30 dicembre 2013
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Biografia di Renato Grasso
• 9 agosto 1964. «Imprenditore camorrista».
• «(...) Detto ’o Presidente (...) re incontrastato del gioco d’azzardo nei bar di mezza Italia (...) Partito nel 1985 impiantando videopoker nella zona flegrea, era riuscito a saltare la barricata del gioco lecito, con le new slot e i bingo trasformati in piccoli casinò pieni di macchinette (...) poteva puntare sul business del futuro: le scommesse sportive. Settore nel quale era entrato da leader grazie alle 58 agenzie vinte nella gara del 2007 varata dal decreto Bersani. Per sostenere l’impero, Grasso aveva messo su un’organizzazione composta di 39 società e 23 ditte individuali, tutte intestate a insospettabili e tutte sequestrate insieme a cento immobili e 11 sale bingo sparse tra Cernusco e Teverola. Grasso era certamente l’operatore più grande del sud Italia nell’unico settore che non conosce crisi. (...) La cosa incredibile è che già nel 1991 Grasso era stato condannato per estorsione aggravata: aveva imposto insieme ai Vollaro i suoi videopoker a Portici. Un concorrente spiegava così la sua tecnica di marketing: “Ho provato a resistere. Ma tre volte è venuto Grasso a trovarmi e poi ci sono stati tre incendi”. Nel 1993 arriva la seconda condanna per associazione camorristica e la Corte annota che – dopo l’arresto di Grasso – improvvisamente i bar disdettano i contratti. Secondo i pentiti Grasso versava 20 mila euro al mese a ogni clan come quota fissa più il 50 per cento degli introiti. Quando, nel 2004, il governo Berlusconi legalizza i videopoker, il sistema si aggiorna. Alcuni bar passano alle slot legali, che però raramente sono collegate al cervellone della Sogei e così non pagano le tasse. Grasso si struttura con una doppia filiera produttiva. A Qualiano i Grasso si accoppiano con i Pianese. A Marano con i Polverino. Alla Sanità con i Misso. A Forcella, con Mazzarella. A Cavone con i Lepre. Dall’installazione alla divisione dell’incasso, scrivono i pm, “il referente di Grasso è sempre affiancato da un uomo del gruppo criminale di riferimento. L’impresa e la camorra camminano davvero a braccetto”. Periodicamente l’amministratore della Spa e quello del “Sistema” fanno i conti in un bar della Sanità. La camorra inserisce un suo cassiere in azienda: si chiama Mariano Mirante ma, per disgrazia di Grasso, si pente e racconta tutto ai pm. Una ventina di pentiti di tutti i clan svelano l’aspetto criminale, ma sono le intercettazioni a raccontare il secondo punto di forza di Grasso: i rapporti con il potere. Mentre i “guaglioni” armati di spranghe picchiano i baristi riottosi, i commercialisti intessono affari con deputati e ministri. (...) Un caso esemplare è quello degli interventi adottati nel 2007 per evitare la revoca della concessione. Nel maggio di quell’anno la Betting 2000 Srl, il cuore del sistema Grasso, con il suo fatturato dichiarato di 66 milioni di euro, rischia di chiudere perché l’Azienda autonoma dei Monopoli, l’Aams, contesta alle sue filiali un paio di violazioni e vuole ritirare la licenza. Entra in pista Antonello Luciano, il commercialista di don Renato, un massone ben introdotto nella Napoli bene. Il 27 maggio telefona al presidente delle piccole imprese di Matera, Franco Stella. L’ex politico Dc dall’eloquio forbito non si fa pregare e chiama in diretta, con l’altro apparecchio, Marcello Dell’Utri. Mentre il commercialista di Grasso ascolta, Stella chiede a Dell’Utri di bloccare la revoca. Poi chiama anche un magistrato della Corte dei conti, Maurizio Giordano, e gli chiede di intervenire per gli amici della Betting 2000. Le conversazioni si sentono solo in sottofondo, ma i finanzieri scrivono sicuri: “L’onorevole Dell’Utri viene sollecitato da Franco Stella”. Stella (...) giura all’Espresso: “Non conosco Dell’Utri né la Betting 2000”. (...) L’attività di lobby degli uomini di Grasso in quei mesi non ha colore e non conosce tregua. Per evitare la revoca, Grasso e i suoi pensano di interessare anche il cognato di Clemente Mastella, Italico Lonardo, il fratello maggiore di Sandra. E non è un caso: la Betting 2000 di Grasso infatti fino al 2006 è stata socia della famiglia Lonardo-Mastella nella Sgai Srl, una società di scommesse che fattura 21 milioni di euro con le sue sale nel Casertano. Grasso, mediante una società amica, ne detiene l’11 per cento, Italico e Carlo Lonardo controllano il 6 per cento mentre Pellegrino Mastella, figlio dell’ex ministro, aveva una quota simbolica dell’1 per cento, ceduta allo zio all’apparire dei primi articoli-denuncia su Grasso. Anche l’ex ministro della Funzione pubblica del governo D’Alema, il socialista Angelo Piazza, è nel cuore degli amici di Grasso. Loro vorrebbero portarselo ai Monopoli per perorare la causa della Betting 2000 e non si capisce se in veste di avvocato che difende la società o in veste di deputato. O entrambe le cose. (...)» (Marco Lillo) [Esp 21/5/2009].
