dove Cio-cio-san aspetta il ritorno dell’occidentale ricco che secondo lei l’ha sposata e che invece l’ha comprata. Nel finale Pinkerton tornerà non su una nave bianca ma su una bianca fuoriserie (...) accompagnato dalla moglie vera che, finalmente, non sarà la solita figuretta compassionevole ma un’autentica stronza che non si fa nessun problema a portarsi via il figlio dell’Altra. Anzi, “così la signora Kate potrà raccontare alle amiche di averlo salvato dalla miseria di quel piccolo Paese asiatico, in cui sarebbe morto di fame”. (...)» (Alberto Mattioli) [Sta 10/11/2010].
• Nel 2013, al suo debutto alla Scala con Ballo in maschera di Verdi, divise la platea tra fischi e applausi: «Lancio di volantini contro la regia, urla di “vergogna”, di altri che chiedevano “silenzio” e discussioni accese fra il pubblico continuate, a suon di grida, anche in strada (…) È stata soprattutto la visione del regista veneziano, che ha dato una lettura politica dell’opera di Giuseppe Verdi, facendone una trasposizione ai giorni nostri durante una campagna elettorale ad aver fatto discutere e aver incassato anche alla fine una salva di “buuh”. Qualcuno già nei giorni scorsi si era premurato di avvisare Michieletto che aveva preso i biglietti solo per fischiare. Il primo fuori programma è stato un lancio di alcuni volantini alla fine del primo atto con frasi del tipo “Giuseppe Verdi perdona loro perché non sanno quello che fanno”; “Basta con questo sacrilegio” o “Il pubblico serio e preparato è nauseato per lo scempio artistico che si sta facendo nel mettere in scena capolavori immortali”. Prima dell’inizio del secondo atto, quando è salito sul podio, il direttore Daniele Rustrioni è stato salutato da applausi e qualcuno ha commentato “brava la claque”. E quando la scena si è aperta sul campo dove Amalia di notte doveva raccogliere l’erba magica ed è apparsa una prostituta con miniabito fucsia, qualcuno ha urlato “che schifo”, “vergogna”, ed è stato zittito da chi ha risposto: “Idioti, silenzio”. (…) Ha letto la storia di Riccardo (il tenore Marcelo Alvarez), governatore di Boston innamorato della moglie del suo migliore amico, come una riflessione sul potere politico e sul contrasto fra immagine pubblica e sfera privata. La conseguenza naturale è stata un’ambientazione da campagna elettorale. E un riferimento inevitabile all’attualità. L’indovina Ulrica (Marianne Cornetti) è diventata una di quelle santone che si vedono sulle tv americane. E l’antro dove si riuniscono adepti e curiosi per farsi svelare il futuro un palazzetto dello sport. E quindi il ballo in maschera in cui Renato (Zeljko Lucic) uccide Riccardo per il suo amore con la moglie Amelia (Sondra Radvanovsky) non poteva che essere un party elettorale e l’amico Oscar una sorta di segretaria portaborse (Patrizia Ciofi). (…)» (Rep 10/7/2013).
• «Anche alla Scala porto il mio stile che, ne sono consapevole, può piacere, ma anche non piacere. Ho visto molti registi arrivare nel teatro milanese e mettere da parte la loro cifra personale. Non è il mio caso» (a Pierachille Dolfini) [Avv 20/5/2013].