15 gennaio 2014
Tags : Sergio Mariani
Biografia di Sergio Mariani
• Militante del Msi, ex marito di Daniela Di Sotto, che lo lasciò per Gianfranco Fini. «(...) Sconosciuto al grande pubblico, è un personaggio nevralgico nella storia privata e pubblica della destra. Pochissimi, come lui, conoscono alcuni ex colonnelli di An, con i quali Mariani ha condiviso in gioventù “missioni” non sempre di stampo oxfordiano. Ma c’è qualcosa di più: Mariani è stato il primo marito di Daniela Di Sotto, la sanguigna militante che successivamente si innamorò di Gianfranco Fini e lo sposò. Il camerata Sergio reagì malissimo, sparandosi all’addome: allora, come oggi, Mariani era un duro, ma anche un uomo tutto d’un pezzo, per lui “onore e rispetto” restano valori assoluti. (...)» (Fabio Martini) [Sta 12/8/2010].
• «(...) Negli anni Settanta, negli anni ruggenti dell’Msi romano, quando se ne davano e se ne prendevano e gli altri partiti trattavano i missini come degli appestati, il camerata Sergio lo chiamavano “Folgorino”. Si era sposato con Daniela Di Sotto, una bella ragazza di grande temperamento, ma poi i litigi sempre più frequenti tra i due, l’inizio di un flirt della moglie con Gianfranco Fini e l’annuncio di un’imminente separazione indussero Sergio Mariani a un gesto estremo. Si sparò. L’uomo si salvò e qualche anno più tardi Daniela Di Sotto si sposò con Gianfranco Fini. Una vicenda di cuore, di sangue, di grande passione, che nel corso del tempo si è ricomposta senza recriminazioni plateali: i tre hanno saputo gestirla con grande dignità e nessuno ci ha mai speculato sopra (...) in tutti questi anni (...) ha garantito prima all’Msi e poi ad An il rifornimento di manifesti e anche l’opera di “attacchinaggio” grazie a una cooperativa. Insomma, per molti anni il partito non ha dimenticato “Folgorino”, gli ha garantito una certa quantità di commesse. (...)» (Fabio Martini) [Sta 18/1/2007]. Nel gennaio 2007 fecero scalpore suoi manifesti affissi a Roma in cui con una lettera aperta a Gianfranco Fini denunciava i mancati pagamenti di An.
• «(...) Il 10 marzo 1980 si sparò all’addome mentre Daniela stava andando dall’avvocato per ufficializzare la separazione e la sua relazione con Gianfranco (...) Coinvolto in numerose vicende giudiziarie, è stato dirigente di An (...) membro dell’Assemblea nazionale del partito e non ha mai smesso di frequentare Fini. Nel 2006 i rapporti si sono interrotti: “Fini sta rovinando la vita dei miei figli, delle persone che amo, di quelli con cui ho lavorato. So quanto mi può costare quello che dico, ma non ci sto. Non uscirò mai con i miei piedi dal partito (...) Daniela l’ho vista nella sezione Msi del Quadraro, a Roma, dove c’era una forte presenza dei rossi. Una ragazza molto determinata, in realtà esprimeva una grande femminilità. Era, come si dice, da bosco e da riviera. Gianfranco l’ho incontrato nel ’73 nella sede del Fronte della gioventù di via Sommacampagna. Vestiva in trench o con un cappotto di pelle nera. Frequentava la corporazione studentesca di cui era responsabile Maurizio Gasparri. Aveva una penna brillante, fiorivano i giornaletti, servivano persone che sapessero scrivere (...) Avevo partecipato al XXIX corso della Folgore ed ero molto rapido. Ma il mio vero soprannome era il Legionario, sono stato nella Legione straniera. A Roma sono arrivato nel 1972, dopo un mandato di cattura: a Milano avevo picchiato un ragazzo, gli avevo fatto parecchio male. Il Msi era monolitico, stretto attorno a Giorgio Almirante. Una volta le sue segretarie, le sorelle Ornella e Gila, ex combattenti della Rsi, mi chiesero davanti a lui: ‘Se ti desse uno schiaffo, tu che faresti?’