• «Tutto cominciò nel 1976. “Lavoravo dopo la scuola con mio padre, avevo 13 anni. Lo aiutavo a pulire gli apparecchi che erano in gestione nei locali. Sistemavo biliardini e flipper nei bar, nelle sale giochi e nei circoli. A vent’anni ho lasciato l’istituto tecnico, senza prendere il diploma. Ma nel 1986 ho creato con i miei fratelli la prima società. Avevo ereditato un numero di clienti di circa 150 locali sparsi per tutto il territorio napoletano. Poi nel 1990 sono stato arrestato per tre inchieste, tutte per associazione camorristica con diversi clan: Grimaldi, Rossi, Vollaro” (...) Renato Grasso in pochi anni riesce a trasformare la bottega di calciobalilla aperta da papà Antonio nel vicolo di Soccavo in uno dei maggiori gruppi di scommesse del Paese. Un gigante secondo solo a Sisal e Lottomatica, le due multinazionali con cui è entrato in affari – come è in grado di rivelare l’Espresso – nel 2004. Un’incredibile ascesa che si è fermata (...) quando i magistrati hanno arrestato decine di suoi collaboratori. Grasso era già latitante da mesi, per via di una richiesta di carcerazione spiccata nel 2008. Nel suo rifugio dorato non è stato con le mani in mano: quando si è costituito ha consegnato ai giudici un lungo memoriale. Ventisette pagine piene di dati e nomi che delineano i confini del suo regno e i primi segreti di un business che (...) spazia dalle slot alle scommesse sportive, dalle sale bingo ai giochi on line. Si parla anche dei rapporti con politici collusi, di decine e decine di carabinieri e poliziotti prezzolati, dei legami con i capi di tutti i clan più potenti. Attenzione, Grasso non si considera pentito, ma solo un “imprenditore testimone”. Si difende: urla la sua innocenza, sostiene di essere stato costretto a pagare e frequentare i boss per far sopravvivere l’azienda. Invece, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ’o Presidente e la camorra hanno stretto un patto d’acciaio, in cui i clan garantiscono che bar e locali installino le sue macchinette in cambio di un compenso. Un’intesa che ha fatto la fortuna di tutti. Compreso lo Stato, che ha incassato una ricca percentuale della torta miliardaria. La carriera inizia nei ruggenti anni ’80. Ai flipper e ai juke box che il padre comprava dagli americani della Nato nel dopoguerra, Renato affianca i videopoker illegali, che diventano rapidamente uno dei settori più redditizi. La camorra annusa presto l’affare e chiede di entrarci: “Ho iniziato a pagare le estorsioni, come facevano tutte le ditte distributrici, nel lontano 1985”, chiosa l’imprenditore. La sua politica è semplice ma efficace: non scontrarsi con nessuno, dividere i proventi con tutti, lavorare in pace e prosperare. A Pianura, quando mutano gli equilibri tra le famiglie criminali, paga “contemporaneamente chiunque si presentasse a chiedere tangenti: i Lago, i Marfella, i Pesce, i Varriale”: senza protezione, le slot rischiano di finire scaraventate fuori dai bar. Grasso ai pm elenca le minacce ricevute dai suoi fratelli, incluso un sequestro di persona, e le intimidazioni ai collaboratori: fa una lista infinita di ditte sotto ricatto. Ricorda persino che un affiliato del sanguinario clan della Sanità gli ordinò di far comprare 50 copie del libro Leoni di marmo, romanzo autobiografico del boss Giuseppe Misso, indagato per la strage del treno 904 e oggi pentito di punta. I Casalesi si fanno vivi attraverso Mario Iovine, parente del superlatitante Antonio. “Chiesi l’incontro a un amico poliziotto e che sapevo che aveva rapporti con il padre di Mario, Domenico Iovine. Negli anni Iovine ha cercato di riciclarsi nel settore e di entrare sempre più nella nostra società