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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

Biografia di Irina Lucidi

• Ascoli Piceno 1966 (~). Un lavoro in Svizzera nell’ufficio legale della Philip Morris, madre delle gemelle Livia e Alessia (nate il 7 ottobre 2004), rapite il 31 gennaio 2011 a Saint Sulpice, un villaggio del cantone svizzero di Vaude, dal padre Matthias Schepp (vedi), morto sucida sotto un treno il 3 febbraio 2011 a Cerignola (Foggia), e da allora mai più ritrovate. Dopo il dramma si trasferì per un periodo in Asia. Tornata in Svizzera ha messo in piedi con alcuni amici e gestisce la fondazione Missing Children.
• «“Sarò l’ultimo a morire. Ho già fatto morire le bambine. Non hanno sofferto e ora riposano in un luogo più sicuro”. Poi, più avanti, con tono più disteso: “Mia cara, volevo morire con le mie bambine. Ma non è andata così. Ora sarò l’ultimo a morire. La colpa di tutto è mia. Anche della rottura del nostro matrimonio”. Quindi, la fine, secca, scritta con rabbia: “Tu non le vedrai più”. Con un augurio. Un misto di mortificazione e di pentimento: “Spero che tu non ti suiciderai”. Una tempesta di sentimenti. Tra follia, arroganza e presunzione. È il testamento di Matthias Schepp. L’atto conclusivo, scritto, da consegnare alla storia e al dolore di una donna, una madre, vittima impotente di una tragedia senza senso. Tipica dei nostri tempi. Tempi di ossessioni, di stalking, di omicidi, parricidi, di stragi e di suicidi. Basta leggere le parole scritte da questo svizzero di 43 anni, padre separato di due gemelline, per capire il diabolico piano di un uomo che non si rassegnava alla sua nuova esistenza. Ha portato a termine un progetto che ha studiato con lucidità e lo ha svelato nei dettagli, in una sequenza impressionante, con una serie di messaggi che ha spedito per posta e fatto recapitare alla moglie. Una vendetta spietata. Perché ammette di aver assassinato le sue bambine ma evita di indicare il luogo dove si troverebbero i loro corpi. È una tragedia e insieme un giallo (...) un uomo annebbiato dal dolore, incapace di accettare la separazione dalla moglie, egoista oltre ogni limite, giudice della propria vita e di quella delle sue figlie. Precipitato in una follia che i suoi parenti confermano. “Una persona buona, un ottimo padre, sempre presente ma afflitto da una grave malattia mentale”, assicurano il fratello e il cognato. Ma la madre delle bambine (...) non si rassegna. Si affida al suo istinto. Di donna e di mamma: “Malgrado tutte le brutte notizie che ho ricevuto il mio cuore di mamma sente che le mie figlie sono vive”. Il suo appello è straziante: “Vi prego continuate a cercare Livia e Alessia. Continuate a cercare, non può essere che le mie gemelline siano morte” (...) In questa storia ci sono ancora molti dubbi. Ma alcune precise testimonianze hanno fissato una certezza che il tempo ha reso più solida: la mattina del primo febbraio (...) Matthias Schepp è sbarcato al porto di Propriano, nel sud della Corsica, assieme alle due gemelline. Lo hanno visto a bordo, lo hanno notato mentre lasciava con la sua Audi 6 nera il traghetto Scandola proveniente da Marsiglia. La stessa certezza dice che l’uomo si è imbarcato, 12 ore dopo, a Bastia, nel nord est della Corsica. Da solo, alle 21, sulla nave Mega express 2 diretta a Tolone. (...)» (Daniele Mastrogiacomo) [Rep 12/2/2011].
• Nel gennaio del 2013 ha raccontato al Corriere della Sera della sua fondazione, Missing Children, con la quale aiuta i bambini di mezzo mondo: «Senza bambine ma con tutti i bambini del mondo. Irina li rincorre giocando nei villaggi sperduti dell’India, li conquista con il suo inglese perfetto nelle scuole dell’Indonesia, li incanta quando racconta favole ovunque sia, immagina la loro meraviglia mentre aiuta gli ideatori di un film animato in Spagna. E cerca quelli scomparsi con la sua Fondazione svizzera. Con i bambini nel cuore ma senza Alessia e Livia da due anni, ormai. Eppure “le mie gemelline sono sempre rimaste qui, accanto a me. Ce le ho negli occhi, sulla pelle...” dice lei. (…) “Avevo bisogno di andare in un posto dove io ero Irina e non la storia che mi porto addosso”. Così ha messo in una sacca qualche maglietta e due blu jeans ed è partita per l’Asia. Indonesia, poi India e poi Hong Kong. “Mi sono detta: sto via finché ne ho voglia, e sono tornata dopo mesi”. Lontano dai luoghi della sua storia nera, lontano dal lavoro nello staff legale della Philip Morris (“Ho provato a riprendere ma è durata poche settimane, non tornerò mai più a quel lavoro”). (…) “L’Asia mi ha fatto bene e mi hanno fatto bene i sorrisi splendenti dei tanti bimbi che ho conosciuto. (…) Ho dormito nei villaggi con le famiglie, andavo nelle scuole a insegnare un po’ di inglese agli studenti e loro mi seguivano per le strade, nei musei. Volevano imparare, capire. È stato bellissimo. La prima volta che ho visto una classe di bambini a piedi nudi ricordo che ho pensato a Matthias. I miei pensieri gli hanno detto: quanto sei stato stronzo. Guarda questi bimbi, hanno i sorrisi fino alle orecchie e sono felici eppure non hanno niente e invece tu avevi tutto e l’hai buttato via senza un motivo ed eri ricco, nel Paese più ricco del mondo”. (…)» (Giusi Fasano) [Cds 17/1/2013].