Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 04 Sabato calendario

Ieri mattina ho archiviato un gruppo di articoli con l’etichetta: «Lo spread che va bene e i saldi che vanno male»

Ieri mattina ho archiviato un gruppo di articoli con l’etichetta: «Lo spread che va bene e i saldi che vanno male».

Già, volevo proprio domandarle come si spiega questa assurdità, non sentiamo che piagnistei e poi lo spread sta a 198, un livello che non si vedeva da luglio 2011. Va a finire che le accuse di Berlusconi, secondo cui il super-spread del novembre 2011 era tutta una montatura contro di lui, sono giuste.
Lo spread è un indicatore finanziario, non un indicatore economico. Lo spread misura la fiducia dei mercati nella capacità italiana di rimborsare i debiti. Adesso questa fiducia è più alta di prima. Come mai? Perché gli indicatori finanziari sono buoni: abbiamo un avanzo primario del 4% (differenza tra entrate e uscite) e se entro il 2016 lo porteremo al 4,5% e destineremo questo surplus ad abbattere il debito potremmo trovarci nel 2025 a un rapporto deficit/Pil pari al 100% invece dell’attuale 130%. Le sto citando ragionamenti di Peter Praet, capoeconomista della Bce, il quale giudica «possibile» quel 4,5%. Gliene dico un’altra: il centro studi dell’università di Friburgo (siamo in Germania, attenzione) un mese fa ha giudicato il nostro debito tra i più affidabili in Europa. Il professor Raffelhuschen e i suoi collaboratori hanno messo insieme debito esplicito e debito implicito e la somma di questi due debiti, rapportata al Pil, ci colloca al secondo posto della classifica con un rapporto deficit/debito del 73%, davanti ai tedeschi, quarti col 154%, ai francesi, sedicesimi con il 449%, agli inglesi, ventiduesimi col 640%. Del resto il nostro avanzo primario è buono da una ventina d’anni.  

Che cos’è il debito implicito?
Le prestazioni previdenziali, sanitarie ed assistenziali. Il debito pubblico esplicito, invece, è definito dai titoli di stato emessi in cambio di finanziamenti. In altri termini: spendiamo meno degli altri in previdenza, sanità e assistenza. Nonostante gli sprechi enormi che si registrano in questi settori.  

Tutto questo non ha niente a che vedere con l’economia?
Il nostro debito sarà molto affidabile (ed è molto affidabile: nessuno ha fatto caso al fatto che in dicembre le agenzie di rating non ne abbiano abbassato la valutazione), ma Bankitalia, per esempio, ci ha fatto sapere che i prestiti alle imprese, rispetto al 2008, si sono dimezzati: 30 miliardi adesso contro i 62 miliardi di allora. Cioè, il mondo della produzione e dei fatturati sta fermo, si finanzia con quello che ha in cassa, quando ce l’ha, oppure non ce la fa e chiude. Del resto, se i soldi servono a ripagare i creditori non si possono adoperare per le fabbriche o i posti di lavoro. Questo spiega la faccenda dei saldi. Cioè, il calo della domanda, sinto numero uno, nel sistema attuale, sulle difficoltà dell’economia.  

Come sta la faccenda dei saldi?
Giovedì sono cominciati i saldi in Basilicata e Campania, oggi si parte nel resto d’Italia. In genere la stagione degli sconti durerà quest’anno due mesi. In realtà i commercianti hanno cominciato ad abbassare i prezzi subito dopo Natale, sia al Nord che al Sud, con sconti del 30-50 per cento a quanto si è riusciti a capire offerti alla clientela con sms o inviti personalizzati. Del resto, una corrente di pensiero autorevole (per esempio Paolo Martinello di Altroconsumo) sostiene che questa storia dei saldi concentrati in un periodo dell’anno non ha senso, bisognerebbe lasciare i negozianti liberi di praticare politiche di sconto tutto l’anno, in modo da stimolare la concorrenza. Come si fa, per ora, solo nella provincia di Taranto, senza danni, a quanto pare, per il commercio.  

In ogni caso, le previsioni non sono felici...
No, tutti gli uffici studi dànno la spesa delle famiglie in calo. Per la crisi e perché il 2014 si presenta come un anno di aumenti a raffica, alcuni dei quali già partiti. Federconsumatori e Adusbef prospettano un aggravio di costi per le famiglie (bollette, tassazione sulla casa ecc.) di 1.384 euro. In pratica è come se fosse saltato un mese di stipendio. Il Codacons sostiene che solo il 35% delle famiglie saranno propense a profittare dei saldi, contro il 40% dell’anno scorso. Con un calo netto del 12,5% sui denari messi in circolazione e una spesa media per nucleo non superiore ai 200 euro. È la conferma che non basta lo spread, cioè un buon tasso d’interesse sul nostro debito, per rilanciare l’economia. Un buono spread è condizione necessaria. Ma non ancora sufficiente.