fino a dire che lui era diventato socio mio: tutto ciò al solo fine di giustificare al clan altre pretese di denaro a suo favore personale”. All’epoca, i videopoker erano ancora proibiti. Oltre alla protezione dei boss, gli serviva quella delle forze dell’ordine. Nel suo memoriale ’o Presidente fa decine di nomi di carabinieri, finanzieri, poliziotti e vigili urbani che ha conosciuto, rapporti borderline che si materializzavano “in regali di varia natura, rapporti ‘confidenziali’ o in semplice amicizia”. Qualcuno gli fa persino da scorta in cambio di una paga extra di 800 euro al mese. La rete funziona a meraviglia, gli affari vanno a gonfie vele, ma Renato finisce comunque nel mirino degli investigatori. Viene arrestato una prima volta nel 1990. I giudici lo condannano in due processi per associazione camorristica ed estorsione: entra ed esce di galera per tutto il decennio. Scarcerato nel 2002, in libertà vigilata fino al 2004, secondo i pm non smette mai di occuparsi del suo business. Nel frattempo le sue aziende vengono gestite da alcuni prestanome e dai fratelli. (...) Arresti e inchieste non lo ostacolano. Anzi, i Grasso si buttano sulle scommesse sportive, il nuovo Eldorado dei giochi legalizzati. Nel 2004 rilevano la Betting 2000, una piccola ditta che aveva chiuso il bilancio con una perdita di 16 mila euro. In meno di un lustro la trasformano in un colosso con un fatturato da 40 milioni l’anno. La società ottiene subito la concessione da parte dei Monopoli e apre corner di scommesse in tutta la Campania. Nell'elenco dei soci il nome di Renato non appare, ma c’è il fratello Tullio. Che strappa licenze in piena regola anche con altre due società di giochi, la Sistersbet e la Mediatelbet. Per loro tutte le porte sono aperte: la Betting ha sponsorizzato anche il torneo Atp del Tennis Club Napoli, ritrovo della borghesia partenopea. Ma non sono soddisfatti, puntano ancora più in alto. Il vero salto di qualità avviene grazie ai contratti con Lottomatica e Sisal, che assegnano ai figli dell’uomo dei biliardini la gestione di migliaia di macchinette mangiasoldi. “I miei fratelli ebbero la grande opportunità di ottenere dei contratti in esclusiva per la distribuzione delle New Slot in tutta Italia a favore di oltre 2.500 ricevitorie e agenzie”, racconta. Fino a quel momento i negozi controllati dalla famiglia erano circa 200. I due accordi fanno schizzare il numero totale dei clienti “a 2.660, con ricevitorie sparpagliate in 288 comuni della Campania, in 119 città del Lazio”. E poi altre centinaia in Abruzzo, Toscana, Lombardia, Sicilia, Calabria e Puglia. (...) I Grasso diventano gestori dei concessionari Lottomatica attraverso la Wozzup Srl. Renato risulta socio della società già nel 2003 insieme al fratello Massimo, nel settembre del 2004 le sue quote arrivano addirittura al 90 per cento. In pratica ’o Presidente lavora con Lottomatica senza nemmeno aver bisogno di un prestanome. Le cose vanno subito bene: tra il 2006 e il 2008 la Wozzup raccoglie 110 milioni di giocate. A cui vanno aggiunti altri 100 milioni dagli apparecchi della King Slot, altra società di famiglia che subentra più tardi nell’accordo. Per l’affare con la Sisal, invece, il gruppo usa la DueGi sas, intestata a tal Francesco Ciotola. L’azienda “riesce a combinare un incontro con i dirigenti Sisal, dopo il quale i miei fratelli stipularono un contratto per la copertura della rete vendita: ci consegnarono le liste dei ricevitori presso i quali installammo le New Slot. I locali erano migliaia e anche oltre la regione Campania”. Il contratto è del 2004: Renato non risulta socio direttamente, ma con un semplice controllo la concessionaria