. E io: ‘Glielo ridarei’. Almirante sorrise: capiva il carattere delle persone (...) Ero a fianco di Teodoro Buontempo, con lui nel ’72 aprimmo la sede di via Sommacampagna 29, ho la residenza ancora lì, mai cambiata. Il partito per me è una comunità. Del fascismo mi piaceva il nome: le individualità unite per un obiettivo comune (...) Fini era emarginato, distaccato. E poi raccontava cose false: che proveniva dalla Giovane Italia di Bologna, che abitava in piazza di Torre Argentina e invece stava a Monteverde, che era figlio di un alto dirigente di una multinazionale del petrolio. Alcuni di noi sospettarono che fosse un infiltrato della polizia. Una sera decidono di dargli una lezione, bastonarlo. Salgo anch’io in macchina. Lui si accorge del pedinamento, scappa, si infila in un palazzo. Io lo seguo da solo, entro, scendo giù. Trovo Gianfranco rannicchiato in un sottoscala. Mi prende le gambe e mi dice: ‘Sergio, che colpa ne ho se non ho il vostro coraggio?’. Mi sembrò un atto di sincerità. Ho visto il Fini sempre ingessato che si apriva. Diventammo amici (...) Mi sono sposato con Daniela nel 1976. Una volta andammo in tre a vedere Apocalypse Now e Gianfranco e Daniela applaudirono la scena della cavalcata delle valchirie e degli elicotteri. Nella scena successiva, quando la vietnamita fa saltare in aria gli americani, in sala esplose un applauso contro di noi. Si accesero le luci, alcuni poliziotti ci protessero, ci allontanammo di corsa, mestamente (...) Fini non è mai stato fascista. Allora diceva di essere mussoliniano. Ma lui non è né fascista né mussoliniano. È una persona che ha un profondo culto della personalità: la propria. È il suo limite. Un uomo che non è all’altezza della libertà degli altri (...) Ho praticato, anzi, ho vissuto la violenza. Il mio avversario era il nemico, quello dello slogan ‘Uccidere un fascista non è reato’. Avevo accettato le regole del gioco. Dopo ho capito che erano condotte da organismi superiori, il sistema, ma nel 1974-75 si alza il livello dello scontro con la sinistra: dai cazzotti si passa ai bastoni – io usavo il manico di piccone, segato nell’ultima parte perché si spaccava con i colpi – poi le spranghe, i coltelli e infine le armi. Ci segnò la morte di Mario Zicchieri, ‘Cremino’, ucciso barbaramente a sedici anni. Il giorno prima aveva comprato un disco di Lucio Battisti, Daniela glielo aveva chiesto in prestito. Si era creata una organizzazione interna, il Msi per la lotta popolare, per condizionare il partito in una difesa più convinta dei suoi ragazzi e accettare la logica dello scontro. La maggioranza dei giovani aderì, anche Fini firmò il loro manifesto (...) Daniela e Gianfranco avevano cominciato una relazione clandestina nella casa di una dipendente del Secolo, collega di Daniela. Venni a sapere qualcosa, chiesi spiegazioni e lei mi rispose: non è vero, te lo giuro sul nostro bambino morto. Ebbi uno scontro fisico con chi mi aveva raccontato quella cosa e aveva messo in dubbio la parola della mia donna. Io ho creduto a Daniela, in ogni caso (...) Se sono arrivato a spararmi è perché Fini ha inciso pesantemente. Mi aveva portato di fronte al fatto di essere responsabile del fallimento del mio matrimonio. La colpevolizzazione mi ha messo in un profondo stato depressivo rispetto al quale non avevo possibilità di ritorno né di perdono di me stesso (...) Se Daniela quando eravamo ancora sposati si è innamorata di Fini non ha nessuna colpa, il sentimento non si può gestire. Il problema non sta nel tradimento dell’amore, ma nell’errore di Fini: il tradimento dell’amicizia, di un vincolo di comunità. (...) Il dopo fu ancora più imbarazzante: restai nel partito, non volevo andarmene per responsabilità che non avevo. Mi chiesero di trasferirmi al Nord, Fini non vedeva l’ora di allontanarmi da Roma. Almirante lo bloccò: ‘Mariani non si muove ’ (...) Sono l’unico dirigente dell’epoca che non è diventato parlamentare (...) Era stato rotto un braccio a un ragazzo di Sommacampagna, corsi al liceo Plinio e picchiai il responsabile, fui preso dai carabinieri. Alemanno stava da quelle parti, fu arrestato anche lui e quando arrivai in caserma era legato con le manette al termosifone e lo stavano picchiando selvaggiamente. Poi è diventato ministro. (...)”» (Marco Damilano) [Esp 12/7/2007].