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 2013  dicembre 30 Lunedì calendario

Biografia di Marisa Grasso

• 1972 (~). Vedova dell’ispettore Filippo Raciti, ucciso il 2 febbraio 2007 allo stadio Massimino al culmine degli incidenti del derby Catania-Palermo.
• «(...) Da quella bestiale notte, la vedova Raciti non si è più fermata. Se si ferma è perduta. Dall’attimo in cui accende la televisione e lo speaker del telegiornale legge una notizia troppo feroce per essere comprensibile. Come un personaggio di Henry James, come un’eroina dei mélo italiani del dopoguerra (...) non la smette più di accendere ceri, di evocare il defunto. Ma il suo lutto non è contemplativo. È missione, ossessione, è azione. È sempre in viaggio. (...) “Ho promesso a mio marito che il suo nome non sarebbe morto e ora vivo per questo, anche se ogni volta è una crudeltà”. Perché Filippo non c’è più, ma riaffiora ovunque, moltiplicato, ingigantito, nei ricordi, nei discorsi, ogni volta che scoprono un busto, una targa, gli dedicano una scuola, una piazza, una palestra o un’aula del Senato. “Hanno fatto di me una vedova, da un giorno all’altro, ma si sbagliano, io resto una moglie”. Marisa Grasso Raciti è una di quelle storie che sembrano fatte apposta per dare ragione a chi dice che il mondo va preso così com’è, impacchettato e consegnato alle donne. Al loro dolore, che non è mai sconfitta, al loro coraggio. Marisa era una donna timida, molto riservata, ma ha imparato a parlare alle folle, a trattare con questori, vescovi, sindaci, monsignori. (...) All’inizio portava con sé i due figli, Fabiana, la più grande, “la stessa età di quelli che hanno ucciso mio marito”, e Alessio. Ha deciso di andare sola, i figli tornavano ogni volta troppo scossi. Tutta la Sicilia in lungo e in largo, Roma, Firenze, Padova, Reggio Calabria, Pienza, Teramo, le hanno dato le chiavi di non ricorda più nemmeno lei quante città, Fidenza, Pineto, Salvezzano, Padova; Siderno, Montalto di Castro. Crocerossina volontaria (...) negli ospedali di Catania, nominata guardia d’onore alle reali tombe del Pantheon, postulante del Sacro ordine di San Giorgio. Il principe Emanuele Filiberto le ha conferito di persona la Croce d’oro dei Savoia. È tornata sul luogo del delitto, lo stadio Angelo Massimino, il giorno della sua riapertura. Ha parlato ai tifosi. Non era mai entrata in quello stadio. “Ho dovuto farmi violenza. Mi passava l’immagine del suo cadavere massacrato all’obitorio. Di quando Filippo tornava a casa la sera e gli dovevo lavare la divisa ricoperta di sputi. Una volta tornò con una divisa diversa da quella con cui era uscito. Non voleva parlare. Dovetti insistere per avere una spiegazione. Gli avevano urinato addosso i tifosi del Catania dalla curva e lui si sentiva umiliato all’idea che sua moglie dovesse lavare la divisa del marito sporca di piscio. Lo hanno insultato, bastonato, gli hanno pisciato addosso e poi un giorno me lo hanno ammazzato. No, non posso perdonare, ma posso impegnarmi perché questo dolore assurdo non si ripeta, per far capire ai ragazzi come questa gente in divisa meriti rispetto e ammirazione. Mi vergogno solo di una cosa, di non averlo fatto prima, quando Filippo era ancora vivo” (...)» (Giancarlo Dotto) [Pan 18/10/2007].
• «(...) Mio marito era nato in un quartiere degradato di Catania, figlio di un operaio e di una casalinga. Ha indossato la divisa a soli 19 anni. Ci sposammo giovanissimi, io diciottenne mentre lui ne aveva soli 23 di anni. (...) L’ultimo suo atto d’amore per la vita l’avrebbe manifestato attraverso la donazione degli organi. La sera del 2 febbraio mi ricordai della sua ultima volontà, corsi a cercare un medico. Niente da fare, il cadavere era sequestrato. Ancora oggi aspetto che mi restituiscano parte degli organi di mio marito per dargli una degna sepoltura. (...)» (Cds 22/12/2010).