avrebbe scoperto che le quote dei soci Massimo e Salvatore Grasso erano state già sequestrate dalla magistratura nel 1998. In una lettera del febbraio 2009 – esaminata dall’Espresso” – il direttore di Sisal Slot fa un riassunto degli imponibili del periodo 2004-2008: la cifra monstre macinata dalla DueGi supera i 635 milioni di euro. L’unico accorgimento di Renato è quello di evitare la mondanità. Nel 2006 si trasferisce in una villa fuori Napoli e compra uno splendido yacht che non usa mai, ma è prezioso come strumento di rappresentanza. Guarda al futuro: l’affare più ghiotto è quello dei casinò e dei videopoker on line. Anche il governo sa che i margini di guadagno sono enormi: non a caso nel decreto Salva-Abruzzo sono state lanciate le videolotteries, nuove slot potenziate in grado di garantire vincite fino a 500 mila euro. Il re delle slot ora come ora ha altro per la testa. Le accuse che gli lanciano pentiti e pm sono pesanti, il suo impero traballa, qualcuno teme possa trascinare nel crollo anche personaggi influenti che lo hanno protetto nella sua irresistibile ascesa. Sono molti a credere che le sue relazioni vadano ben più in alto di quelle descritte nel memoriale. Renato fa spallucce, e si difende: “Credo che un imprenditore camorrista, come vengo definito, non si occupi anche delle cose banali”, spiega: “Non si sveglia la mattina alle 8 lavorando fino a tarda sera, trattando con tutto il personale, chiunque esso sia, anche con le persone poco importanti, come elettricisti e fabbri. Soprattutto, penso che un imprenditore camorrista non paghi le tasse né per le sue società né per i suoi uomini di paglia. Forse sono un imprenditore camorrista atipico, anzi stupido!”. Una affermazione a cui nessuno crede» (Gianluca Di Feo ed Emiliano Fittipaldi) [Esp 16/7/2009].
• «Partito dalla bottega di calciobalilla che suo padre aveva
nel vicolo di Soccavo, è diventato un sovrano dei giochi e delle scommesse. Almeno fino al 2009, quando gli è piovuta addosso l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Nonostante ’o presidente continui a sostenere di essere stato costretto a frequentare la camorra e i casalesi, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere lo ha condannato in primo grado a 14 anni. La sua azienda, racconta in un memoriale, ha piazzato più di 4.000 slot in diverse regioni italiane: il 2,5 per cento dell’intero mercato nazionale, il 15 per cento di quello campano. ’O presidente
era riuscito a stipulare contratti e concessioni direttamente con Sisal, Lottomatica e perfino con i Monopoli di Stato. Faceva affari con Antonio Padovani, noleggiatore di slot catanese finito anche lui nella stessa indagine che ha coinvolto Grasso. Padovani secondo gli investigatori è vicino ai clan mafiosi di Catania e Caltanissetta» (Giovanni Tizian e Fabio Tonacci) [Rep 22/2/2013]. Nel marzo 2013 fu condannato definitivamente anche dalla Corte di cassazione, insieme ad altri 26 imputati dell’«operazione Hermes», «che nel 2009 scoperchiò una vera e propria holding criminale tra imprenditori del gioco, con in testa Renato Grasso, detto “il re dei videopoker”, e il gotha della camorra, napoletana ma soprattutto casertana. Camorra di “serie A”, camorra imprenditrice, clan dei casalesi, coi boss del calibro di Schiavone, Bidognetti, Zagaria, Iovine. (…) Insomma per la Dda, e ora per la Cassazione, non è la camorra a cercare gli imprenditori ma sono questi ultimi a cercare la camorra. Proponendo affari in comune, ottenendo protezione e sostegno per piazzare le macchinette, assicurando in cambio ricchissimi “dividendi”. Si tratta di decine di milioni di euro. (…)» (Antonio Maria Mira) [Avv 22/3/2013].