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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

Sarebbe bello se potessimo credere al Jobs Act di Matteo Renzi...• Che cos’è? “Act” è la parola con cui gli inglesi chiamano le loro leggi

Sarebbe bello se potessimo credere al Jobs Act di Matteo Renzi...

Che cos’è?
“Act” è la parola con cui gli inglesi chiamano le loro leggi. Job o Jobs – non ho ancora capito qual è la dizione giusta – significa “lavoro”. Quindi: “Legge sul Lavoro”. Tuttavia non si tratta di una legge ma di una serie di idee proposte agli altri partiti perché ne discutano con lui, e tra di loro, e che il segretario Pd vuole sottoposte anche a una consultazione popolare, Renzi invita a scrivergli a matteo@matteorenzi.it. Il segretario ha fatto lo stesso con la legge elettorale: tre sistemi, descritti in generale, e le forze politiche dicano quale preferiscono. Poi si passerà ai dettagli.  

Perché non dovremmo credergli?
Il contesto non è troppo favorevole. Al 90 per cento in maggio andremo a votare anche le per le politiche, e lo sanno tutti benissimo. Quindi quello che viene detto o proposto adesso da chiunque deve essere derubricato a piattaforma per la campagna elettorale. Una seconda ragione di scetticismo sta nell’incapacità manifesta degli interlocutori del segretario (sul segretario, per ora, asteniamoci, anche se Brunetta ha dichiarato che il Job Act sembra scritto da un dilettante), nella loro debolezza politica e nel sistema nel suo complesso, che, come abbiamo visto troppe volte, non riesce a produrre alcunché e meno che mai riesce a produrre qualcosa di comprensibile.  

Sentiamo che cosa dice di comprensibile questo Job Act.
Il Job Act è molto comprensibile, e non so se questo, in Italia oggi, non sia un problema. È un documento che la direzione del Pd discuterà il prossimo 16 gennaio e che già ieri ha prodotto una cascata di dichiarazioni e prese di posizione (non c’è solo il giudizio negativo di Brunetta a destra, c’è anche quello negativo di Cremaschi a sinistra). In ogni caso: la materia viene suddivisa in due grandi capitoli “Il Sistema” e “Il Lavoro”. “Il Sistema” interviene su alcune questioni generali: il prezzo dell’energia, le tasse, la revisione della spesa, lo svuotamento di significato delle cento Camere di Commercio italiane che Renzi vuole sostituire con degli Enti territoriali pubblici, la burocrazia. Diciamo in quattro parole: il costo dell’energia per le aziende deve essere tagliato di almeno il 10 per cento, il peso fiscale su coloro che producono lavoro deve essere alleggerito e bisogna appesantire quello di chi fa finanza (anche le banche?). Si parla di un 10%, da destinare forse solo all’Irap o forse all’intera tassazione sull’impresa. Tutti i risparmi sulla spesa pubblica vanno destinati a ridurre il carico fiscale sul lavoro. Fatturazione elettronica, pagamenti elettronici. Dirigenti pubblici licenziabili, all’interno di una complessiva semplificazione delle burocrazie. Amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati obbligati a pubblicare online ogni entrata e ogni uscita, in modo chiaro, preciso e circostanziato.  

Ho l’impressione che questo solo capitolo richieda un bel po’ di soldi... E sul lavoro propriamente detto?
Il segretario, come si capisce già nella parte dedicata al “sistema”, punta sul manifatturiero, che dovrebbe creare più occupazione. Il mondo della produzione è diviso in sette settori: Cultura-Turismo-Agricoltura-Cibo, Moda-Design-Artigianato (Made in Italy), Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (Ict), Economia Verde (Green Economy), Nuovo Welfare, Edilizia, Manifattura. Per ognuno di questi settori, si dovrà preparare un vero e proprio piano industriale.  

E sui contratti? Articolo 18 eccetera?
Renzi pretende che entro otto mesi sia pronto un Codice del Lavoro che abolisca tutte le leggi precedenti, che sia semplice, comprensibile e traducibile in inglese, cioè comprensibile anche all’estero (a proposito: la Ue plaude al Job Act). Mi domando: tra le leggi precedenti da abolire c’è anche lo Statuto dei Lavoratori? Inoltre: Renzi dice che esistono oggi una quarantina di forme contrattuali (Ichino lo contraddice, sostiene che non sono più di quindici), vuole che siano ridotte in pratica a una, che vi sia un contratto di inserimento universale a tutele crescenti, cioè ti assumo oggi e per un certo periodo ti posso mandare via senza problemi, da un certo momento in poi invece licenziarti diventa sempre più costoso o difficile, finché non arriva il momento della tutela-totale, tipo articolo 18. Il sistema del Welfare (cassa integrazione, eccetera) dovrebbe poi essere sostituito dall’assegno universale destinato a chi perde il posto di lavoro. Per guadagnarselo, il lavoratore deve seguire corsi di formazione e non può rifiutare un nuovo lavoro più di una volta. Il segretario vuole anche la legge sulla rappresentanza sindacale (è prevista dalla Costituzione, cioè manca da 60 anni) e vuole anche i lavoratori nei consigli d’amministrazione delle aziende. L’origine tedesca del piano è abbastanza evidente. È pure chiaro che dovrebbe essere molto costoso, e il segretario non ci ha detto come metterebbe insieme le risorse per realizzarlo. Ma non c’è da preoccuparsi troppo, in fondo. È (probabilmente) solo campagna elettorale.