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 2014  gennaio 07 Martedì calendario

Ritratto di Nino Bixio (articolo del 4/1/1873)

Illustrazione Italiana, sabato 4 gennaio 1873
Il Corriere dello scorso numero ha già parlato della dolorosa perdita che ha fatto l’Italia. Egli morì precisamente di cholera ad Atchin (nell’isola di Sumatra) il 16 corrente, facendo testamento, nel quale delegò al comando del Maddaloni il suo secondo signor Bozzoni. Ne pubblichiamo oggi il ritratto, – l’ultimo che si fece fare a Genova prima di partire per questa fatale spedizione, – e  riferiamo le parole calorose di un suo commilitone, il deputato Guerzoni:

«Quel che l’Italia perde in un uomo come Bixio, le basta, per saperlo, che si volga dietro qualche istante e ricordi sé stessa. Non c’è pagina, può dirsi, gloriosa o sfortunata, della storia italiana in cui non sia scritto, formidabile talvolta, nobile sempre, il nome di Nino Bixio. Un giornale inglese, quando salpò un anno fa dal porto di Liverpool col suo Maddaloni, gli diede il buon viaggio salutandolo l’Aiace d’Italia, e nessuna denominazione classica poteva essere più appropriata a quell’omerica figura! Corpo di ferro, anima d’acciaio, incapace di stanchezza, insofferente di riposo; indole impetuosa eppur magnanima, e nella quale si sposavano, come accadde solo nel cuore dei veri eroi, la gentilezza di una sensibilità quasi infantile e la fierezza delle più virili passioni; idolatra del suo paese fino all’intolleranza, sviscerato della sua famiglia fino al completo sacrificio di se stesso, e pur coll’occhio sempre volto al suo mare, primo segreto ed ahimè ultimo suo amore! Soldato per vocazione, marinaio per istinto, compendiando in sé tutte le doti ch’esige l’esercizio di codesta arte, dove tutto l’uomo si paragona, – la destrezza e la forza, l’occhio e la mano, l’impetuosità e la calma, lo sprezzo della vita e la poesia delle battaglie e delle tempeste, – egli aveva in sé stesso tutte le epiche qualità del Telamonio, più una che il greco non poteva avere, la coltura di un uomo moderno e la complessa potenza di un ingegno civile.

Povero Bixio! E quanti non l’han giudicato che un soldataccio, un sciabolatore violento e brutale, buono tutt’al più a cacciarsi a testa bassa sopra una batteria nemica, immolando sé stesso ed i suoi in un’impresa disperata! Ditelo voi, vincitori di Maddaloni; ditelo voi, combattenti della sera di Custoza; ditelo voi, artiglieri della mattina del 20 settembre, avete mai veduto un uomo più sereno, più imperturbabile, più misurato di lui?

E chi scrive queste linee si rammenta ancora che all’attacco di Porta san Pancrazio, tempestata di fianco dalle batterie del Vaticano, e consigliato da quasi tutti i suoi uffiziali  a rispondere a quel fuoco micidiale, egli rifiutò sempre e recisamente quella legittima rappresaglia dicendo: «Ho l’ordine di non tirare sulla città Leonina, e non voglio neanche coll’apparenza offrire un pretesto ai nostri nemici di dire che il Governo italiano manca alla sua promessa, e i suoi generali non sanno obbedire». Tanto poteva in lui il dovere e la disciplina militare, e tanto ne’ solenni momenti sapeva padroneggiare se stesso.

Perché egli uscisse dall’esercito è noto. Bixio aveva una famiglia numerosa e non gli reggeva il cuore di condannare alla mediocrità, quasi all’angustia penosa i suoi figliuoli. E pe’ maschi – vada – soleva dire; – se non avranno altro, faranno il marinaio! Ma per le bambine, come le educo, come le marito, come le lascio nel mondo! E il cuore del padre vinse sugli affetti del soldato, sui legami del cittadino, e a cinquant’anni ricominciò da capo la vita, e si esigliò di nuovo per la sua famiglia.

Nobile illuso! Egli sperava in capo a pochi anni, dopo aver fatta salutare la bandiera italiana nei mari d’onde da secoli era quasi scomparsa, e aver aperto al commercio vie e scali non mai tentati, tornare in patria onorato e felice a rivedere la sua casa, portare ai suoi cari l’agiatezza e la pace e, se tanto occorreva, recare ancora una volta il tributo d’un braccio ancora saldo, e d’un cuore sempre fedele alle supreme battaglie della sua patria.

Crudeli ironie, o piuttosto arcane leggi del destino! Egli muore sotto cielo straniero, in una latitudine ignota, d’atroce malore, forse abbandonato e solo, certo lontano da ogni persona più cara, nel momento in cui la sorte pareva aver fatto pace col più degno de’ suoi figli; nel punto in cui l’agitata nave della sua vita stava per toccare il porto sospirato; e la notizia arriva nel suo paese, arriva alla sua famiglia da migliaia di miglia lontano, scritta la prima volta da penna forestiera, in  lingua forestiera sia, gettata agli impassibili fili d’un telegrafo, senza che sia dato sapere quale mano pietosa gli avrà chiuso gli occhi, in quale palmo di terra sarà ora sepolto un uomo in cui aveva palpitando tutta l’anima d’Italia.

Volontari di Goito e avanzi de’ Mille, soldati di Reggio e di Maddaloni; nemici ed amici di Villafranca; marinai figliuoli di Colombo e di Doria; eroi dei campi, eroi del mare, date lauri e fiori a piene mani. Italia, che vedi ogni giorno diradarsi la gloriosa schiera del tuo epico quarant’otto, vesti la tua gramaglia più severa: «Tu hai perduto un uomo, che solo era una legione!»

Giuseppe Guerzoni